Che licenza mi metto oggi? Il licensing e la moda in Italia

Moda e formati – Dagli adulti ai bimbi passando per diversi canali distributivi, è forte la presenza del licensing.

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1. È un elemento catalizzatore

2. Capace di dare nuova verve a prodotti e brand

Il mercato dell’abbigliamento è senza dubbio la categoria in cui il licensing riesce meglio a esprimere le proprie potenzialità di catalizzatore. È con l’applicazione dei modelli di licensing in questo campo che Playboy si è riposizionato da rivista per soli uomini a fashion brand per donne e che il brand Fiat è diventato, a pochi mesi dal minimo storico del titolo in borsa, un must have nello sportswear. Per la duttilità di entrambi gli elementi - il mercato moda e il licensing - le applicazioni risultano innumerevoli rendendo arduo definire casistiche e modelli di riferimento. Ma il mercato italiano è in fase di evoluzione e crea nuovi stimoli registrando spesso risultati positivi. Che di questi tempi non guasta.

* general manager Kazachok Italia

Al consumatore adulto piace branded

Sono tre i macrotrend che assicurano la crescita del business di licensing nel mercato abbigliamento adulto.

Primo fra tutti il vintage, che funziona da qualche anno sia come operazione-nostalgia per gli ex giovani sia come più banale recupero di iconografia d’antan. Non è un caso che il progetto di brand extension Michelin, nato in Francia come estensione ai mercati più affini al concetto di facilitazione della mobilità, vero valore distintivo del brand, in Italia abbia generato felpe con immagini pubblicitarie anni ‘30 invece dei più strategici accessori auto di design.

Il concetto di lifestyle

Ma la fase evolutiva più spiccata nel mercato italiano risiede nella creazione di concetti lifestyle, dove i brand vivono una seconda vita nelle estensioni di prodotto: contrariamente a Michelin, il progetto Pirelli Pzero si è basato sul posizionamento fashion del brand, con ingente supporto pubblicitario e top model come testimonial.
Il fattore critico in questo caso è la credibilità del posizionamento: Cosmopolitan, per esempio, è lifestyle brand in quanto definisce un profilo preciso di donna, che vive, acquista e investe in maniera omogenea.

E i dati lo dimostrano. Secondo ricerche Mondadori la lettrice di Cosmopolitan non solo è favorevole al 67% all’acquisto di prodotti a marchio Cosmopolitan, ma ha anche una precisa idea di dove acquistarli (grandi magazzini o dettagli indipendenti di livello medio-alto) e un’attesa altrettanto precisa sui contenuti moda che i prodotti debbano avere.

Anche l’uomo non è refrattario alle lusinghe del lifestyle. Per lui nascono progetti di successo come Aereonautica Militare (performance e mascolinità) MomoDesign (stile e attenzione ai particolari), Ferrari, (prestigio reso accessibile), New York Yankees (mito americano pop).

Gli adulti-bambini

Il terzo trend, ancora stabile dopo qualche stagione è l’infantilizzazione dell’adulto tramite icone cartoon/entertainment. Il Kidult, preferibilmente donna, pur avendo superato i 35 anni non disdegna di ostentare una t-shirt o una cintura con le Powerpuff Girls, Betty Boop, Hello Kitty o, nella variante maschile, Snoopy, Star Wars, Lupin III.
Recentemente questa tendenza ha valicato i confini dell’abbigliamento per attecchire anche su accessori, meglio se di posizionamento alto, come le borse Looney Tunes di Braccialini, o l’orologio di zio Paperone di Terra Cielo Mare, o le più semplici Superga Diabolik e Superga Mickey e Minni, più democratiche ma con un premium price del 120% rispetto alla versione standard.

La validità e la tenuta di questo trend è ulteriormente confermata dal fatto che marchi affermati e diffusi come Liu Jo o Pinko, sviluppino parte delle collezioni con personaggi come Pantera Rosa, o gli Skelanimals, con versioni glitter glam per il top della gamma o per calcare il tono su aspetti emotivi del target acquirente con temi particolari come le Cattive Disney.

Abbigliamento kids: il licensing è un’esigenza

Il licensing e l’abbigliamento bambino costituiscono da tempo una coppia affiatata, soprattutto per quel che concerne il cosiddetto entertainment licensing, o character licensing. Che derivino da serie animate tv, da film blockbuster, o ancora da fumetti sempreverdi, i character (il termine italiano personaggi non è così incisivo) sanno aggiungere valore al prodotto non solo per i bambini, loro naturale approdo, ma spesso anche nei confronti delle mamme. Questa naturale predisposizione assume due aspetti contrapposti: da una parte gli eventi di grande portata, per esempio i Gormiti o le Winx, dall’altra gli evergreen come i personaggi Disney e Warner Bros. Questa, lungi dall’essere una suddivisione puramente accademica, crea due comportamenti d’acquisto opposti: nel caso degli eventi sono i piccoli i decisori d’acquisto della t-shirt dei Gormiti o delle Winx, spesso contro la volontà delle mamme (ma con l’appoggio e la complicità dei nonni); nel secondo caso sono le responsabili d’acquisto che tendono a riversare sugli acquisti per i propri figli il proprio lato emotivo.

I tempi sono importanti

L’industria cerca dove possibile di gestire i fenomeni, ma spesso il time to market lungo da un lato (rispetto a eventi che diventano sempre più di breve portata), e l’incognita della magnitudo dell’evento dall’altra portano i buyer a essere o troppo conservativi o ad arrivare in ritardo sul fenomeno. Di riflesso le aziende licenziatarie non scommettono sull’evento e tendono al compromesso del mainstream. È il caso, per esempio, di Ben10, fenomeno di grande portata in tutta Europa che in Italia ha registrato una forte richiesta da parte del target bambini 6-8 anni nel periodo di picco natalizio 2008 e una totale assenza di prodotto a scaffale. Motivo: la serie animata era trasmessa da un’emittente satellitare che, pur trovandosi tra i leader di audience nel target, non è stata a priori ritenuta all’altezza dei contenitori pomeridiani nazionali in chiaro. Solo in primavera 2009 ci si è resi conto del potenziale della licenza, con almeno due stagioni di vendita perse. Più semplice dunque la strada degli evergreen, e in questo senso i licensor spaziano tramite i differenti character dall’offerta più basic destinata al mass market alle alte prestazioni come quelle di Monnalisa con Disney e Warner o alla collezione Harry Potter in tiratura limitata di PincoPallino.

Piccoli adulti

L’altro fronte è quello della replica del modello adulto: le versioni mignon delle grandi griffe, da Dkny a GianFrancoFerré, passando per Laura Biagiotti ed Ermanno Scervino sono da tempo le protagoniste al Pitti Bimbo. In questa passerella mondiale sfilano i campioni - soprattutto nazionali - di gamma alta e medio-alta, tutti ovviamente licenziatari a causa della peculiarità della produzione e della distribuzione che rendono impossibile per i produttori delle linee adulto creare massa critica.
Caso a parte alcuni global brand (come D&G che recentemente ha verticalizzato anche la produzione bambino, prima in licenza) che ormai gestiscono tutta la filiera e preferiscono la coerenza stilistica gestendo internamente anche le linee kids. E se è vero che nell’universo adulto si sta sviluppando il brand è altrettanto vero che le versioni brand junior sono in crescita: e a marchi come Ferrari, Aeronautica Militare, Lonsdale, vengono oggi affiancate le avanguardie come Paul Frank Industries, Jacob Cohen, Vilebrequin, e anche Billionaire.

Fast fashion, fast licensing

Al fast fashion il licensing fa bene. Gap, che dalla primavera/estate 2008 ha aperto al licensing con un campionario flash di circa 25 licenze differenti, da Star Wars a SpongeBob, dai supereroi Marvel a Mr Man & Little Miss, lo dimostra. E senza andare troppo lontano, Benetton da qualche stagione propone linee co-branded con Disney, Pucca, Warner Bros.

In questo caso la promessa al consumatore è: il buon rapporto qualità-prezzo già conosciuto, con il valore aggiunto del personaggio che emoziona.

Il licensing ripropone
il modello fast

Il modello è fast anche qui: spesso anziché firmare contratti biennali o triennali, si propone una stagione, o meglio ancora - Zara insegna - un flash.

Produzione limitata, su tutti i punti di vendita della rete entro pochi giorni, nessun riassortimento: il cliente verrà a cercare la prossima puntata. I licensor sono ben felici: generalmente i quantitativi pur essendo limitati nel tempo sono superiori a quelli dell’industria tradizionale, la distribuzione è controllata e con essa il prezzo al pubblico, e la clientela è relativamente fedele all’insegna. Tanto da rendere serena anche la convivenza tra Hello Kitty di Oysho e quella di cachemire di Victoria Couture. In questo senso va letto il modello di H&M: l’accessibilità della moda, cifra comune con i concorrenti, diventa extreme grazie all’applicazione di licenze di fashion designer presi in prestito dal mondo del lusso vero. Citazione o provocazione, funziona e i designer sembrano divertirsi un mondo.

Come leva
di marketing

Su un altro fronte Original Marines, family store con un mix di prodotto fortemente concentrato sul bambino, fa del licensing una leva di marketing: la licenza serve per creare attenzione e attrarre sul punto di vendita, ma nel mix non deve superare più del 20%.

Critico dunque il look and feel della licenza, che non solo deve essere applicabile anche all’adulto dove possibile, ma deve calarsi nel gusto della marca Original Marines per permettere assortimenti misti licenza/marchio proprio (per esempio la tuta potrà essere acquistata con un sopra Titti, ma con un sotto Original Marines, e il risultato dovrà risultare armonico).

Per questo oltre al character licensing tipico del target kids, Original Marines è attenta ad altri generi di licenza: a partire dal fenomeno del Wrestling del 2000/2001 a quelli più misurati di oggi di Nba e All Blacks o addirittura di icone pop trasversali come i Beatles, l’azienda ha sempre investito in ricerca di nuovi trend licenziabili.
Sempre tenendo ben a mente il rapporto licenza/marca propria.

Direct to retail: perché in Italia stenta a decollare

I licensor americani, che operano in un ambito distributivo più concentrato e molto più orientato al licensing, si trovano da qualche tempo davanti al dilemma se premere o meno l’acceleratore sulla formula direct to retail (Dtr), ovvero la cessione della licenza direttamente alla catena distributiva anziché ad aziende produttrici. Il primo (e superficiale) punto a favore del modello, soprattutto nel mercato abbigliamento e accessori, è segnato dalle opportunità win win del modello: il licensor ottiene copertura distributiva veloce e controllata e, soprattutto, un risultato economico sensibile e immediato. D’altro canto il distributore-licenziatario gode di un vantaggio competitivo verso i concorrenti grazie all’esclusività che generalmente questo modello comporta. Entrambi inoltre sfruttano una filiera più breve, che permette al licensor di ottenere le royalties più a valle del processo e al distributore-licenziatario di diminuire l’impatto dell’extra-costo della royalty nel conto economico di prodotto.

I punti critici

Se tutto fosse così semplice probabilmente il direct to retail avrebbe già sostituito il modello classico. Alcuni punti nascosti fermano però anche i più aggressivi. Innanzitutto: può il distributore sostituirsi a un’azienda specializzata nello sviluppo del prodotto? Dipende, ma spesso nel mass market il prodotto rischia di essere impoverito dalla classica impostazione distributiva, che premia il margine a sacrificio della ricerca e sviluppo. I licensor che tengono particolarmente alla qualità tendono quindi a essere molto scettici nei confronti di questo modello. Che può diventare, invece, ideale per properties poco conosciute: il Dtr può costituire un lancio di impatto superiore alla creazione ex novo di una rete di licenziatari produttori. Qui sorge un altro punto critico: se la performance dovesse essere insoddisfacente, il programma intero verrebbe danneggiato irreparabilmente. Ma il nodo più importante è quello del network dei licenziatari produttori già esistenti che vedono ovviamente nel Dtr il primo concorrente che spazza via opportunità di listing. Anche in questo caso va valutato l’impianto in essere di licenziatari con le loro performance, che dovrebbero venire superate dal Dtr per sancirne la convenienza. Per questi motivi alcuni licensor stanno provando il modello misto: far servire il licenziatario-distributore Dtr da licenziatari esistenti, secondo il modello delle private label. Con il rischio però di diventare il classico compromesso che scontenta tutti.

Allegati

Moda10-licensing
di Paolo Lucci* / gennaio 2010

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