Un’innovatrice per l’agricoltura

Assessora all’agricoltura, caccia e pesca per la Regione Emilia Romagna, Simona Caselli ci porta in un mondo che sta perdendo il suo lato arcaico per abbracciare l’innovazione scoprendo il suo “lato femminile” (da Mark Up n. 267)

Simona Caselli è l’Assessora all’agricoltura, caccia e pesca della Regione Emilia Romagna. Una donna dal sorriso franco e con uno sguardo capace di vedere lontano. No, non sembra un politico (l’uso del maschile non è casuale) e questo è rassicurante ...

Come sei arrivata alla politica?

I miei genitori, che mi hanno insegnato come sia un dovere civico partecipare alla vita pubblica. Valeva per loro stessi che hanno sempre fatto politica attiva, quindi sono cresciuta in un ambiente in cui dare il proprio contributo alla società era considerata una cosa doverosa e l’ho sempre fatto sin da quando ero ragazzina. Poi sono stata eletta Consigliere Comunale a Parma, avevo 23 anni e stavo finendo l’Università. è stata una sorpresa, quindi ho fatto questi cinque anni, e nel frattempo continuavo a studiare e cominciavo a lavorare. Sono stati anni interessanti, ma nel frattempo ho maturato la convinzione di non voler fare quello di mestiere, ma avere un lavoro mio. Ho iniziato nella cooperazione facendo un mestiere tecnico, poiché mi sono laureata in economia, per la precisione macroeconomia, sull’economia partecipativa, che poi è il mestiere che faccio tutt’ora. Ad oggi sono in aspettativa dal Consorzio Finanziario Nazionale di Legacoop; quindi, una volta terminato il primo mandato in Comune, mi sono dedicata al mio lavoro praticamente fino a tre anni fa, facendo la mia carriera dentro la cooperazione.

L’agricoltura non è un classico femminile, essere donna è stato un vantaggio o uno svantaggio?

Non è mai un vantaggio, inizialmente è stato uno svantaggio, ma ho un carattere tale per cui non mi sento mai in minoranza, sono stata abituata a non farlo, ho anche una certa coscienza del fatto che non devo sentirmi inferiore, quindi, tutto sommato, non mi sono mai preoccupata molto di questa cosa però indubbiamente la percezione è che non ti vedano come abbastanza seria o abbastanza forte. Poi, dopo, ti riconoscono, ma indubbiamente questo tema c’è sempre. Nel mio caso non è stato uno svantaggio enorme perché nella cooperazione c’è una cultura un po’ più rispettosa, quindi non credo di essere mai stata discriminata, tutt’altro. Noi donne invece possiamo avere retribuzioni inferiori rispetto ai colleghi maschi e questo è capitato anche a me.

Essere l’assessore all’agricoltura di una delle regioni più ricche in termini di agroalimentare: quali gli oneri e quali gli onori?

L’Emilia Romagna è la seconda regione dopo la Lombardia, ma se si guarda dal punto di vista della popolazione è la prima. Indubbiamente è una grande regione agricola con una produzione formidabile, con prodotti venduti anche all’estero. Una regione che ha una grande complessità ma anche una grande ricchezza agricola: da questo punto di vista una responsabilità enorme, dall’altro anche una grande opportunità, perché qui ci sono imprenditori e cooperative importanti, aziende che innovano e che esportano, ho a che fare, quindi, con un mondo molto stimolante e preparato. E devo dire che anche in Regione ci sono persone molto preparate: sono stata fortunata, è una Regione che è stata amministrata bene. Tra i miei compiti ci sono anche materie più ostiche, come la caccia e la pesca con i loro problemi. Io ci metto l’anima, studio molto; è importante essere preparati.

Quali sono i passi concreti che bisogna fare subito e qual è l’orizzonte cui guardare?

Intanto avere la consapevolezza che c’è un cambiamento climatico che dobbiamo affrontare. Necessario implementare una serie di politiche innovative in questo senso: l’uso dell’acqua, la valutazione della compatibilità ambientale di quello che si fa, dai fertilizzanti al tipo di colture, alle modalità agronomiche. Sto provando a metterle in pista, anche attraverso un bellissimo progetto comunitario, Life Climate ChangER, con una sperimentazione in campo che coinvolge tutta la filiera fino alla distribuzione. Poi c’è anche l’effetto di adattamento, cioè sapere che avremo temperature più alte, che pioverà meno, quindi dovremo utilizzare varietà diverse, tecniche agronomiche diverse. Tutta questa serie di interventi sono urgenti, non c’è tempo da perdere. La seconda cosa sono i giovani, perché l’agricoltura italiana ed europea ha una media d’età troppo elevata. Si sta facendo molto, si sta investendo, molti hanno risposto e andremo avanti, ma occorre un ritmo di rinnovo molto forte. Poi c’è la burocratizzazione e come alleggerirla. Infine, il mercato internazionale: viviamo di estero ma siamo ancora fanalino di coda. I dati di export sono comunque ottimi: nel 2017 abbiamo fatto 5,9 miliardi, a livello nazionale sono 40, stiamo investendo però per andare oltre.

Si invoca più innovazione per l’agricoltura: qual è la direzione giusta da prendere?

Sono una oltranzista dell’innovazione! L’agricoltura in questo momento sta vivendo una fase che paragonerei alla rivoluzione industriale, una rivoluzione tecnologica legata all’agricoltura di precisione, perché grazie a satelliti, droni e diversi strumenti siamo in grado di leggere il terreno zolla per zolla e decidere quanta acqua e quanto fertilizzante dare, quale coltura fare, con una scientificità pazzesca, cosa che dovrebbe anche permetterci di risparmiare acqua e andare verso un’agricoltura sempre più sostenibile, e soprattutto mettere in mano agli scienziati agronomi una quantità di dati mai avuti che possono veramente cambiare il mondo. L’innovazione non è solo in campo, c’è molto da fare anche nella trasformazione e nella conservazione degli alimenti. Stiamo investendo 50 milioni, abbiamo 95 gruppi operativi al lavoro, che sono la novità introdotta per ogni regione in Europa, i cui dati confluiranno tutti in un grande database europeo: un’Europa bella di cui non si parla mai.

Recentemente, Francesco Pugliese, Ad di Conad ha proposto di creare un ministero che abbracci l’intera filiera, agricoltura, produzione e vendita: un percorso fattibile?

Anche Martina ogni tanto parla di un ministero dell’Agroalimentare che dovrebbe mettere insieme le cose. Secondo me non sarebbe male, ma c’è una complessità che non va nascosta: un conto è mettere insieme agricoltura con la parte sanitaria con le realtà produttive per la parte relativa alle trasformazioni alimentari, ma poi altri aspetti rimangono entro i compiti del ministero dell’Ambiente, altre in quello della Sanità. Quindi bisogna vedere, per esempio chi fa capo alla Sanità, la Veterinaria, che nel resto d’Europa è insieme all’agricoltura, e poi il controllo sulla salubrità degli alimenti e le garanzie al consumatore. Occorre capire cosa conviene fare, perché mentre l’aggancio tra il Mipaaf (ministero Politiche Agricole) e il Mise (ministero Sviluppo Economico) secondo me sarebbe giusto farlo, nel senso che basta decidere di farlo e organizzarsi di conseguenza, mettere dentro anche la veterinaria è più complesso, e soprattutto rispetto al consumatore bisogna stare attenti a mettere in capo il controllo sanitario presso lo stesso ente che si occupa della produzione, non è una garanzia corretta. Secondo me è meglio che l’Autorità che certifica la salubrità sia terza, mentre metterei insieme la filiera produttiva.

È nata recentemente l’associazione Donne dell’ortofrutta, di cui sei socia onoraria: quali sono gli obiettivi?

L’ortofrutta è un settore in crescita ma soprattutto è un settore ad alta densità di lavoro, quindi, all’interno di questo, ci sono molte donne. L’associazione è nata perché alcune imprenditrici ritengono che sia possibile parlare dell’ortofrutta in modo diverso, nella modalità di presentarla, di innovarne la commercializzazione. A me è parsa un’idea buona, infatti quando ho tenuto a battesimo l’Associazione ho suggerito loro di farne una cosa anche europea, ovvero allargare l’orizzonte, perché probabilmente questo tema può essere vero non solo per l’Italia.

Ci sono buone prospettive per le donne in agricoltura?

Siamo più o meno dove ci aspettavamo di essere, ma ancora nella fascia bassa: un quarto delle aziende agricole sono condotte da donne, in alcuni casi si supera il 30%, ma c’è ancora parecchia strada. L’agricoltura è ancora un mestiere faticoso, ma l’idea che le donne non siano compatibili con la meccanizzazione e le macchine agricole è falsa: è un mestiere faticoso che richiede soprattutto l’accesso alla terra e la propensione all’innovazione.

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