Assistenti virtuali: come macchine e algoritmi “aumentano” il potenziale di contatto e relazione

Nell’arena competitiva, le tecnologie che abiliteranno le “relazioni virtuali” fondate su un approccio di analisi e rielaborazione dei dati saranno quelle che permetteranno prestazioni fondamentali per le scelte strategiche del business

Piaccia o meno è un dato di fatto che le conversazioni arricchite dall’intelligenza artificiale (AI) di chatbot e assistenti virtuali rappresentano la nuova modalità con cui business e organizzazioni si rapporteranno con i loro interlocutori target nell’arena digitale. Dal “tocco” si passa alla “voce”, con interfacce grafiche dedicate, che permette un modo più semplice e rapido per avere riscontri e informazioni da dispositivi intelligenti. In particolare, oggi, gli assistenti virtuali (o Virtual Personal Assistant - VPA) possono essere definiti una sorta di “digital human”, visivamente realistici e in grado di comprendere, rispondere a domande e anche realizzare una sorta di connessione emotiva, anche tramite un body language per cui sono in grado di sbattere le palpebre, annuire, ammiccare, ecc. Il ricorso a questi agenti conversazionali porta nell’interazione digitale più aspetti della comunicazione (verbale, testuale, vocale e gestuale) e la rende un’esperienza mutuale nel lungo termine, per cui un’ecosistema data driven, con algoritmi capaci di sfruttare i meccanismi del Deep Learning (DL), prospera. Di fatto, questi avatar digitali stanno diventando ambasciatori di una User Experience (UX) basata sull’intelligenza artificiale che, seppur non vi sia una definizione universalmente condivisa, può essere descritta nelle parole dello studioso Nils J. Nilsson come “quell’attività dedicata a rendere le macchine intelligenti e l’intelligenza è quella qualità che consente a un’entità di funzionare in modo appropriato e con lungimiranza nel suo ambiente”. E i numeri sembrano confermare questa tendenza: secondo Grand View Research, il mercato globale degli assistenti virtuali intelligenti avrà un valore pari a 52 miliardi di dollari entro il 2028, con un CAGR (Compounded Average Growth Rate - tasso annuo di crescita composto) del 28,5% nei prossimi 7 anni. A sostegno di questa previsione, anche ZDNet, portale d’informazione specializzato in tecnologia, tramite un approfondimento ad hoc, ha analizzato ulteriormente lo scenario, per cui, entro la fine del 2021, si prevede che aziende e consumatori spenderanno fino a 3,5 miliardi di dollari proprio per i virtual personal assistant.

In questo panorama, si assiste ad esperienze (e il trend futuro si delineerà marcatamente in questa direzione) in cui i voice assistant, una delle possibili forme di assistenti virtuali, diventeranno sempre i più i depositari della fiducia dei consumatori, i quali delegheranno l’acquisto di determinati prodotti previo il controllo (a cura dell’assistente virtuale stesso) di una serie di parametri d’interesse per lo stesso consumatore (qualità, caratteristiche specifiche, scadenza, rispetto dell’ambiente, ecc.). Questo potrebbe liberare del tempo da alcuni determinati acquisti, oltre che anche ottimizzare la ricerca del prodotto migliore per prezzo, qualità e tempi di consegna.

Tale scenario – sempre più vicino alla realtà –, però, dovrebbe spingere i brand ad una riflessione molto profonda sui loro prodotti e servizi in relazione alle potenzialità di queste tecnologie, per cui la vendita nel digitale diventa qualcosa di estremamente personalizzato. Infatti, se non interamente delegata all’assistente, come nei casi più “estremi”, la comunicazione sarà diretta e one to one da parte degli assistenti virtuali, che in un’attività conversazionale “aumentata”, saranno persino capaci di riconoscere gli stati d’animo del clienti e rispondere di conseguenza. Tale supporto sarà funzionale nell’individuazione del prodotto giusto e ad una guida nella navigazione di e-commerce complessi, come se fosse un dipendente che assiste il cliente in uno store. A tal proposito, nel libro AI Brands: ripensare le marche nell’economia algoritmica di Alessandro Giaume, Alberto Maestri e Joseph Sassoon (Franco Angeli Edizioni, 2021) è riportato un approfondimento curato con Ernesto Di Iorio (CEO di QuestIT) e Antonio Perfido (CMO & Head of Digital di The Digital Box) sulle conversazioni “aumentate” nell’era della convergenza digitale, che vede in particolare nello smart phone l’accentratore della maggior parte delle azioni. Come si legge nelle pagine del libro a ciò dedicate, “viviamo nell’evoluzione digitale delle nostre relazioni: […] conversazioni “aumentate”, mediante non più dal solo display, ma aumentate grazie all’interazione con agenti conversazionali intelligenti che somiglieranno sempre più a noi umani (ma non solo): Pensiamoci su: se le relazioni digitali sono state il perno su cui costruire il business dei colossi WhatsApp e Facebook, nella strategia 4.0 molti big player del mercato hanno puntato sull’introduzione di chatbot all’interno delle chat di messaggistica istantanea come Messenger, una nuova modalità d’interazione così efficace ed efficiente da aver suscitato l’interesse di molti brand per migliorare l’assistenza al cliente e lo sviluppo dell’acquisition. Relazioni, appunto, flussi conversazionali che escono dalla sfera privata, passano per un virtual assistant e attirano l’utente verso il brand, personalizzando l’interfaccia, aumentando i touchpoint e misurando ogni parola del sistema intelligente per creare una nuova customer experience (virtuale) fondata su un numero spropositato di conversazioni aumentate […]”.

Tale relazioni virtuali, quindi, sono funzionali in termini di velocità di reazione con i clienti, con i quali si mira comunque ad una costante connessione, grazie all’ormai sdoganato approccio omnicanale, funzionale come vantaggio competitivo. L’obiettivo, più o meno esplicito, è sempre quello volto alla conversione da lead a cliente, grazie all’integrazione tra dispositivi mobile, social media e AI: questa ricetta può permettere alle aziende, ed in generale alle organizzazioni, di creare e mantenere fresche e stabili nel tempo la customer relationship. Ma non solo. Lo scopo ultimo è quello di riuscire a dominare sempre più i dati in possesso (derivanti ovviamente anche da tali relazioni virtuali, e non solo) per prendere decisioni e affrontare sfide in modo strategico e lungimirante, che in una società sempre più complessa ed ipercompetitiva, non possono essere portate avanti in maniera destrutturata.

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