Atlante all’attacco sul ddl relativo al Meat Sounding

Per l’azienda che opera nella grande distribuzione organizzata si tratta di “una proposta inaccettabile e controcorrente rispetto ai principi di sostenibilità”

“Una proposta inaccettabile e controcorrente rispetto ai principi di sostenibilità”. Così Natasha Linhart, ceo di Atlante (azienda che opera nel settore della grande distribuzione alimentare come partner strategico al quale si affidano le catene per la selezione, importazione e distribuzione di prodotti alimentari da tutto il mondo), definisce il ddl relativo al meat sounding.

Il riferimento è al testo della normativa al vaglio del Parlamento idea con l’intento di contrastare la carne sintetica.

La contrarietà, spiega l’azienda, è condivisa anche da alcune tra le più importanti realtà nel settore plant-based come Io Veg-Consorzio Etico, Vis Industrie Alimentari, Joy Food e Vivera B.V, chiamate a raccolta per analizzare i dettagli della legge pubblicata in Gazzetta Ufficiale e ritenuta un grosso passo indietro e controcorrente rispetto ai principi di sostenibilità promulgati dall’Ue.

Un passo indietro rispetto allo status quote

“Riteniamo che questa proposta di legge rappresenti un grosso passo indietro, in quanto una buona offerta di prodotti a base di proteine vegetali consente di ridurre le emissioni CO2 generate dagli allevamenti, e è quindi fondamentale per il benessere del nostro pianeta – commenta Linhart -. In Italia, il 57% delle emissioni dovute all’alimentazione deriva da carne e uova e genera un consumo eccessivo di acqua. “Considerando che, secondo le ultime proiezioni delle Nazioni Unite, la popolazione mondiale potrebbe crescere fino a circa 8,5 miliardi nel 2030, le alternative vegetali rappresentano una soluzione importante per il nostro futuro, in quanto sono nettamente più sostenibili. Per questo - conclude Linhart -. Troviamo che la proposta di legge non solo non tuteli i consumatori, ma possa arrecare un grosso danno all’ambiente che ci circonda.”

I contenuti della norma

Il Ddl, oltre a proibire la produzione e vendita di carne coltivata in laboratorio in Italia, un settore emergente che promette di rivoluzionare il sistema alimentare globale, prevede che non possano più essere utilizzati termini come “burger”, “straccetti”, “nuggets”, “salsiccia” riferiti a prodotti plant-based. Le motivazioni a supporto di questa proposta sarebbero la tutela del patrimonio zootecnico nazionale e dei consumatori, in quanto i prodotti a base vegetale sarebbero fuorvianti per via della loro denominazione.

Dall’associazione ricordano che “le proteine vegetali hanno un impatto climatico molto minore rispetto a quelle della carne, come dimostrato più volte anche in questo COP 28. Difatti la loro produzione comporta diversi benefici in temini di sostenibilità ambientale rispetto ai prodotti di origine animale: una forte riduzione delle emissioni di gas serra, minore utilizzo del suolo e un notevole risparmio d’acqua.

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