Le vendite dei negozi nei centri commerciali sono scese del 30%, ma il dato varia molto in rapporto ai settori: la ristorazione chiude con -45,8%, abbigliamento&calzature a -34,5%. Elettronica di consumo (-13,5%) e beni per la casa (-15,9%) i più "fortunati"

Un anno, il nefasto 2020, che si è chiuso quasi tragicamente per i centri commerciali: vendite sotto zero, a -30% rispetto al 2019 per le attività presenti nelle gallerie (mall): il dato proviene dall’analisi dell’Osservatorio del Consiglio nazionale dei centri commerciali (Cncc), realizzata su un campione rappresentativo di centri commerciali associati (233 strutture per un totale di 8.534 negozi). Indagine Nomisma alla mano, ricordiamo che i centri commerciali italiani (1.254 strutture per 19,6 milioni di mq di Gla) producono un effetto diretto in termini di fatturato pari a 71,6 miliardi di euro, effetto che sale fino a sfiorare i 140 miliardi di euro se sommiamo l'indiretto e l'indotto. Lo studio Nomisma, presentato a Roma il 12 giugno 2019, rimane uno dei pochi validi insight dell'industria centri commerciali prodotti in Italia.

Tornando alla funerea contabilità del 2020, Cncc considera il dato (-30% di vendite) "come atteso e inevitabile",  visto che per 10 mesi, a partire da marzo 2020, il settore, rappresentato nel suo complesso da centri commerciali+parchi commerciali+factory outlet, ha lavorato normalmente 4 mesi su 12 nel 2020. Ricordiamo che, secondo lo studio Nomisma, il contributo erariale complessivo dei centri commerciali ammontava nel 2019 a 27,9 miliardi di euro fra imposte dirette e indirette).

Il contributo erariale complessivo si divide tra imposte indirette (Iva e altre imposte per complessivi 15,6 miliardi di euro) e imposte dirette (Imu e soprattutto Ires e Irap per complessivi 12,2 miliardi di euro)

I cali delle vendite, settore per settore

Per poter fornire un quadro significativo e non falsato dalla tendenza già di per sé anomala e di assoluta eccezionalità che ha caratterizzato il 2020, l’analisi Cncc confronta i due periodi (2020 vs 2019) includendo solamente i negozi che nell’ultimo anno sono rimasti aperti per almeno 10 mesi. Tutte le categorie merceologiche hanno registrato evidenti cali delle vendite, seppur con performance diverse: la ristorazione segna la peggiore flessione pari a -45,8%, seguita dall’abbigliamento&calzature (circa -34,5%), attività di servizi (-33,9%), servizi sanitari e alla persona (-30,9%), cultura e tempo libero (-29,1%), beni per la casa (-15,9%) ed elettronica di consumo (-13,5%).

Le chiusure imposte durante i weekend a partire da novembre 2020 hanno contribuito alla contrazione dei fatturati: -49% a novembre, con un impatto maggiore su ristorazione (-69,5%) e abbigliamento&calzature (-63,9%). Sempre con riferimento al mese di novembre, se si considera il trend di ingressi dei visitatori si registra un calo del 52,7%, addirittura più marcato rispetto ai fatturati.

Quest’ultimo monitoraggio degli ingressi evidenzia non solo le conseguenze delle restrizioni durante i weekend, ma anche l’impatto della chiusura di cinema e attività per il tempo libero che limita pesantemente i flussi nella seconda metà della giornata generando un disequilibrio economico per i singoli punti vendita.

A rischio 100.000 posti di lavoro

Questi dati confermano la reale e urgente necessità di misure di sostegno specifiche per gli operatori dei centri commerciali, con particolare riferimento alle attività a conduzione familiare il cui equilibrio economico è maggiormente a rischio, considerato anche il prolungamento delle misure restrittive nei primi mesi del 2021.

In assenza di tali misure, aggiunge il Cncc, si potrebbe assistere già nel breve periodo a rilevanti e inevitabili conseguenze sull’occupazione, stimabili in una riduzione del 20% dell’attuale forza lavoro diretta e indiretta impegnata nei centri commerciali (pari ad almeno 100.000 lavoratori).

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