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Stefano Beraldo ha tutte le caratteristiche del vincente, elegante e decisamente sicuro del fatto suo, sciorina numeri e percentuali, con l'aria di chi, mentre racconta i risultati (tutti positivi) dell'oggi, con la testa sta già organizzando il futuro. Excelsior sarà nuovo per me che lo intervisto, ma per lui è già acqua passata, intanto pensa alla Russia ...
A metà luglio, Gruppo Coin ha rinnovato il cda, aldilà della sua riconferma come amministratore delegato, sono apparsi nomi nuovi ...
Effettivamente c'è stato un avvicendamento dei consiglieri, ma non un cambio di governance. Tra le novità, c'è l'ingresso di Krogner-Komalik, l'uomo che ha creato e seguito Esprit fino a cinque anni fa. È un signore che sicuramente ci porterà un bagaglio di esperienza internazionale utilissimo, dato che uno degli obiettivi che abbiamo è crescere in maniera importante all'estero. Un altro nome nuovo è Olrich Weiss, ex Deutsche Bank che, per conto di uno dei soci, porta competenze finanziarie a livello internazionale. In sintesi, assistiamo a un aumento del profilo del cda.
C'è anche Mr Wu ...
È un giovane di BC Partner e no, non è “il cinese” che vuole comprare il Gruppo Coin. A parte gli scherzi, noi italiani abbiamo un destino complicato, ma la recente storia di Gruppo Coin testimonia che l'Italia è ancora un paese dove vale la pena d'investire, visto che siamo ancora un'azienda quasi totalmente esposta ai consumi del nostro paese. Il fondo di private equity, BC Partners che ha appena acquistato la maggioranza del nostro capitale lo ha fatto pensando a uno sviluppo internazionale, ma con la consapevolezza che l'unica realtà che, al momento, hanno acquisito è quella italiana: un segno di fiducia nel nostro paese.
Il retail del tessile abbigliamento in Italia è caratterizzato da un'elevatissima frammentazione, simile a quello della gdo di vent'anni fa.
Voi ne siete i leader: potenzialità o disturbo?
In Svezia, H&M ha il 18% e in Spagna Zara supera il 15; in Italia, il primo retailer, Gruppo Coin, non arriva al 6% e l'insegna OVS industry raggiunge appena il 5%. Quindi, si apre una grande opportunità di modernizzazione.
In questo panorama qual è il ruolo presente e futuro del department store ?
I department store in Italia hanno ancora bisogno di fare molta strada. La frammentazione ha scoraggiato la formazione di una vera industry e, a eccezione nostra e di Rinascente, non c'è nulla. Nè, credo, che potessimo chiamare department store Standa e Upim e, fino a pochi anni fa, sia Coin sia Rinascente -con l'eccezione, forse, di Rinascente Duomo- potevano definirsi tali, in quanto avevano una grandissima prevalenza di house brand. Questa situazione sta cambiando per due motivi: uno, perché queste due aziende hanno fatto una serie di passaggi e percorsi che le hanno portate a mutare fisionomia; due, perché il mercato sta cambiando e un certo tipo di distribuzione multimarca sta mostrando la corda. L'esistenza in Italia di un semi-monopolio della distribuzione, che obbliga i brand ad avere relazioni con dei piccoli multimarca, rappresenta un freno alla modernizzazione del sistema, cui si aggiunge la crisi, che ha messo in difficoltà i negozi più piccoli, che fanno fatica a impegnare budget importanti per le collezioni. Questo comporta che le marche del lusso non riescano a mostrare i loro prodotti con la qualità di visual merchandising e la quantità di merce esposta sufficiente per comunicare al cliente finale l'idea di fondo della collezione. Il loro prodotto si trova spesso polverizzato, quindi, tutto il lavoro dello stilista viene vanificato da una distribuzione che lo rende poco visibile. L'alternativa è la valorizzazione della boutique, con un buyer molto sofisticato, capace di mescolare, di proporre uno stile innovativo, trovando, di volta in volta, le proposte migliori, ma questo rende il lusso più fragile, togliendogli autorevolezza.
Chi è Laureato in economia e Com- mercio all'Università Ca' Foscari di Venezia, Stefano Beraldo ha un passato nel Gruppo Benetton, Gs, Euromercato, De Longhi. Dal 2005 ammistratore delegato di Gruppo Coin, è una figura singolare di manager-imprenditore che ha dato una svolta alla storica insegna investendo capitali in prima persona e trasformandola (con i suoi marchi Coin, Ovs industry e Upim) nel più grande retailer di abbigliamento italiano. |
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Come può uscire la marca da questo impasse?
Oggi, le marche si rendono conto che per distribuire il proprio prodotto ci sono due canali: il monomarca, che però è oneroso e il canale department store. In Italia, è un problema gestirli entrambi: il monomarca funziona bene in grandi città, dove c'è un bacino di attrazione sufficiente per il lusso, ma nelle altre città italiane, quelle da 100.000 abitanti, non sempre è sostenibile aprire un negozio da 250 mq e se lo si apre da 80 mq non funziona, perché i costi fissi sono troppo alti. Il nostro obiettivo è, quindi, di catalizzare un sogno che è quello, non solo di avere il grande department store di Milano e Roma, ma di aprire dei grandi negozi, che non chiamerei più department store, ma negozi rivolti al lusso, con un gestore come noi che ha l'abilità, la competenza di creare traffico, di creare atmosfera, ambiente.
Come spiega la partnership con Antonia? (Giacinti, proprietaria con Maurizio Purificato dell'omonima boutique del lusso meneghina, ndr)
Questa è la mia aspettativa: sviluppare una sinergia in cui Gruppo Coin mette a disposizione le sue competenze da grande piattaforma specialistica e il buyer del lusso mette in campo il suo know-how. Il lusso ha bisogno di visual merchandising, marketing, gestione vetrine ecc. barcode, di logistica, di security; ed è in questo senso che si inserisce l'operazione Excelsior, unendo sinergicamente le competenze del Gruppo Coin e quelle di un buyer di professione, già inserito nel contesto socioculturale, in grado, quindi, di rischiare sulla scelta corretta di una collezione. Ecco spiegata la scelta di Antonia, scelta che potrà anche arricchirsi di ulteriori competenze locali per le prossime aperture .
Excelsior Concept |
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Non teme che così facendo Excelsior perda di identità?
No, continueremo con Maurizio e Antonia nella direzione artistica anche per i nuovi building che faremo. L'obiettivo è di dare a Excelsior Milano una sua impronta non standardizzata, ma con una matrice comune, pur rimanendo aperti alla collaborazione con realtà locali, che abbiano voglia di o raddoppiare o spostare la propria ubicazione e far parte di un progetto che si sviluppi su palazzi più grandi, di cui la parte boutique sarà sempre, in tutti gli Excelsior, una componente.
Quali motivi vi hanno spinto a entrare, proprio adesso, nel mondo del lusso?
Siamo un paese che ha bisogno di fornire al lusso dei luoghi che diventino le piazze dove il cliente possa trovare un ambiente aperto e fruibile, senza le barriere, anche psicologiche, della boutique. Excelsior è un progetto che nasce in collaborazione con le marche del lusso. Siamo partiti con un premarketing, verificato l'interesse, abbiamo individuato lo spazio, siamo riusciti a valorizzarlo con un intervento architettonico importante. Così siamo riusciti ad attrarre i marchi del lusso.
Upim pop è un piccolo centro commerciale, Excelsior è un centro per il commercio di lusso. Coin, un department store, che ha degli spazi della marca e vostri. Un portafoglio dove il rischio sembra ben distribuito ...
Si è aperta l'opportunità di gestire location oltre che gestire merci: da un lato, sono un retailer e dall'altro, un produttore d'abbigliamento, con un marchio come OVS. Inoltre, se guardo al cliente Coin vedo che, spesso, è al confine tra il mondo dell'upper casual, o del posizionamento medio, e del lusso. Oggi, lo shopping tende a migrare molto e il consumatore va da H&M come da Gucci; così mi sono chiesto se non valesse la pena di completare l'offerta verso l'alto trasformandoci in un gruppo retail multiformato. Quindi, la partenza di Excelsior significa fare un primo passo in un mondo dove le vendite al mq sono molto più alte e la resa dello spazio è, di conseguenza, infinitamente più alta; la gestione diventa più onerosa in termini del servizio al cliente, ma la marginalità finale rimane importante.
A questo punto, tranne OVS, tutti i vostri concept hanno una peculiarità “immobiliare”: come gestite questi spazi?
La gestione è estremamente articolata e non c'è una modalità prevalente. C'è la vocazione di avere diverse tipologie contrattuali, in funzione dei diversi obiettivi, che ci si pone con la marca, in quello spazio. Nella boutique, a gestione congiunta con Antonia, abbiamo fatto un lavoro apparentemente simile a quello del wholesale, anche se le condizioni di gestione di diritti di reso e, in molti casi, le condizioni di coinvolgimento sul risultato, sono più simili a quello degli affitti spazi. In altri piani e in altri segmenti si tratta interamente di affitto spazi, dove noi ci occupiamo del merchandising mix, del visual merchandising e delle direzioni commerciale e marketing. Per Upim la condizione contrattuale è come quella appena descritta, ma con ancora meno wholesale. Upim diventa veramente il piccolo centro commerciale di città, il nostro rischio commerciale è solo la house brand.
Gli altri devono vedere, nell'opportunità di lavorare insieme a noi, l'occasione di poter gestire il proprio profilo di rischio imprenditorialmente, gestendosi lo spazio e mettendoci le proprie merci. Quindi, le tipologie contrattuali sono molto variegate; infatti,ci sono una serie di società estere che trovano qualche difficoltà a dirimersi: per esempio Springfield, un brand di un gruppo spagnolo di casual sportswear (circa 600 store in Europa) non ha ancora l'organizzazione in Italia e, quindi, con Upim, invece di avere un contratto di vera propria concessione, ha un contratto di commissione con meccanismi di contributi che lo rende a tutti gli effetti assimilabile a una concessione. In sintesi, si va dai contratti di wholesale con totale diritto di reso prima dei saldi, a contratti con tutto incluso.
A un anno abbondante di distanza dalla riconversione di Upim, facciamo il punto?
Quando è stato acquisito, Upim consisteva in 135 negozi con 7 mio di euro di Ebitda negativo e con circa 30 mio di euro di perdite, una situazione che durava da qualche anno. Li abbiamo acquistati a gennaio 2010 e abbiamo iniziato le conversioni a marzo, il bilancio 2010, con sei mesi di gestione nostra, si è chiuso con un Ebitda positivo di venti milioni di euro; il bilancio 2011 si chiuderà con un ebitda superiore a 45 milioni (da confermare). Un risultato che abbiamo ottenuto muovendoci su tre assi.
In primo luogo, la conversione in OVS, qualora non avessimo negozi in sovrapposizione: si è trattato di circa 60-70 negozi che hanno mediamente fatto il +35% del fatturato, a parità di dimensione; la marginalità di OVS era già superiore a quella di Upim, se poi ci aggiungiamo il maggiore fatturato al mq, ecco che cambia radicalmente il conto economico di negozio.
In secondo luogo, una dozzina di negozi sono stati convertiti in Coin, solitamente negozi più grandi o che non potevano essere convertiti in OVS perché l'insegna era già presente nell'area. Mediamente i 12 Coin hanno fatto +45%. Per quanto riguarda, invece, gli Upim rimanenti (una quarantina) -tranne qualche eccezione- abbiamo deciso di puntare sul marchio Upim stesso, reinventandone il logo e rilanciando l'immagine del negozio, con l'idea di centro commerciale di città. Per ora, ne abbiamo convertiti 6 e siamo soddisfatti, con +45% di fatturato rispetto alla gestione precedente. Dati questi risultati, convertiremo tutti i residui Upim, tranne tre o quattro, che facevano già parte di un piano di dismissione, e che chiuderemo entro gennaio. Alla fine dell'operazione, avremo 35-40 Upim pop dei 140 che erano, avremo oltre 100 franchisee a insegna Upim, che verranno gradualmente “poppizzati”, cioè saranno attribuiti loro tutti i simboli che caratterizzano l'insegna e ci sarà una graduale operazione di conversione. Benché non fosse in programma abbiamo aperto otto nuovi Upim pop, in franchising.
Come funziona il franchising con un formato “a mosaico” come quello di Upim pop?
Per esser oggettivamente onesti, l'Upim pop in franchising è meno pop dell'Upim di piazzale Corvetto (a Milano, ndr) dove troviamo l'elettronica di consumo e marchi come Yamamay, Carpisa, Mo' Confort Café, quindi un vero c.c. di città. L'Upim pop di un franchisee, magari del Centro Sud, in una città di 35-45 mila abitanti, di prima periferia, è un negozio moderno che offre prevalentemente house brand; una sorta di Monoprix senza i brand; il merchandising house brand viene fatto da un team che è quello di OVS, direttamente adattando e modificando l'impronta, per creare una collezione diversa. Diamo, quindi, al cliente Upim un prodotto migliore a un prezzo più competitivo. Alla fine della partita, questi Upim diretti rappresentano quello che rimane della vecchia Upim, sono 40 e non 140, ma fanno il 45% in più.
Store brand su cui puntare per sviluppare nuovi format ... Luca d'Altieri come va?
Se lei mi chiede come è andato Luca d'Altieri, le dico bene, se mi chiede perché non ne ho fatti altri, le rispondo di darmi un po' di tempo: Luca d'Altieri è un esperimento riuscito, non lo stiamo sviluppando proprio per un fatto di priorità. Coincasa è riuscito e lo stiamo facendo. Ma la priorità assoluta per il nostro gruppo è lo sviluppo di OVS Kids che ci sta dando grandissime soddisfazioni. Ne abbiamo aperti circa 80 in pochi mesi e siamo molto contenti.
E i Bluekids di Upim?
Bluekids ha un fatturato importante e ne stiamo anche aprendo, è un'opportunità territoriale: laddove ho un OVS kids un altro partner può aprire un Bluekids. Non è una cannibalizzazione interna, perché il mercato bambino, con posizionamento di prezzo medio-basso ha un grande spazio per l'espansione.
Estero?
Avevamo dichiarato che ci saremmo concentrati sull'Italia e da quel giorno a oggi abbiamo aperto 15-20 negozi all'estero, raggiungendo quota 90, prevalentemente OVS. Inoltre, abbiamo aperto in franchising il primo negozio a Parigi, nel c.c. Le Millénaire, il prossimo sarà in autunno. Dopo la prima fase, in aree periferiche dell'Europa Centrale e Balcanica, abbiamo fatto due joint venture in Cina e India e stiamo aprendo un primo negozio a San Pietroburgo, importantissimo per noi perché segna il nostro ingresso in Russia, un secondo lo apriremo a Mosca. Con lo store di Parigi, ci cimentiamo con un mercato maturo e sofisticato, forse ancora più dell'Italia; ottime le sinergie con la società dei centri commerciali Unibail-Rodamco, che dimostra interesse verso il nostro formato. Ci sostiene anche la logica di ricambio del mercato francese, dove H&M e Zara la fanno da padrone, e celio* e Promod sono ormai consolidati. Il landlord sente il bisogno di portare un po' di novità nei centri commerciali e per OVS si tratta di una potenzialità interessante.
Le viene mai voglia di cambiare mestiere?
Questo è il mestiere più bello del mondo.