Gamification e branded entertainment: è una questione di linguaggio

Aumentano i progetti di intrattenimento legati a piattaforme di gioco e rivolte alla GenZ. Ne hanno parlato aziende e creator in occasione dell'evento “Genz & Gamification”

Un evento atteso quello patrocinato da OBE e realizzato da 2WATCH, in collaborazione con UniCredit Start Lab. Realizzare iniziative di branded entertainment nel contesto gaming significa interagire con il mondo preferito dalla generazione più studiata dal marketing contemporaneo, la Zeta, ed è un’impresa complessa. L’errore più facile, infatti, è di linguaggio. Non si tratta solo di wording e scelta delle parole più in linea con la generazione, quanto della definizione di uno storytelling ingaggiante, autentico e trasparente, in linea con le aspettative del target di riferimento. Il tema è stato al centro di “Genz & Gamification”, evento patrocinato da OBE e realizzato da 2WATCH, in collaborazione con UniCredit Start Lab a Milano, dedicato all’analisi e all’evoluzione delle strategie di gamification rivolte ai giovani consumatori. L'argomento non è nuovo al branded entertainment (su Mark Up ne avevamo parlato già nel 2021, quando OBE aveva inserito il tema tra gli highlights del suo summit) e negli ultimi anni si è evoluto da tendenza di nicchia a mainstream. I gamer al mondo sono più di 3 miliardi e solo in Italia ci son oltre 14 milioni di videogiocatori con una età media di 29,8 anni (fonte: IIDEA, 2023). Dati che non inquadrano solo un pubblico di gamer passivi, ma una varietà di figure che vanno dai creator agli esperti del settore, fino a intrattenitori veri e propri, capaci di dar vita a contenitori digitali che coinvolgono tutte le diverse figure. Un elemento conduttore è la trasversalità rispetto alla fruizione di contenuti e la capacità di acquisire informazioni durante il gioco grazie a una visione multischermo, che non riduce la capacità di attenzione. Qui entra in gioco la funzione sociale del gaming, decisamente importante, che consente di interagire costantemente con altri giocatori, riducendo distanze e rinnovando legami anche di tipo generazionale (tra GenZ e Millennials, soprattutto, accomunati dal continuare a essere gamer nel tempo) e appiattendo la distanza tra i generi, già in forte calo in questo contesto.

Catturare l’attenzione

La GenZ, ha sottolineato Valentina Camoni, head of strategy FUSE, gioca per divertimento, passione e intrattenimento. L'utilizzo dei videogiochi contempla, in contemporaneo, anche un importante momento di relazione con amici e utenti. Vien facile comprendere come mai la tv venga praticamente ignorata da una generazione che richiede, per poter essere realmente coinvolta, nuove modalità di linguaggio, anche multicanale. Un esempio è la piattaforma di intrattenimento Daznfun.it, realizzata dall’omonimo servizio di streaming, per ingaggiare gli utenti durante i principali eventi sportivi, anche attraverso delle attività e giochi paralleli - promossi dagli sponsor – che permettono di accumulare punteggi e accedere a premi settimanali e mensili. Il grande interesse nei confronti della GenZ non tiene però spesso conto delle reali caratteristiche di una generazione che richiede stimoli diversi e in cui il senso dell’utilità è sì importante ma non è l’unico a cui far riferimento: il branded entertainment nel gaming funziona se perfettamente integrato a linguaggio, autenticità e connessione valoriale del brand. L’utilizzo di avatar, digital character o virtual influencer può ridurre le distanze a patto che sia preceduto dalla giusta percezione della gamification che, per Luca Lanza, Partner e Consultancy Practice Director Kettydo+ significa fare design, creare dei contesti human centered, relazionali e, anche, imprevedibili. Avvicinare le nuove generazioni ai brand riguarda possibilità trasversali che possono avere un’evoluzione in contesti fisici, ma che, a prescindere da questa circostanza, riescano a far diventare la marca parte attiva dell’esperienza di gioco, perfettamente integrata nel contesto e nel linguaggio. Una naturale imprevedibilità, insomma, dove le opzioni offerte diventano potenzialmente infinite.

Quali possibilità per i brand

L’esempio portato in occasione dell’evento, durante la presentazione della ricerca di SDA Bocconi a cura del knowledge analyst marketing management Bocconi, Francesco Sorbino è il rapporto tra la GenZ e il mondo fashion che da tempo sviluppa progetti dedicati nel mondo gaming. Skin personalizzate per avatar e personaggi, come nel caso di Nike, mappe di mondi come Max Mara su Roblox, sono modalità di engagement che avvicinano giocatori e brand.Le tipologie di collaborazioni che si possono sviuppare sono due: gaming collaborations, attraverso product placement e adv e advergames, ovvero videogiochi creati ad hoc da un brand. La seconda tipologia è vicina a quella che nel branded entertainment va sotto la categoria di original production, prodotti di intrattenimento ideati e creati direttamente dal brand. Nel caso dei videogiochi l’engagement e la conseguente disponibilità a pagare rispetto a un prodotto non è tanto legata alla tipologia di collaborazione quanto al tipo di coinvolgimento di chi gioca. Sicuramente, è emerso dalla ricerca, più il legame tra brad è gaming è forte, arrivando a modifcare l’esperienza di gioco, più alto sarà il livello di engagement. Una suggestione interessante arriva, inoltre, dalla possibilità di misurare l’interesse rispetto alle skin – abiti o accessori indossati da avatar e personaggi – realizzati da un brand e portati nella vita reale. Ci sono poi casi particolari dove l’engagement generato è sempre più alto, a prescindere dal brand o dalla tipologia. Accade nel mondo degli E-sport, competizioni tra professionisti del mondo gaming, fino a qualche anno fa fenomeno di nicchia e oggi fortemente trasversale. Si tratta di occasioni, come sottolineato da Wang Yi Alex, ceo e co-founder HMBLE, in cui una corretta identificazione della value proposition permette di integrare i valori del brand allo storytelling. Questo anche andando a creare delle associazioni per il futuro, consentendo al brand di diventare top on mind per il prossimo futuro dei giocatori, come ha fatto Gillette, creando una mappa su Fortnite e creando un’ancora per gli adulti di domani. Collaborare a progetti legati al gaming significa anche svecchiare il concetto di placement. Un esempio è il format realizzato dallo speaker Bryan Ronzani, The Bryan Box su Twitch,  dedicato interamente al mondo gaming e ai suoi protagonisti, in cui ogni brand presente era collegato a un momento specifico della trasmissione.

Cinque trend da tenere a mente per creare relazioni tra brand e GenZ attraverso il gaming

(Individuati da Valentina Camoni di Fuse durante la tavola rotonda “Play the game: how make GenZ love your brand”)

- Attention: intervenire laddove sappiamo che l’attenzione è maggiormente focalizzata
- Socializzazione: come entrare in conversazioni interconnesse e interpiattaforme?
- Qualità: catalizzare attenzione fornendo un plus rispetto a quanto già presente
- Autenticità, trasparenza, coerenza del brand
- Creatività: in ogni sua forma e declinazione

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