Il welfare aziendale come asset strategico di reclutamento

Il mondo del lavoro sta cambiando profondamente ed è sempre più difficile per le imprese attrarre e trattenere talenti. Dall’ecosistema del welfare una possibile risposta. L'esperienza di Pluxee

Dal Covid ad oggi è cambiato tutto. La cultura del lavoro si è modificata passando da una percezione di dovere incondizionato a dovere condizionato. E le condizioni sono molteplici: bilanciamento corretto tra vita privata e lavoro, benessere psicofisico, sostegno al reddito e altro. L’ecosistema di attori che operano nella somministrazione di servizi di welfare aziendale sta evolvendo velocemente per rispondere alle nuove esigente. Mark Up ha incontrato Anna Maria Mazzini, CGO di Pluxee Italia per fare il punto su questo importante ambito. Pluxee, ex Sodexo Benefit and Rewards Services, si distingue tra i principali player del welfare aziendale per il rinnovamento che la caratterizza e per l’eredità storica dei suoi trent’anni ed oltre di presenza nel mercato. Il nuovo brand è stato lanciato nel 2023 a livello globale e ha fatto il suo ingresso sul mercato italiano nell'ottobre scorso. Di recente invece, Pluxee ha fatto il suo debutto in borsa a Parigi (febbraio 2024).

Nel 2023 nasce Pluxee a partire da Sodexo BRS, nome molto conosciuto. Da dove nasce questo cambiamento?
La nascita di Pluxee è molto più di un cambio nome per la nostra azienda, infatti, con i suoi valori, colori e stile rappresenta la realizzazione tangibile di una nuova strategia e di un nuovo posizionamento che vogliamo ottenere nel mercato dei benefit e welfare aziendale. Il mondo del lavoro si è evoluto tantissimo negli ultimi anni e con un nuovo brand e una quotazione in borsa diretta a febbraio 2024 intendiamo essere ancora più focalizzati sui trend, l’evoluzione e le tendenze del mercato rispetto al passato.

Ma cosa si intende per una maggiore attenzione rispetto al passato?
Come negli anni passati, continuiamo a erogare benefit aziendali in ambito welfare, flexible benefit come buoni pasto e buoni acquisto (carburanti e altro) e la piattaforma welfare vera e propria. È la nostra prospettiva ad essere cambiata, per orientarsi maggiormente al digitale. Pluxee è un brand più giovane, più fresco e in sintonia con il posizionamento che vogliamo raggiungere rispetto al target di riferimento. Le due "e" finali di Pluxee indicano due concetti importanti: employee ed engagement. Puntiamo a generare una customer experience nella fruizione dei nostri servizi totalmente rinnovata ed innovativa, in linea con le modalità di utilizzo attuali di altri servizi.
L'evoluzione che abbiamo compiuto ha preso in considerazione soprattutto l'esperienza dell'utilizzatore finale che è la persona che ogni giorno “vive” la nostra offerta nel suo quotidiano, lavorativo e no. Nel nostro settore, tradizionalmente l’attenzione è sempre stata rivolta alle figure HR dell'azienda, ovvero coloro che scelgono i nostri servizi per i dipendenti della loro azienda. Ma sono questi ultimi che ne usufruiscono e ne traggono beneficio e di conseguenza un maggiore ingaggio nei confronti del loro datore di lavoro. Oggi le nostre app, portali ecc. sono stati aggiornati e allineati con le best practices internazionali di “usability”.

Circa il welfare aziendale, qual è la situazione dal vostro osservatorio e come sta evolvendo la sensibilità delle aziende?
Vi sono due aspetti da tenere in considerazione. Il primo riguarda il significato stretto di quello che oggi il termine welfare significa per le aziende. Non esiste una definizione univoca così come un'interpretazione comune e questo impatta sull'evoluzione dei servizi perché si tratta di una dinamica che deve confrontarsi con il mercato che, in semplici parole, non ha le idee chiare.
Un secondo aspetto è che nelle aziende medio grandi alcuni servizi sono consolidati e oggi ritenuti basilari (si pensi ai buoni pasto) mentre nelle Pmi c'è un grande spazio evolutivo che rappresenta un'opportunità anche perché, nella maggior parte di casi, le Pmi non hanno consapevolezza dei vantaggi, né per i propri dipendenti né per l'azienda stessa.

Passiamo ai fringe benefit
È uno strumento di grande utilità. Attraverso i buoni acquisto che rappresentano la forma più ricercata dal lavoratore, si può dotare l’azienda di uno strumento di flessibilità per aumentare il poter di acquisto delle proprie persone. In sostanza si tratta di gift card multibrand (i nostri in particolare possono essere utilizzati in più di 20.000 punti di vendita online e fisici).

Negli ultimi anni abbiamo assistito al fenomeno delle grandi dimissioni. Quanto il welfare aziendale può mitigare il turn over?
È indubbio che l'utilizzo di strumenti di welfare aziendale determini un innalzamento del valore della relazione tra azienda e dipendente. Ovviamente non può essere una misura estemporanea ed è per questo motivo che le aziende dovrebbero interpretare il welfare aziendale in modo più strutturato.
Oggi il buono pasto è l'entry level e non impatta molto da questo punto di vista. Incide molto di più un piano welfare che interessi davvero ai dipendenti.

Come si costruisce un piano welfare di questo tipo?
Con la flessibilità. L'azienda mette a disposizione dei collaboratori un valore prefissato: sono poi i dipendenti a decidere come utilizzarlo. Sono diversi gli elementi che incidono sulle scelte: la fascia di età, il tipo di composizione famigliare, la situazione personale ecc. Sicuramente ci troviamo di fronte a strumenti che possono diventare uno strumento sia di retention sia di recruitment.

Da questo punto di vista come stanno evolvendo le aziende in Italia?
Stanno sicuramente rivalutando il valore di questi servizi andando oltre la defiscalizzazione come tema di differenziazione. I vantaggi economici rimangono in primo piano ieri come oggi ma le aziende stanno capendo il valore reale di questi servizi e diventano anche più esigenti nelle richieste. Per noi gli elementi differenzianti sono la numerosità dei punti di vendita nei quali i nostri servizi possono essere utilizzati e l’attenzione che poniamo nella scelta dei partner.

Per quanto riguarda i vari settori economici, quali sono più evoluti, quali più arretrati?
Non vi sono grandi differenze tra i macrosettori economici. Le differenze le troviamo sulle tipologie di servizio. Per esempio, i blue collar sono più sensibili ai servizi di base come il buono acquisto che è presente anche nelle voci di rinnovo contrattuale.

E a livello geografico ci sono differenze?
Al Nord Italia è più spiccata la sensibilità alla sostenibilità dei servizi e dei partner mentre al Sud vi è attenzione e interesse per la formazione che viene considerata un benefit. Quindi in definitiva, le differenze le troviamo in funzione delle dimensioni aziendali e dell'area geografica.

Per quanto riguarda il settore retail?
Qui troviamo un elemento di differenziazione nella scelta dei partner. I retailer ovviamente non vogliono che i propri dipendenti utilizzino i servizi dei concorrenti.

A suo parere personale, in Italia si tende a confondere la concessione di flessibilità nel lavoro (orari variabili, smart working) con strumenti di welfare?
Direi che oggi lo strumento di welfare è ben individuabile. Però effettivamente vi è la tendenza a considerare welfare ciò che non lo è. I nostri studi ci confermano che ancora oggi lo smart working è considerato una concessione ma non è benefit. In Italia stiamo evolvendo molto da questo punto di vista ma questo significa solo recuperare terreno rispetto agli altri Paese che hanno una visione molto più avanzata.

 

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