Healthy food: è partita la stagione delle acquisizioni

Per espandere il proprio mercato e allargare il range di prodotti da sottoporre ai consumatori, aumentano le aziende che sviluppano nuove linee salutistiche o acquisiscono brand specializzati (da Mark Up n. 269)

Per capire il successo del settore healthy food basta fare un giro nei negozi di alimentari e nei supermercati, dove gli scaffali dedicati ad ortofrutta di coltivazione biologica, cibi gluten-free e vegani sono sempre più ampi e con un assortimento in continua crescita. Il cibo organico vale 3,5 miliardi di euro e quasi il 3,5% del totale delle vendite alimentari -un valore quintuplicato rispetto al 2000. E anche i dati Ismea parlano chiaro: nei primi sei mesi dello scorso anno i consumi sono cresciuti del 10,3%, in particolare nel Nord d’Italia, dove la spesa bio supera il 65% con un’incidenza particolarmente marcata nei settori del miele (12,9%), delle uova (12,9%), della frutta (7,8%) e degli ortaggi (5,6%). Le categorie merceologiche in fortissima ascesa non si esauriscono qui e comprendono anche la carne di pollo bio, che ha fatto segnare un boom del 61% in termini di volume, e del vino bio (+108%). La distribuzione moderna, con i propri comparti dedicati al biologico, continua ad essere il principale canale di diffusione, erodendo sempre più quote di mercato ai negozi specializzati. E aiutano la promozione delle imprese più piccole.

Di recente il settore healthy food ha visto grandi cambiamenti, principalmente dati dalla spinta dell’aumento delle operazioni di M&A da parte di una cerchia ristretta di player che hanno dato avvio o accelerato gli scambi per espandere il proprio mercato e il range di prodotti per i consumatori. Importanti aziende del comparto food & beverage hanno sviluppato nuove linee o acquisito brand specializzati in cibo veg: tra queste, anche un gigante come Amazon ha investito 14 miliardi di dollari per implementare il settore degli alimenti naturali e dei prodotti biologici.

Non è una coincidenza che nel corso del 2017 le operazioni di fusione e acquisizione abbiano raggiunto l’apice: l’effetto combinato dell’agenda strategica dei piccoli e grandi imprenditori del settore, dei tradizionali giganti del F&B e dei rivenditori continuerà a spingere l’evoluzione di un’industria che solo lo scorso anno ha visto chiudere 103 accordi (+52% rispetto al 2016), di cui circa il 90% nel continente americano (principalmente Stati Uniti) e in Europa, dove la domanda di un’alimentazione più sana e sostenibile è più forte e consolidata tra i consumatori. “Il trend è sicuramente positivo ma in Italia c’è ancora molta strada da fare -spiega Marco Vismara, partner della società specializzata in M&A Oaklins Arietti ed esperto del settore healthy food-. In altri mercati più avanzati il biologico sfiora il 10% delle vendite totali del comparto alimentare”.

Ma quali fattori spingono l’impennata delle operazioni di M&A in questo settore? La risposta, sostengono gli attori principali del cambiamento, si trova nella naturale evoluzione guidata dalle dinamiche competitive all’interno dell’industria e lungo la catena del valore. La semplicità iniziale dei prodotti biologici ha permesso alle prime aziende di creare business delegando all’esterno l’attività produttiva per concentrarsi sullo sviluppo e i canali di vendita -principalmente catene e negozi specializzati in prodotti naturali- che li hanno aiutati in un primo momento a raggiungere un numero maggiore di clienti attenti alla salute, con sforzi pubblicitari limitati e spese minori. Concentrarsi sulle fasi a valle della catena del valore è stato sufficiente per riuscire in un mercato così in crescita, dove la rivalità era limitata e i margini comodamente alti. Una tendenza evidente è stata quella di ampliare progressivamente il portafoglio prodotti includendo quelli senza glutine e lattosio e quelli organici. Oggi le aziende che hanno fatto la storia del biologico mettono sul piatto tutto il loro peso specifico: diventano qualificanti l’anno di fondazione, la scelta accurata delle materie prime, il posizionamento nella filiera italiana (regionale e locale), la creazione di stabilimenti dedicati esclusivamente a lavorazioni bio o senza glutine, la qualità e la modalità delle lavorazioni artigianali degli ingredienti, la sostenibilità dell’intero ciclo produttivo, fino al packaging ecologico.

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