Il purpose spinge i profitti ma va calato nell’azienda e declinato a tutti i livelli

Prima ricerca sull’impatto e la diffusione tra le imprese italiane medio-grandi: 7 su 10 l’hanno definito, ma per 4 manager su 10 non è sfruttato

Sette aziende italiane medio-grandi hanno un purpose, ma poche sono in grado di sfruttarne al massimo il potenziale. È quanto emerge dalla prima ricerca in Italia con oggetto questo “strumento strategico”, che ha coinvolto un campione di oltre 500 manager nazionali. Lo studio (Purpose & Business Transformation: the state of the art in Italy) è stato condotto da Bcg BrightHouse e Polimi Graduate School of Management e presentato in occasione dei Purpose Days che si sono svolti a Milano con ceo, board member e top executive del mondo imprenditoriale e industriale italiano (tra questi Indra Nooyi, già amministratore delegato di PepsiCo).

La ricerca

“La mission indica cosa fa un’azienda, la vision dove sta andando, il purpose la motivazione per cui esiste -ha ricordato Francesco Guidara, managing director di Bcg BrightHouse-. Definirsi per ciò che l’azienda fa è limitante, perché a volte cambia il business, il prodotto, l’industria. Il purpose è invece una categoria senza tempo: scava nell’identità,  è una bussola o stella polare, uno strumento che aiuta a scegliere a prendere decisioni. L’azienda senza purpose viaggia senza strategia; si cristallizza in un pay-off, ma è solo l’inizio: va portato a tutti i livelli nell’organizzazione”.

A giudicare dalla survey, curata da Bva Doxa, con il team di ricerca della Business School del Politecnico di Milano, sembra che i manager italiani siano perfettamente a conoscenza di questo strumento che è un appiglio in una società che ha fatto della fluidità la sua nuova essenza. Il perimetro di indagine ha riguardato per il 51% l’azienda grande e per il 49% quella media; per il 36% il settore di appartenenza erano i servizi, per il 34% l’industria e per il 30% il commercio. Per il 79% si è trattato di manager e il 21% di c-level (per il 67% uomini). Ebbene, 7 su 10 hanno dichiarato di lavorare per una azienda che oggi possiede un purpose. E la percentuale sale al 76% nel mondo dei servizi.  Il 69% ritiene poi che nei prossimi cinque anni la sua rilevanza aumenterà.

C’è poi consapevolezza che definire il purpose porta vantaggi nell’ottenimento degli obiettivi aziendali (per il 62% degli intervistati e per il 73% dei ceo), nell’esperienza quotidiana dei dipendenti (per il 58% degli intervistati) e nel rafforzamento della reputazione esterna dell’azienda (per il 57% dei rispondenti). Numeri che sono in linea con uno studio sulle società quotate americane (raccontato da Mark Up in un’inchiesta sul purpose), che ha abbracciato un decennio, dove era emerso che quelle che avevano chiaro il purpose hanno performato il 120% in più rispetto ad altre società che non lo avevano tale. E che il 77% dei clienti sentiva una connessione maggiore a queste aziende e il 66% che comprava da quelle senza un purpose dichiarato era pronta a cambiare il prodotto verso altre con uno più chiaro.

Chiaroscuri

Il nuovo studio ha però messo in evidenza alcune criticità. Per 4 manager su 10 il purpose appare non pienamente sfruttato come risorsa. “Quando si arriva alla messa a terra è molto difficile da applicare: il 52% dice che il problema più grosso è la comunicazione poco efficace (sia interna che esterna) e il 50% lo scarso allineamento tra leadership e collaboratori -ha sottolineato Josip Kotlar, curatore della ricerca e Associate Dean for Strategic Projects di Polimi Graduate School of Management-. Oggi tra i dipendenti si vive una forte mancanza di significato che li porta a cambiare o ridurre l’impegno. Ma è molto sentita anche tra i manager e più ci si avvicina al vertice più questi avvertono l’esigenza di una chiara indicazione valoriale. Il 30-40% del tempo di un ceo negli Usa è dedicato alla diffusione interna del purpose, raccontato anche nelle filiali -ha fatto sapere Guidara-. Ed è importante anche in fase di recruitment, per assumere chi si riconosce nel valore aziendale”. Scontato dire che il purpose vada maneggiato con cura. “Non va utilizzato in modo strumentale come purpose washing, advertising, marketing. Nel 2024 pubblicheremo la seconda edizione e allargheremo la base dei 500 manager”.

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