Intervista esclusiva a Christian Keller

Copertina – Per il country business manager di Cereal Partners Worldwide serve più consistency, informazione e Category management. (Da MARK UP 188)

Cereal Partners Worldwide (CPW S.A.) è una joint venture nata nel 1990 tra Nestlé S.A. e General Mills Inc. Presente in Italia dal 1991 e responsabile della commercializzazione di tutti i cereali per la prima colazione a marchio Nestlé, fonda il suo successo sulla conoscenza della filiera dei cereali, sui mercati internazionali di approvvigionamento, sulle pratiche di distribuzione e sulle abitudini di acquisto e di consumo. Christian Keller, country business manager della joint in Italia, ha affrontato la crisi del mercato delle materie prime degli ultimi 24 mesi e la contrazione dei consumi delle sue categorie merceologiche. Ecco come.

Dottor Keller, cominciamo dalle materie prime e dai loro prezzi. Quali sono le sue previsioni per il mercato sull'approvvigionamento?

Per parlare dei prezzi delle materie prime bisogna risalire a quanto successo negli ultimi 24 mesi. Abbiamo registrato, infatti, una serie di movimenti e oscillazioni importanti. Oggi il mercato non è più lo stesso nemmeno di 12 mesi fa, contrassegnato da prezzi decisamente alti: alcune materie prime sono diventate più economiche, altre, viceversa, stanno ancora crescendo. Al momento, complessivamente, le materie prime hanno il prezzo di mercato che abbiamo previsto e che ci permette di lavorare con serenità.

I prezzi si sono stabilizzati?

Osserviamo un leggero rialzo dei prezzi ma non di certo come avvenuto in passato.

Posso chiederle come siete riusciti a gestire il rialzo prima e le oscillazioni poi dei prezzi delle materie prime? Qual è stato l'andamento dei prezzi di cessione alle insegne della Gda?

I prezzi di cessione alla Gda e i listini industriali hanno risentito dell'andamento dei prezzi delle materie prime e sono stati adeguati in modo ragionevole. Le insegne, a loro volta hanno adeguato i prezzi finali al consumo. Questo bilanciamento è partito dal febbraio del 2009 e, di conseguenza, abbiamo osservato una variazione dei volumi di vendita.

E cos'è successo nel vostro conto economico?

Abbiamo, da una parte, aumentato efficienza e produttività, aree che la nostra azienda sta continuamente affrontando e dall'altra, come detto, abbiamo aumentato i prezzi dei nostri listini. L'aumento drastico delle materie prime in parte è stato assorbito da noi, in parte è stato riversato sul prezzo di cessione.

Avete quindi rinunciato a una quota della marginalità?

Non abbiamo rinunciato alla nostra marginalità perché abbiamo lavorato sulla produttività dell'intera filiera produttiva e logistica. Non era certo ragionevole scaricare a valle l'intero aumento riscontrato nei prezzi delle materie prime.

Quindi possiamo riassumere che a volte la crisi fa bene perché permette di vedere e lavorare su sacche di inefficienza e di relativa produttività?

La risposta breve è: sono assolutamente d'accordo. La risposta più ragionata è: la crisi permette di focalizzarsi in modo più attento sulle variabili di cost saving all'interno delle strutture industriali. Bisogna però ricordare che i progetti di cost saving sono di lungo periodo e i risultati connessi si vedono dopo un certo lasso di tempo. Quando le crisi improvvise come quella che abbiamo vissuto negli ultimi 18 mesi arrivano, se un'azienda non è preparata ad affrontarle non può reagire in modo sintonico immediatamente.

Voi eravate preparati?

Diciamo che ci siamo da subito adeguati. I progetti che abbiamo iniziato anni fa ci hanno consentito di passare attraverso la crisi in modo abbastanza soddisfacente.

Il termine crisi e il periodo connesso sono realmente superati o no? Le previsioni della vostra azienda quali sono?

Sarebbe meglio parlare di new normal situation, di una nuova normalità. La crisi, come tutti sanno, è stata inizialmente finanziaria e poi via via si è trasformata in crisi economica e di cambiamento dei consumi. A livello mondiale siamo in una fase di recupero. A livello europeo alcuni paesi sono anch'essi in fase di recupero e altri, come per esempio la Grecia o la Spagna, stanno affrontando forti difficoltà.

E l'Italia?

Nel nostro paese abbiamo vissuto una crisi con forti contraccolpi…

Dottor Keller: l'Italia è fuori dalla crisi?

È francamente difficile dare una risposta sintetica alla sua domanda. Onestamente non penso che l'economia tornerà a crescere a livelli decisi come negli anni pre-crisi. Penso che ci sarà un graduale, lento recupero, con oscillazioni importanti e short crisis in alcuni settori, che ridurranno o rallenteranno il tasso di crescita soprattutto nel consumo. Nelle nostre categorie merceologiche negli ultimi 18 mesi il consumo è comunque diminuito.

In volume?

Sì, certo.

Di quanto?

Del 3%. E questo è un effetto parallelo alla situazione economica del paese. Abbiamo effettuato analisi in diversi paesi e tutte hanno evidenziato una correlazione fra la riduzione dei volumi di vendita e la riduzione del prodotto interno lordo. È un dato interessante con una tendenza comune: se il Pil aumenta aumentano le vendite delle nostre categorie, se diminuisce il Pil diminuiscono parallelamente i consumi delle categorie a noi interessate.

Il prodotto interno lordo italiano lo scorso anno è però diminuito del 4,9%.

Certo. Però ho parlato di tendenza e questa è evidente. Ci sono segmenti che hanno altri andamenti.

Per esempio?

Gli store brand, che, invece, sono aumentati.

Sottraendo quote di mercato alla marca...

Sì.

Irreversibilmente?

Non direi. Strutturalmente il mercato italiano è diverso dagli altri paesi europei: la quota di mercato della marca è molto più alta e i valori della marca hanno un radicamento storico nel vissuto dei consumatori.

Mi scusi per la domanda: le vostre vendite sono diminuite del 3% in volume e, poniamo, del 3,4% in valore; parallelamente i prezzi di cessione e al consumo sono aumentati. Se non aveste aumentato i prezzi la vostra diminuzione sarebbe stata del doppio di quanto si è verificato. È così?

Quello che sta tentando è un calcolo teorico. Non posso confermarglielo perché non si è verificato. Non abbiamo fatto queste proiezioni. Una cosa è certa: la sensibilità al prezzo del consumatore italiano è più elevata di due anni fa.

Posso contraddire, per cortesia, quest'ultima affermazione? Personalmente credo che si debba parlare di sensibilità alle promozioni di prezzo più che di sensibilità al prezzo tout court. Nel largo consumo la grande totalità dei prezzi è fatta di pochi euro e molti centesimi: come si fa a dire che c'è un'alta sensibilità al prezzo? Non siamo nel comparto delle automobili…

La prima colazione in Italia è considerata come l'occasione più importante di incontro e di socializzazione della famiglia di tutta la giornata. È la più importante per la nutrizione del corpo, per la selettività degli ingredienti utilizzati. All'interno di questa occasione di consumo i cereali per la prima colazione incidono relativamente poco, circa l'11%, il 12%.

La prima colazione, come atto di consumo, è in crescita…

Dipende dalle categorie e da cosa mangiano gli italiani. I biscotti, che sono il prodotto più semplice e hanno un prezzo al chilogrammo più basso, stanno crescendo. I dati infatti ci dicono che questa categoria è aumentata a scapito dei cereali. È un ritorno alla tradizione, oserei dire al basico.

Perché?

Perché il driver è il prezzo.

Questo fa a pugni con il salutismo e il benessere?

Sì.


Insisto: questi valori sono comunicati correttamente?
Certo.

Allora dovreste avere ben altre quote di mercato…

La nostra comunicazione è molto articolata ed è incentrata sugli attributi nutrizionali corretti e sul concetto di benessere equilibrato: dai commercial al packaging è un continuo sforzo di comunicare in modo trasparente prodotto e benefit.

Sullo scaffale, però, a giudizio di MARK UP, questa comunicazione on pack, certamente distintiva e trasparente, sicuramente un vantaggio competitivo, si vede poco.

L'informazione non è un elemento competitivo. Il consumatore attento vede le differenze fra prodotto e prodotto, brand e brand e cerca l'informazione, apprezzandola. Questo ci distingue dagli altri cereali che sono nel mercato. Il problema che lei solleva è uno spunto che accolgo volentieri e sul quale ragioneremo.

Il prezzo di vendita è un elemento tattico o strategico?

Il prezzo al consumo compete alle insegne della Gda, noi possiamo fare una raccomandazione ma il prezzo al pubblico lo stabilisce ogni singolo retailer. Il valore del prodotto e i suoi benefit non possono, comunque, essere espressi soltanto dal prezzo. Competere esclusivamente sul prezzo porta alla distruzione del valore che nel lungo periodo non è sostenibile per l'intero sistema.

Forse conviene allora educare oltre al consumatore anche i retailer.

Lo stiamo facendo proponendo processi di category management e di joint business plan.

L'every day low price stenta ad affermarsi nel nostro paese. Perché l'industria non premia quelle poche insegne, come U2 di Unes, che ne fanno una filosofia commerciale?

Non posso entrare nella singola strategia dei nostri clienti. Every day low price non significa prezzo basso a tutti i costi ed è una buona strategia, non a caso è ben sviluppata da Wal Mart, ma funziona altrettanto bene anche l'high-low price. Il problema è non distruggere valore, come, purtroppo, sta avvenendo in Italia, dove molti prezzi high stanno diventando low e vieppiù low che nel passato, dimenticando che dovrebbero, alternatamente, ritornare high.

Come si esce, allora, dalla bagarre della promozione al ribasso?

L'industria deve garantire continuativamente ai consumatori prodotti di valore, facendo comunicazione su tutta la catena e spiegandola in modo trasparente, permettendo al distributore di esercitare un prezzo adeguato che tenga in debito conto il valore intrinseco del prodotto. Non necessariamente il prezzo deve essere alto, ma deve essere certamente un prezzo che corrisponda davvero al valore del prodotto.

Come fate, in questa situazione di mercato, a creare fedeltà ai vostri brand/prodotti?

Qualità in aumento, soddisfazione delle aspettative da quando il consumatore acquista il prodotto nel punto di vendita a quando lo apre a casa. Informazione e innovazione della comunicazione per aumentare l'interesse del consumatore verso il brand/prodotto.

Qual è il principale driver che manca oggi nei rapporti industria-distribuzione?

La fiducia. Ed è un peccato.

Stiamo terminando l'intervista. Vuole dare un suggerimento ai suoi clienti della Gda su come, dove e quando possono tornare a sperimentare il category management?
I nostri clienti sono i nostri partner. Senza di loro avremmo difficoltà di mercato enormi. Forse è davvero giunto il momento di abbandonare la competizione di prezzo e affrontare quella della costruzione del valore. Non ho un suggerimento particolare, ma un indirizzo valido 365 giorni all'anno: via Giulio Richard 5, Milano.

Chi è Christian Keller
Christian Keller, 42 anni, è country business manager di Cereal Partners Worldwide (joint venture al 50% fra Nestlè e General Mills). Inizia la sua carriera nell'head office di Vevey (Svizzera) della Nestlè e percorre tutti i gradini di responsabilità del gruppo sia in Europa sia in America latina. Dal 2002 al 2006, è stato responsabile per l'Adean Region.

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