Intervista esclusiva a Philippe Starck

Intervista di copertina – Il designer spiega come, oggi, servano meno velocità e più durata del prodotto. Perché il design deve avere spirito di servizio per cogliere i bisogni reali delle persone. (Da MARK UP 186)

Non esiste un'unica definizione che possa racchiudere in sé tutta l'essenza di Philippe Starck.

Cittadino del mondo, creatore, designer, architetto sono demarcazioni troppo nitide che mal si adattato all'ecletticità di questo personaggio che da oltre 30 anni ridisegna il paesaggio reale nel quale tutti noi viviamo. Reale perché Starck è così, una personalità forte, concreta, che prende le distanze dal design inutile e costoso per sostenere lo spirito di servizio che gli oggetti devono avere nei confronti delle persone.

Uno spirito che deve essere sostenuto in primis da coloro che fanno della materia inventiva il loro credo quotidiano modellando il lavoro creativo ad atto civico ed etico.
Questo, in sintesi, lo Starck pensiero dove la rappresentazione del design si rifà a nozioni di utility e onestà ma anche di longevità e qualità laddove la longevità assume il concetto di duraturo quindi ecologico. Le convinzioni di Starck in materia etico-ambientale erano già un'evidenza in tempi non sospetti quando cioè l'etica non aleggiava nelle vision aziendali e i consumatori non erano ancora interessati a tematiche green. Dal catalogo Good Goods nato in collaborazione con La Redoute nel 1999, definito il catalogo dei non prodotti per i non consumatori del futuro mercato morale, alla realizzazione di una linea di prodotti alimentari organici fino al più recente progetto di turbina eolica che consacra il concetto di ecologia democratica così a cuore nelle teorie di Starck, sono molte le idee che danno luce all'estro verde di Philippe. Ma altresì sono molteplici gli ambiti nei quali il nostro designer ha lavorato lungo il suo percorso creativo: dall'architettura di interni al design industriale, dai mobili agli apparecchi elettrici, dalla valigeria ai veicoli, dalle lampade all'abbigliamento. E proprio per quest'ultimo settore, dopo una'incubazione durata 15 anni, Starck ha iniziato a esplorare il mondo della moda avviando una collaborazione con Ballantyne dalla quale ha preso forma una collezione di 30 capi maschili e 30 femminili che si allontana dal concetto di velocità per accostarsi a quello di durata che, per Philippe, è l'unico parametro veramente ecologico. Rifuggire, dunque, da tutto ciò che è usa e getta è il diktat di questo eclettico personaggio che, come scrive nel suo sito web, ama spalancare le porte del cervello umano per farvi entrare un mondo di intensa immaginazione sollevando la gente in un universo mentale, immaginario e creativo che si riconduca alla quintessenza del meglio. Naturalmente senza allontanarsi da concetti di utilità. Del resto come ha più volte dichiarato, nella sua vita non ha mai parlato di design e architettura bensì dell'esistenza umana con le sue lotte, i suoi dolori, le difficoltà, i sogni, le visioni e l'utopia degli esseri viventi. Ma al di là delle visioni teoriche, come può la professione di designer avvicinarsi alle problematiche attuali legate al periodo di crisi economica e sociale che stiamo attraversando? Vi sono delle similitudini o, meglio, delle attinenze tra design e marketing? Starck su questi temi ha una visione ben precisa che in occasione del nostro incontro abbiamo cercato di sviscerare. Sguardo curioso, piglio simpatico, lo incontriamo nello spazio daDriade incalzato da un novero di proseliti che lo ascoltano quasi con devozione.

Monsieur Starck, il design secondo lei può essere al servizio del marketing?

Per rispondere occorre prendere coscienza della mia professione. Ci sono vari tipi di design così come ci sono molteplici modi di essere designer. Esiste il design cinico, che si rifà al pensiero di Raymond Loewy degli anni '50, secondo il quale un prodotto brutto si vende male. Ecco, quindi, che il design diventa uno strumento a supporto del marketing per rendere i prodotti più belli e far sì che le persone acquistino di più. E questa, a mio modo di pensare, si conferma una forma obsoleta e ridicola di impiegare il design.
Vi è, poi, il design narcisista ovvero quello in cui i designer progettano alla stregua di artisti surreali e, infine, il design che cerca di dare delle risposte ai veri bisogni della gente. Io mi riconosco in quest'ultimo ambito: ci sono persone che, come me, provano a guadagnarsi il diritto di esistere professionalmente cercando di lavorare in maniera distintiva, creando oggetti non in quanto tali ma per il valore che questi possono avere per l'individuo che li userà. Io mi rifaccio ai bisogni reali e non a quelli creati artificialmente e sono convinto che il design, purché onesto, possa rappresentare qualcosa di utile per la società.

Ci faccia capire meglio. Qual è il ruolo del designer nell'attuale momento economico-culturale?

Questa professione fatta per ragioni estetiche e culturali non ha più ragione d'essere. Occorre lavorare sulla ridefinizione del rapporto uomo-materia affinché le persone possano riacquistare i loro spazi senza essere sommerse da una moltitudine di cose superflue solitamente portatrici di simbolismi discutibili. La mia attività consiste nell'insegnare la lettura dei segni ai componenti della mia tribù culturale creando delle cose che permettano loro di avere una vita migliore e quindi un miglior modo di pensare. Il mio compito è di compiacere la mia comunità - perché un creatore non è mai solo ma è il rappresentante di una tribù - e quando un membro della collettività ha un problema provo ad aiutarlo rendendogli la vita migliore. Questo è il mio lavoro.

In sostanza ci sta dicendo che un bravo designer non è colui che parla di design, ma è colui che parla di vita…
Sì, il designer deve avere spirito di servizio nei confronti delle persone. Quando si elabora un progetto bisogna pensare alla sua utilità nella vita delle persone. Prendiamo per esempio uno spazzolino da denti: durante la sua ideazione non penso a come sarà esteticamente, ma penso al suo effetto nella bocca dell'individuo che lo utilizzerà quindi alla sua utilità. Non riesco a comprendere perché certi designer aspirano a diventare artisti realizzando prodotti che con il tempo finiscono per diventare inutili e dannosi per la società. Oggi tutti gli oggetti creati per servircene si servono di noi, ne siamo diventati schiavi. A mio dire la priorità sta nel ridisporre le cose al loro posto per rendere l'umanità più felice allontanandola da concetti di possesso e materialità. Il progresso passerà attraverso la produzione di strumenti che tenteranno di riconsegnarci una vita migliore e le industrie che non capiranno il nuovo rapporto uomo-materia continueranno a realizzare cose obsolete senza riconsiderare la propria legittimità.

L'obsolescenza è figlia di una società votata all'usa e getta. Meglio, dunque, oggetti che durino nel tempo in contrapposizione all'attuale concezione di temporaneità?

Nell'epoca attuale contano la longevità e la qualità. Non possiamo più rapportarci agli oggetti come abbiamo fatto dagli anni '60 fino a oggi. Dobbiamo deporre l'idea di usa e getta per far nostro il concetto di longevità, una parola che genera in sé il principio di eredità. L'aspirazione di un prodotto è, infatti, la sua trasmissione ereditaria da padre in figlio. La gente comincia a chiedersi se sia giusto comprare per poi gettare. Non è più il tempo della velocità dei consumi, bensì della durata dei prodotti.

È la durevolezza, dunque, la parola chiave per affrontare la crisi attuale?

La crisi è un dramma per le persone, ma è altresì un'opportunità. È il momento giusto, dunque, per puntare in alto e pensare a quante incredibili possibilità abbiamo per reinventare la società dal punto di vista politico, biologico, dei valori umani. La prossima crisi probabilmente avverrà tra 40 anni quando terminerà il petrolio, e meno petrolio vuol dire meno plastica. Come sarà la società post plastic? L'80-90% del nostro attuale comfort è fatto di plastica e se le persone oggi hanno un minimo di comodità è perché la plastica esiste. Cosa diremo alla gente quando ci sarà meno plastica? La società tornerà indietro in una sorta di era di mezzo dove solo le persone ricche avranno accesso al comfort della plastica.
Qualcuno potrebbe proporre il riciclo dei materiali, ma riciclare non sarebbe una risposta al problema, è soltanto un'ipocrisia. È un concetto inventato dal marketing per produrre e consumare di più. È un falso ecologico. La chiave di volta sta nella durevolezza dei prodotti, solo così potremo uscire dalla crisi. Dobbiamo impegnarci a fondo su questo ragionamento.

Prodotti durevoli ma di design…

Il design deve essere utile. Di per sé come elemento estetico non è più una priorità e nel tempo potrebbe anche dissolversi. Immaginiamo l'evoluzione di un computer: agli esordi aveva le dimensioni di una stanza, successivamente quelle di un armadio, poi quelle di una valigia, di un foglio, in futuro chissà di un microchip sottocute comandato dalla mente umana.
Ecco che il design inteso come componente di bellezza viene meno alla stregua di una strategia di smaterializzazione.

Chi è Philippe Starck

Philippe Starck nasce nel 1949 a Parigi. Eredita dal padre, un ingegnere aeronautico, il desiderio di creare e, ancora studente al Notre Dame de Sainte Croix in Neuilly (F), fonda la società Quasar per la produzione di oggetti gonfiabili. Nel 1970 crea il sistema luminoso Easy Light, la prima delle sue realizzazioni a essere pubblicata, e negli anni a seguire (1971-1972) diventa direttore artistico del gruppo Pierre Cardin. Il 1979 è l'anno in cui avvia uno studio di design (lo Starck Product) a Montfort L'Amaury che lo introduce a pieno titolo nel mondo del design e tra gli addetti ai lavori. Ma la vera consacrazione avviene nel 1982 quando la realizzazione dell'arredamento di alcune stanze degli appartamenti privati del presidente François Mitterrand all'Eliseo lo fanno balzare alle cronache.

Molti altri progetti e allestimenti seguono negli anni portandolo a spaziare nel mondo della progettazione collaborando con aziende prestigiose a livello internazionale, sempre libero da conformismi ma con controllata professionalità, la stessa che ha saputo ereditare da suo padre.

Numerosi i premi vinti nella sua carriera. Ricopre, inoltre, la carica di professore alla Domus Academy di Milano e alla École Nationale des Arts Décoratifs di Parigi.
Attualmente vive e lavora a Parigi.

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