Investimenti nella transizione ecologica, quali aziende sono a rischio

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Sono soprattutto le aziende dell’agricoltura a dover mettere in campo ingenti investimenti per centrare gli obiettivi di sostenibilità definiti a livello comunitario

L’agricoltura più dell’industria e dei servizi. Le grandi imprese più delle piccole e medie. Infine le aziende ubicate nel Mezzogiorno rispetto a quelle del Centro e del Nord. Cerved ha da poco pubblicato un report nel quale evidenzia i numeri delle società di capitali italiane messe a rischio dagli investimenti per la transizione ecologica, secondo i parametri comunitari che puntano a raggiungere nel 2050 quota zero emissioni nette.

In totale, segnala lo studio, sono ben 35mila e questo dà la dimensione di quanto siano rilevanti le ricadute “indesiderate” di un processo che è certamente irreversibile, ma che andrebbe gestito nei modi e nei tempi adeguati per evitare crisi sistemiche. Perché, in un’economia sempre più interconnessa come quella attuale, può bastare la difficoltà di poche imprese a mandare in crisi intere filiere, con conseguenze negative sul sistema produttivo, l’occupazione e persino l’intero sistema Paese.

I processi di trasformazione riguarderanno in primo luogo le società più grandi, che impiegano più intensamente il capitale fisico, e il Mezzogiorno, specializzato in settori che richiederanno cambiamenti significativi. La maggiore presenza di imprese a rischio di transizione alto o molto alto si registra nell’agricoltura, dove nove imprese su dieci sono chiamate a interventi radicali, mentre l’incidenza scende a sei su dieci tra energia e utility, con situazioni a rischio molto limitate nell’industria (una su dieci) e nei servizi (una su 20).

Quelle di Cerved sono per forza di cose analisi fatte nelle scorse settimane, che probabilmente alla luce del conflitto in Ucraina andrebbero riviste in peggio, dato che il peggioramento del quadro economico andrà inevitabilmente a influire sulle tempistiche degli approvvigionamenti già deficitarie da qualche mese a questa parte. Anche se proprio il tragico scenario al quale stiamo assistendo potrebbe portare a una revisione delle politiche ambientali, come evidente dagli orientamenti di alcuni Governi (compreso quello italiano) di riattivare centrali a carbone per ridurre la dipendenza dall’import russo, il che significherebbe rinviare i traguardi green rispetto a quelli fin qui prospettati.

Equilibrio finanziario per affrontare la transizione ecologica

Lo studio, intitolato “Il rischio di transizione nel sistema produttivo italiano”, è stato condotto su 683mila imprese, che coprono circa l’80% del fatturato totale delle aziende e contano complessivamente 10 milioni di addetti.

I fondamentali delle imprese sono stati sottoposti allo “stress test” degli investimenti necessari per riconvertire non solo la gamma di prodotti/servizi, ma anche l’organizzazione, e in definitiva la proposizione di mercato delle imprese. Gli analisti sono così arrivati a stimare nell’8,4% del totale (57mila in tutto, con 1,3 milioni di addetti) la quota di realtà della Penisola che necessita di investimenti ingenti per la transizione ecologica.

Di queste, 35mila (il 5% del campione), stando agli score di rischio creditizio e ai bilanci, non avrebbero i fondamentali necessari per sostenere gli investimenti senza compromettere il proprio equilibrio finanziario.

Questo fa dire ad Andrea Mignanelli, amministratore delegato di Cerved, che la transizione verso un modello di sviluppo più sostenibile è sì “una straordinaria opportunità per promuovere un salto tecnologico all’interno del nostro sistema produttivo, ma implica dei rischi che dobbiamo conoscere e misurare, per guidare il cambiamento”. A questo proposito basti pensare al grido d’allarme lanciato dalla filiera italiana dell’automotive, che entro il 2035 non dovrà più produrre veicoli alimentati a idrocarburi. “Sappiamo che per molte imprese questo passaggio sarà difficile, ma abbiamo anche stimato un potenziale di investimenti pari a 20,6 miliardi di euro da parte di 22mila società con fondamentali sani, in settori che richiederanno trasformazioni profonde”, aggiunge Mignanelli.

Le opportunità del Pnrr

Questo potenziale potrebbe essere ulteriormente rafforzato impiegando in modo virtuoso le risorse del Pnrr. “I fondi potrebbero essere usati per supportare processi di riconversione sostenibile di Pmi con difficoltà finanziarie a causa del Covid, ma con prospettive interessanti, in grado di generare valore nel medio periodo”, aggiunge l’esperto.  Che chiama in causa il ruolo degli imprenditori, invitati a misurare i progressi e certificare la sostenibilità della propria azienda con score e rating Esg (acronimo che indica le strategie concernenti l’ambiente, l’inclusione sociale e le buone regole di governo aziendale, ndr), anche per intercettare la grande massa di risorse finanziarie alla ricerca di target sostenibili.

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