La fiducia degli italiani nei brand dopo la pandemia

Dal trattamento riservato ai dipendenti al marketing in linea con le azioni: driver e detrattori della fiducia oggi secondo l'indagine Trustpilot

Anche il significato del termine fiducia è cambiato durante la pandemia. O meglio: hanno subito un'evoluzione a livello qualitativo gli elementi che contribuiscono a costruirla oppure a distruggerla, anche e soprattutto nel rapporto con le marche.
A tracciare un quadro sul tema è la nuova indagine di Trustpilot, che ha coinvolto 7 differenti mercati, tra i quali l'Italia, intervistando un campione di circa 15.000 consumatori.

Guardando ai risultati nel nostro Paese, emerge innanzitutto che le persone sono incentivate ad acquistare da un brand principalmente se questo offre prodotti e servizi eccellenti: parliamo della prima ragione per il 48% degli intervistati, a conferma di come, al di là di fattori quali la comunicazione o la csr, restino centrali valori di concretezza e vantaggio tangibile.

Seguono a stretto giro, mostrandosi rilevanti, motivazioni che hanno a che fare con l’etica del marchio: si sceglie di comprare da un determinato brand quando questo tratta con rispetto i propri dipendenti e tutte le altre persone (43,8%) e quando comunica in modo trasparente le azioni che intraprende e il loro impatto sul pianeta e sulla società (42,4%).

D'altro canto, la prima ragione di abbandono di un brand risulta legata a comportamenti scorretti o pratiche immorali nei confronti di dipendenti e fornitori (56,1%), seguono un marketing fuorviante e non in linea con le reali azioni del brand (45,7%) ed ancora la mancanza di considerazione relativamente ad esperienze e feedback rilasciati dai propri clienti (42,7%).

Più in generale, onestà e trasparenza dell'azienda sono due aspetti abbastanza, molto o estremamente importanti per il 97% del campione, mentre la più specifica presa di posizione su questioni sociali, politiche e/o ambientali ha una sua importanza per il 53,5%, contro un 30,6% che afferma invece di non considerarla in sede di acquisto.

Guardando alle fonti aziendali scelte per informarsi rispetto a tutti gli aspetti di cui sopra, il canale preferenziale è il sito corporate (68,6%), seguito dai canali social del marchio (49,7%) e dalle pubblicità sul web (42,5%). Quando si parla, invece, di fonti esterne, il canale principale è quello delle piattaforme di recensioni scritte dagli utenti (53,1%), che aprono peraltro l'importante tema della moderazione e della verifica di autenticità, seguito dalle valutazioni reperibili su Amazon (39.9%) e da commenti sui social media (39,5%). Interessante notare come “il passaparola di amici e parenti” sembri essere passato in secondo piano (32,4%), forse anche grazie alla crescente disponibilità di feedback pertinenti in rete.

Un contesto, quello delineato dal report, dal quale emerge ancora una volta l'importanza di una gestione omnicanale e coerente del proprio business, che se da un lato deve poggiare sulla gestione dei dati in modo evoluto, come ci ricorda Salesforce, dall'altro non può prescindere dall'ascolto, dall'empatia e, in sintesi, dal fattore intuitivo umano. Il rischio, viceversa, è quello di un "algoritmico" scollamento dalla realtà, come sottolinea Cristina Lazzati nel suo editoriale su Mark Up di novembre 2021, portando ad esempio il lampante caso di Netflix.

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