Neurogastronomia e business: il potere cognitivo del cibo

Neuroscienze e gastronomia costituiscono un interessante binomio da esplorare per ottenere un vantaggio competitivo nei settori Food & Beverage e Horeca, facendone accrescere il business

Scegliere determinati prodotti alimentari presso un preciso esercizio commerciale, così come i locali o i ristoranti in cui consumare i pasti è un’azione spesso condizionata da fattori che vanno ben oltre il mero bisogno di nutrirsi. Il consumo, infatti, è connesso a tutta una serie di parametri legati, oltre che al contesto in senso stretto, anche alla persona. Per questo motivo può rivelarsi particolare utile ricorrere alla scienza, ed al neuromarketing nello specifico, per guardare al settore food con una prospettiva diversa dal solito, e contando su un margine d’innovazione sempre maggiore, grazie soprattutto all’avanzamento tecnologico. Di fatti, se l’obiettivo è analizzare i fattori inconsci che guidano i comportamenti di consumo, le neuroscienze, a cui il neuromarketing fa capo, hanno anche tra le sue diramazioni di studio anche l’ambito della neurogastronomia e della gastrofisica. Questi filoni di studio, seppur assai tecnici e specialistici, rappresentano un’angolazione privilegiata per il business, che venendone a conoscenza, può già solo come primo passo confrontare le proprie strategie in atto, con degli insight che parlano più alla parte “istintuale” dei propri consumatori, notoriamente la più difficile con cui rapportarsi.

Neurogastronomia

Per quanto riguarda la neurogastronomia, ci si trova davanti ad una scienza che si occupa dei rapporti che esistono tra cibi e cervello e del perché ad una determinata persona piace mangiare una cosa, rispetto ad un’altra. Il professor Gordon Shepherd, neuroscienziato dell’Università di Yale, è il padre di questa disciplina che di base va ad indagare la nascita e la conseguente percezione dei sapori sia negli individui. Bisogna, infatti, tenere presente che cibi e bevande non contengono sapori, ma molecole odorose, ed è appunto il cervello a creare odori e sapori. Ed è proprio la neurogastronomia che si occupa dei complessi meccanismi che permettono al cervello di creare i sapori.
Accanto alla neurogastronomia, è possibile menzionare la gastrofisica, che vede tra i suoi massimi esponenti il professore di Oxford Charles Spence ed indica il complesso processo della percezione che hanno le persone nei confronti del cibo e delle bibite. Il termine “gastrofisica” è un composto da due vocaboli: “gastronomia” e “psicofisica”. Tra le specifiche che l’uso del termine “gastronomia” vuole comunicare in questa sede vi è quello di enfatizzare il “buono” dell’esperienza culinaria, che viene connesso alla “psicofisica”, ovvero allo studio scientifico, meccanico e fisiologico della percezione umana ottenuta anche grazie alle tecniche e tecnologie applicate nelle neuroscienze come quella della neuroimmagine funzionale e della PET.
Volendo cercare di tracciare una linea di confine, seppur a tratti labile, tra i due ambiti di studio, si potrebbe dire che la neurogastronomia studia come il cervello umano elabora le informazioni sensoriali legate ai sapori. La gastrofisica, invece, cerca di capire perchè il cibo ha il sapore che ha per ognuno e perché sussiste una predilezione o una incompatibilità con determinati piatti.

Universo sensoriale

Tra i concetti legati ai due ambiti sopra descritti, ne emergono due particolarmente rilevanti se connessi al business. Si tratta di crossmodalità e multisensorialità. Con crossmodalità ci si riferisce al fenomeno per cui, se viene stimolato anche uno solo dei cinque sensi umani, questo finisce in realtà per influenzare l’intera percezione della persona relativamente a quell’esperienza. Questo concetto ha, ad esempio, valso a Charles Spence e Max Zampini nel 2008 il premio IgNobel per la Nutrizione, per il rivoluzionario studio sulla “patatina sonica” (sonic chip). In pratica, i due scienziati scoprirono che bastava amplificare i suoni ad alta frequenza che le persone sentono quando mordono una Pringles, per far sembrare la patatina più fresca e croccante di circa il 15% rispetto a quando gli stessi suoni venivano smorzati.
Per multisensorialità, invece, si intende quel fenomeno per cui l’esperienza gastronomica viene integrata e percepita dal cervello umano grazie a più di uno dei cinque sensi, in una sorta di percezione globale, con più sfaccettature sensoriali. A tal proposito, conoscere i 5 sensi, e la loro interazione, è funzionale per migliorare la customer satisfaction. Ad esempio, il legame fra gusto e olfatto all’interno del cervello è assai profondo, tanto che gli odori e i sapori del cibo stimolano il sistema limbico, l’area cerebrale che regola le emozioni e la memoria olfattiva. Ecco perchè i ricordi legati ad aromi e profumi vengono particolarmente ricordati e perché un uso sapiente delle fragranze permette a food retailer e ristoratori di attirare e fidelizzare i propri clienti. Pure l’udito svolge un ruolo di grande importanza, e in tal contesto la musica ha un ruolo preziosissimo. Infatti, il beat e la velocità della musica di sottofondo con cui i clienti consumano cibo e bevande ha degli effetti: un ritmo veloce in sottofondo corrisponde a un consumo più rapido delle pietanze, per esempio.

Consumer & sensory science

Oggi esistono diverse aziende che si stanno specializzando per diventare “corpi intermedi”, che partendo da questa specifica declinazione delle neuroscienze, possano fornire analisi dettagliate ad uso e consumo di soggetti come appunto food retailer o attori dell’horeca. A seconda delle esigenze del business, infatti, si può ricorrere alla cosiddetta consumer & sensory science, che attingendo da neurogastronomia e gastrofisica, permette di utilizzare le metodologie sensoriali nei vari step che accompagnano la realizzazione di un progetto, sia esso di sviluppo di un nuovo prodotto, di monitoraggio o valutazione della performance sul mercato verso i competitor, o soprattutto rivolto agli stessi consumatori finali, in ottica di personalizzazione. L’analisi sensoriale può, infatti, essere un’ottima alleata nell’individuare il cosiddetto “il profilo di dominanza” di un prodotto, vale a dire la capacità delle sue caratteristiche di catturare, di volta in volta durante il consumo, l’attenzione del soggetto. Ciò risulta essere un asset fondamentale: nell’odierna società “liquida” è sempre più difficile per un retail o un brand conoscere le preferenze di gusto dei propri consumatori. Sapere quali referenze aggiungere sullo scaffale, quale nuovo prodotto lanciare oppure su quale fare promozione e puntare con la propria comunicazione, oltre che far poi incontrare un acquirente con il suo prodotto ideale, è fondamentale per un posizionamento di successo – e soprattutto sostenibile nel tempo – del brand sul mercato.

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