Rallenta l’m&a, ma all’orizzonte si intravede la ripresa

Nel 2022 il mercato m&a si è dimezzato e il rallentamento ha trovato conferma all'inizio del 2023, ma i segnali che arrivano dalle trattative in essere fanno immaginare una ripresa a breve

Le incertezze dello scenario macro rallentano il settore delle fusioni e acquisizioni, anche se all’orizzonte si intravedono segnali di ripresa, con le aziende italiane che non sono solo target degli investitori stranieri, ma sempre più spesso si rendono protagoniste di acquisizioni sui mercati internazionali. È quanto emerso dal  “Merger & Acquisition Summit 2023. Le fusioni e le acquisizioni in Italia, i grandi investitori, le aree interessate e i protagonisti del settore”, organizzato dal Sole 24 Ore in collaborazione con 4cLegal.

Il nodo dei tassi

L’appuntamento è stato introdotto da Fabio Tamburini, direttore de Il Sole 24 Ore, il quale si è soffermato sul tema dei tassi d’interesse, sottolineando i rischi che un’azione così aggressiva come quella condotta dalla Banca centrale europea, può generare sull’economia reale. “Non si può contrastare l’inflazione solo ricorrendo alla politica monetaria, così come è importante dare tempo al mercato per saggiare l’impatto dei rialzi già effettuati”.

Tamburini ha sottolineato i buoni segnali provenienti dagli indicatori macro italiani, “che evidenziano una maggiore tenuta dell’attività manifatturiera nel nostro Paese rispetto a Francia e Germania, anche se eventuali, nuovi rialzi mettono a rischio questa capacità di resilienza.

Lo studio

Silvano Lenoci, responsabile di Kpmg Corporate Finance, ha presentato i dati del 2022, che a livello globale ha registrato un calo del 50% in termini di controvalori e del 19% come numero di deal. “Una tendenza all’indebolimento che è proseguita anche nel primo trimestre del 2023, anche a fronte della prospettiva di una caduta in recessione che fino ad ora però non si è concretizzata”. Tra gennaio e marzo, nel nostro Paese sono state annunciate 258 operazioni tra fusioni e acquisizioni (-21% rispetto al primo trimestre del 2022) per un controvalore pari a 7,2 miliardi di euro (-57% rispetto al primo trimestre dello scorso anno), con il deal principale costituito dall’integrazione tra Autogrill e la svizzera Dufry. Tra le operazioni annunciate c’è, invece, il piano di dismissioni annunciato da Enel durante la presentazione del piano strategico, che prevede cessioni di asset per circa 20 miliardi di euro.

“Se guardiamo la pipeline, ci sono ragioni per essere ottimisti: ci sono tanti dossier aperti, che potrebbero concretizzarsi nei prossimi mesi, a maggior ragione se migliorerà la congiuntura”, ha aggiunto Lenoci.

Un ottimismo dettato anche dal fatto che prosegue la raccolta dei grandi fondi di private equity, che hanno raggiunto livelli record di liquidità (circa 3.700 miliardi di dollari), pronti a investire con rinnovato interesse anche nel mercato italiano, caratterizzato da multipli più convenienti rispetto alla media dell’Ue.

Banche, il vulnus è negli Usa

Interpellato sulla solidità del settore bancario, Federico Ghizzoni, Presidente Rothschild & Co Italia, ha segnalato come le preoccupazioni riguardino più gli Stati Uniti dell’Europa. “Negli Usa si assiste a un deflusso di depositi dagli istituti regionali che genera preoccupazione in merito al possibile credit crunch verso famiglie e piccole e medie imprese – è la sua analisi. Mentre nell’Eurozona le banche vengono da dieci anni di pulizie di bilancio e sono soggette a controlli molto più stringenti, che limitano i rischi.

Dello stesso avviso Fabio Gallia, senior advisor di Centerview Partners, secondo il quale già stanno emergendo difficoltà di finanziamento in capo a tante aziende americane, “che pagano uno spaventoso buco regolamentare in materia di controlli”. Secondo l’esperto, i prossimi mesi resteranno delicati per il sovrapporsi di tensioni geopolitiche e difficoltà di approvvigionamento, oltre ai nodi da sciogliere sul fronte antitrust.

Francesco Gatti, equity partner dello studio Gatti Pavesi Bianchi Ludovici, ha infine sottolineato le difficoltà di operare in uno scenario in cui “stanno cambiando gli ecosistemi”. In questo contesto, ha concluso l’avvocato, “chi sa cambiare ha delle opportunità che prima non aveva” e questo spiega il ruolo crescente dei fondi di private equity, “più abituati a navigare in contesti difficili”.

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