#Takeaction – Sogegross: tempo di scelte, flessibili e veloci, essenziali per stare sul mercato

Maurizio Gattiglia - Ad di Sogegross
A colloquio con Maurizio Gattiglia, Ad di Sogegross, orgogliosamente ligure, anzi genovese, che racconta come vede il futuro della sua family company e quale strada seguire per continuare a essere un riferimento per il mercato

Superando la sua innata riservatezza, Maurizio Gattiglia, classe 1958, ingegnere, Ad di Sogegross, terza generazione di una family company nata in Liguria più di 100 anni fa (l'anniversario è stato festeggiato nel 2020), ha deciso di raccontare la sua visione del retail e di come vede il prossimo futuro per la distribuzione italiana e la sua azienda, sempre più guardata come un punto di riferimento.

Come ci sente a essere un modello?
Veramente, non mi sono mai considerato così. Solo di recente ho scoperto di esserlo per altri imprenditori, soprattutto del Sud, mentre io ho sempre guardato come modelli altri operatori, in Italia e all'estero, per trovare spunti e intuire le evoluzioni del mercato. Detto questo, essere considerato un riferimento, oltre a stupirmi, mi inorgoglisce perchè è una dimostrazione della coerenza del percorso di Sogegross in questi anni, fatta di scelte precise, a volte azzeccate, altre meno, ma lavorando succede. L’importante è che poi abbiamo capito meglio cosa fare e come muoverci. Del resto, raggiunte certe dimensioni, e noi nel 2021 abbiamo superato il miliardo di fatturato, bisogna evitare qualsiasi understatement e assumere il ruolo che ci viene riconosciuto ... con un certo distacco, come è nella nostra natura ligure. Anche per questo abbiamo deciso di aprirci a una nuova fase, più aperta in termini di comunicazione, per comunicare la nostra visione corporate. Una decisione non facile che il nostro Cda, composto da cinque membri della famiglia e tre indipendenti, ha preso, capendo che è tempo di raccontare valori, progetti e ambizioni di un'impresa che è sempre stata al primo posto nella mente, oltre che nel cuore, della famiglia Gattiglia, che si è sempre sentita responsabile verso le oltre 3.000 persone che lavorano con noi e per noi. Rimango convinto che non ci siano modelli vincenti, ma imprese che sanno interpretare il mercato, anticipando i tempi e offrendo soluzioni e soddisfazione ai diversi target di consumatori.

Chi è oggi Sogegross?
Continua a essere una family company, multicanale e solida, grazie a una buona patrimonializzazione perseguita con determinazione in questi anni. Vogliamo continuare a crescere e abbiamo individuato le nostre linee di sviluppo strategico, a partire dall'organizzazione interna, sulla quale abbiamo lavorato molto in termini di managerializzazione. Scelte importanti che guardano al futuro, con la famiglia come riferimento: al momento i membri operativi siamo io e mio cugino Luca che si occupa della direzione acquisti, con mio zio, fondatore dell'azienda insieme a mio padre, che, con i suoi 93 anni, copre il ruolo di presidente, mentre mio fratello e mia sorella non sono più operativi ma sempre presenti in Cda e nelle decisioni importanti.

Come vede la gdo tra cinque anni?
Difficile fare previsioni, con un mercato che cambia in fretta, anche per effetto di fenomeni come Covid, guerre, aumenti delle materie prime e via dicendo. I macro trend, però, rimangono e bisogna essere orientati a coglierli per fare la differenza con i competitor. Credo che oggi ci siano opportunità, in grado di accelerare gli sviluppi futuri di quei canali che ogni retailer ritiene di valore per la propria mission, per segnare differenze con i concorrenti. È chiaro che per raggiungere questo scopo, serve prendere decisioni molto veloci. Questa flessibilità è uno dei punti di forza strategici di Sogegross, nata come grossista e poi entrata nel dettaglio, prima nei supermercati con Basko e poi nei discount con Ekom. Ma oggi siamo ancora a una svolta.

Nel senso che state per entrare in un nuovo canale?
No. Abbiamo scelto dove potevamo crescere più velocemente, sulla base del nostro know how. Nel dettaglio, operiamo con negozi di 1.500 mq focalizzati su freschi, convenienza, assortimento, parcheggio e tempi di spesa più veloci rispetto a superfici più grandi, e con i discount Ekom, molto soft, come si diceva un tempo, diretti e in franchising, mentre la prossimità con l'insegna Doro è un business in affiliazione. Così, tra un mercato retail competitivo, con consumi in declino e una concentrazione importante, e un ingrosso frammentato, ma in crescita, abbiamo scelto di rivalutare la nostra anima di cash & carry. Non una scelta di ripiego, ma la volontà di giocare un ruolo da protagonisti: in dieci anni siamo diventati il secondo player italiano, un risultato che deriva dall’avere fortemente creduto in questo canale, a partire dalla prima acquisizione di 10 strutture nel 2004. Da lì, buttando il cuore oltre l'ostacolo, abbiamo ripensato il format per soddisfare le esigenze degli operatori dell'horeca, investito risorse tecnologiche e umane e continuato a lavorarci. Oggi sono operative 23 strutture GrosMarket, il cui fatturato dipende all'80% dall'horeca, che dieci anni fa pesava circa il 40%, e le vendite sono ancora in crescita.

Da cosa dipendono questi risultati?
Sono l'effetto complessivo di vari elementi: una focalizzazione sulla qualità di prodotti e servizi, una forte attenzione al mondo digitale e l'apporto determinante delle persone, con le loro idee e la loro energia. In questo senso, avere delegato e creato uno spazio autonomo al management con singole business unit indipendenti è stata una scelta importante: abbiamo fertilizzato l'azienda con l'inserimento di diverse culture, personalità e mentalità in varie fasce di età e tutto questo ha portato a un maggiore dinamismo di cui ha beneficiato tutta l'azienda. Certo non sono mancate le conflittualità, qualche volta, ma si è sempre trattato di scambi di idee, che non hanno riguardato le persone.

Nel 2000 con Iperal e Gruppo Poli, avete fondato Agorà Network, una centrale diversa, diversità valida anche oggi?
Assolutamente sì. Da 24 anni, rimane un progetto unico e straordinario che ha saputo mettere insieme, con una logica molto verticale, alcune attività strategiche comuni di tre aziende diverse (che con Tigros e Rossetto oggi sono 5), vale a dire acquisti, logistica e marca commerciale, sempre più importanti soprattutto negli ultimi quattro anni, lasciando le singole imprese libere e autonome di concentrarsi sul territorio e su altre attività caratteristiche, come lo sviluppo della rete di vendita. Nel tempo siamo molto cresciuti, sia come quota di mercato sia nel riconoscimento da parte dei fornitori sia dal punto di vista organizzativo, con nuove forze che hanno rafforzato l'organizzazione, tanto che abbiamo appena ampliato la nostra sede a Milano. È anche una conferma della necessità di allearsi di fronte alla concentrazione del mercato: forti insieme, ma anche come singoli sul territorio.

Come vede l'evoluzione degli attuali rapporti tra industria e distribuzione?
È vero: si è creata una frattura profonda tra industria di marca e gdo, che in parte è connaturata perchè deriva dal fatto che svolgiamo due ruoli diversi sul mercato. Sia chiaro: i brand di marca rappresentano una componente di servizio importante, che non si può eliminare, ma il continuo rialzo dei prezzi, in mancanza di quelle condizioni reali che in passato abbiamo riconosciuto, non aiuta a capirsi, anche se oggi dal mercato arrivano, da parte di alcune aziende leader, dei segnali in questa direzione. Mi auguro che altri seguano il loro esempio.

Cosa chiederebbe oggi al Governo per facilitare la vostra attività?
Ci sono due temi secondo me essenziali da affrontare. Uno più banale, chiesto da più parti, riguarda la diminuzione del cuneo fiscale per i dipendenti: non si può scaricare solo sulle imprese e sui loro dipendenti il miglioramento delle retribuzioni, soprattutto in una fase economica problematica per le famiglie come quella attuale. Certo, non siamo l'unico Paese in questa situazione: anche in Francia non sono messi benissimo, ma da noi ci sono delle esagerazioni che vanno corrette. La seconda, invece, riguarda l'abolizione del sistema dei buoni pranzo: non vedo perchè si debba passare attraverso sovrastrutture intermedie che chiedono costi che vengono ribaltati sui prezzi al consumo, invece di poter inserire fringe benefit direttamente nella busta paga ai dipendenti. Siamo di fronte a un'anomalia del sistema, che non produce vantaggi per tutti, mentre, invece, servono flessibilità e leggerezza.

Nessun nuovo carrello anti inflazione, quindi...
Non mi sembra abbia portato vantaggi concreti. Più concreto è invece il continuo miglioramento del rapporto qualità/prezzo delle marche commerciali (su cui Agorà sta investendo molto), su cui le famiglie stanno dirottando le loro preferenze per salvaguardare il proprio potere di acquisto senza rinunciare alla qualità.

Un'ultima domanda: che effetto ha avuto l'arrivo di Esselunga a Genova?
È cambiato il panorama competitivo e il livello della competizione è salito, anche se le nostre insegne Basko ed Ekom hanno sofferto poco questo impatto, mentre per altri competitor il contraccolpo è stato più forte. Ma proprio questo confronto continuo è il bello del mercato, no?

Non esiste un modello vincente di impresa, ma aziende di successo, che sanno intuire i bisogni futuri del mercato, interpretarli in anticipo e fare scelte in linea con i propri valori

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