Viaggio in Danimarca, patria del bio, alla scoperta di una gastronomia innovativa

Siamo stati nella nazione che ha il più alto tasso di penetrazione del biologico nel mondo retail e che da anni sta sperimentando una profonda trasformazione della ristorazione puntando su prodotti locali

È la nazione che prima al mondo ha introdotto regole e controlli per la produzione biologica e non è un caso che sia anche quella con il market share retail di prodotti bio più alto: il 14%, insidiato solo nel 2022 dalla Svizzera, “Abbiamo notato una lieve decrescita lo scorso anno, a causa di inflazione e guerra in Ucraina, ma crediamo che torneremo presto a primeggiare”, ci tiene a sottolineare Mads Brøndum Klinge, market consultant markets & nutrition del Danish Agriculture & Food Council, che ci ha accompagnato nel viaggio alla scoperta di alcune delle realtà innovative nel biologico danese, ma anche dell’interessante scena gastronomica che, a partire dalla “scuola del Noma”, ha messo sempre più al centro la materia prima locale con influenze dalla cucina internazionale, italiana e asiatica in primis.

I danesi, anche nella ristorazione, in cui il market share bio ha superato il 10%, hanno previsto tre etichette che identificano la percentuale di prodotti biologici utilizzati nei menu: oro, argento e bronzo, utilizzate negli oltre 3.000 locali fuori casa che ne fanno uso. Ma sono le etichette nel mondo retail a sancire il successo dei prodotti biologici danesi, oltre a quella verde con la foglia disegnata con le stelle e utilizzata sui prodotti biologici in vendita nei paesi dell’Unione Europea, in Danimarca, già a partire dal 1989, è stata introdotta un’etichetta rossa, che riprende la lettera “ø” dell’alfabeto con la corona danese racchiusa in essa, questo simbolo è riconosciuto dal 98% dei consumatori danesi e si trova sugli scaffali delle insegne in Danimarca che, al contrario per esempio di Italia o Francia, non comprende catene specializzate in prodotti biologici, ma solo retailer tradizionali.

In particolare, nel dopo Covid, il mondo del retail danese è in trasformazione: stanno crescendo, e non è una sorpresa, i discount, come Netto, ma anche Lidl, mentre in controtendenza Aldi Nord sta lasciando il paese, nel quale oltre 40 anni fa aveva aperto il canale discount. La catena tedesca ha, infatti, venduto i suoi store e tre centri di distribuzione alla norvegese Reitan Retail che opera in Danimarca con l’insegna Rema 1000. Annunciata, invece, a inizio anno la razionalizzazione del numero di insegne parte della Coop locale, che passa da otto a tre: Coop/Coop.dk, 365discount e Brugsen. In particolare i 65 store Irma, da sempre il riferimento per i supermarket locali con un assortimento di fascia medio alta, saranno trasformati nelle altre tre insegne a seconda di tipologia e metrature e 17 punti di vendita saranno chiusi.

Il modello danese nel bio

Quello che più impressiona nella scena del biologico in Danimarca è la capacità di fare sistema tra i vari attori (ciò che sarebbe anche auspicabile alle nostre latitudini). Si parte da una condivisione di un obiettivo comune in cui la politica lavora a stretto contatto con le associazioni, i produttori e i retailer. Prima che i prodotti possano essere venduti come biologici, le aziende agricole devono attraversare un periodo di conversione di due anni dopo l’avvio della produzione vegetale o zootecnica biologica. Durante questo periodo di transizione i prodotti dell’azienda agricola non possono essere venduti o etichettati come biologici. Oltre a rispettare le norme sul bio, gli agricoltori e le aziende produttrici di mangimi biologici si attengono anche a tutte le altre normative riguardanti l’ambiente, la natura, il benessere degli animali, la tracciabilità, l’igiene e la sicurezza alimentare, elementi che sono ricercati dai consumatori danesi e in generale da tutti i consumatori che acquistano prodotti bio. Tra i prodotti più consumati ci sono il latte, le uova e gli ortaggi, considerando che alcuni frutti bio nei supermercati sono italiani, per esempio le mele. Si passa poi a farine, carni di manzo e di maiale, cioccolato, vino, soft drink e gelati. Dal punto di vista dell’export, i prodotti biologici danesi arrivano nei mercati di tutto il mondo, da quelli più vicini come Germania, Norvegia e Svezia, fino alla Cina. L’Italia in questa classifica si trova in settima posizione e tra i prodotti biologici più importati nel nostro paese troviamo al primo posto le carni di maiale e i prodotti dairy come le mozzarelle industriali, alcuni ortaggi che consentono di coprire la stagionalità dei prodotti italiani e, infine, non mancano le birre. Sul vino, in particolare bianco e con bollicine, ci stanno lavorando, come dimostra la presenza di alcune vigne nella regione costiere dell’Odsherred. E qui non si può non citare il lavoro sugli asparagi dell’agricoltore Søren Wiuff, che abbiamo visitato in piena stagione di raccolto dei suoi prodotti molto ricercati dai ristoranti stellati.   

Innovazione con prodotti local

Durante il nostro viaggio abbiamo potuto visitare la regione e in particolare il parco culturale di Anneberg, ricavato da un intervento di riqualificazione di un ospedale psichiatrico. Hanno la loro sede qui alcune realtà innovative della scena del food danese come Contempehrary, che ha rivisitato in chiave danese, con legumi locali, il tempeh, un alimento di origini indonesiane, che si ricava dalla soia come il tofu, ed è molto utilizzato nelle diete vegetariane e vegane. Lavora, invece, sulle alghe DanskTang Seaweed, raccogliendole, catalogandole e rivendendo quelle edibili anche a ristoranti stellati, una parte di questo raccolto va anche alla birreria artigianale Deeper Roots specializzata nei prodotti locali e che produce una birra dalle alghe. Hanno poi sede qui il ristorante stellato Mota ed Erba, in cui si preparano prodotti panificati con farine biodinamiche.

NEL NOME DEL NOMA

La scena gastronomica danese è stata rivoluzionata dalla nascita del Noma nel 2004, un ristorante diventato tristellato Michelin, che ha vinto più volte il World Best 50 Restaurant. Il Noma non è stato solo un ristorante, ma anche una vera e propria scuola di cucina, con il famoso laboratorio di fermentazione, che ha saputo valorizzare le materie prime autoctone e creare un vero e proprio sistema della cucina danese e nordica con influssi da tutto il mondo. Dal Noma sono poi usciti diversi chef che hanno avuto riconoscimenti e non è un caso che il numero dei ristoranti stellati sia passato dai 12 del 2010 ai 31 del 2022. Non lontano dal Noma si trova l’Alchemist, entrato quest’anno nella Top 5 di World Best 50 e in odore di terza stella, diretto dallo chef Rasmus Munk che accompagna gli ospiti in varie sale, tra cui l’incredibile Dome, una cupola che ricorda un planetario su cui sono proiettati video immersivi. Un’esperienza che si nasconde dietro a un portone in bronzo in grado di fondere in sé cucina, teatro, musica e video con messaggi su cui riflettere che accompagnano l’arrivo dei piatti: dal caviale mangiato dall’occhio, simbolo del controllo a cui siamo sottoposti nella rete e nei social media, alla gabbia con la zampa di pollo, a testimonianza dell’insostenibilità degli allevamenti intensivi. Ma si mangia anche una farfalla, insetto ricco in proteine, un alimento che sfamerà la popolazione del futuro? Tornando ai prodotti locali meritano una segnalazione il due stelle Kadeau, un pezzo dell’isola di Bornholm nel cuore di Copenhagen, lo stellato Mota diretto dallo chef Claus Henriksen, ex castello di Dragsholm, che propone piatti elaborati a base di crostacei, alghe dei fiordi e le verdure della campagna. Non è stellato ma l’appellativo non lascia dubbi: “noma burger”, è il Popl, un locale alla portata di molti con un menu a base di carne biologica o piatti veg e prodotti dal laboratorio di fermentazione del Noma.

Il rinascimento del quartiere di Carlsberg

Là dove sorgeva la fabbrica della Carlsberg e la residenza della famiglia Jacobsen, con il fondatore Jacob Christian che diede vita alla famosa birreria nel 1847 e il figlio Carl mecenate dedito all’arte e alla cultura, ora sta rinascendo un nuovo quartiere animato da particolari interventi architettonici su edifici di rilevanza culturale, scientifica e industriale. Basta guardare le finestre tonde del boutique hotel Ottilia, ricavato con un attento intervento di restauro di una parte del magazzino della birreria, la prossima apertura del museo Carlsberg, ma anche il brulicare di aperture di nuovi store, ristoranti, come il plant based Beyla o la pizzeria Surt dell’italiano Giuseppe Oliva in cui non si può non assaggiare la Rianata. Ci sono poi piccole catene di ristorazione, come Café Collective, che vi invitiamo a scoprire nel video del nostro tour a Copenhagen.

LASCIA UN COMMENTO

Inserisci il tuo commento
Inserisci il tuo nome