Biologico dalle uova d’oro, ma con insani squilibri

Gli opinionisti di Mark Up (da Mark Up n. 262)

I piano decennale dell’Organizzazione delle Nazioni Unite “Sustainable Food Systems” prevede tra le sue otto iniziative più importanti il “Programma per i sistemi alimentari biologici” per la promozione di un modello di consumo e di produzione sostenibile. Si tratta di un altro passo nella direzione di un futuro possibile. Nel frattempo, per attenerci alle ormai solite cifre dell’ultimo quinquennio, il mercato italiano del biologico cresce del “solito” 20%. Peccato però che non crescano parallelamente e proporzionalmente le superfici, il numero degli addetti del settore, piuttosto che il fatturato dei produttori. Sappiamo che l’eventuale basso costo o la riduzione di un prezzo ricade, come da sempre, principalmente sul produttore. Abbiamo un bel discutere di agricoltura di precisione, di cisgenetica o di genoma editing, se poi gli eventuali vantaggi non sono per tutti. Qui sta il punto cruciale: se l’aumento di un settore -e non vedo quale altro settore cresca con le cifre del bio in Italia- non coinvolge tutta la filiera produttiva, si creano le stesse e già segnalate storture di un’economia malsana e asociale. Se vogliamo avere un distintivo di qualità e di origine, applichiamo dunque questa “medaglietta” ai prodotti certificati bio di filiera italiana. Le persone, non solo i consumatori, sapranno scegliere cosa acquistare e a chi andranno i soldi che spendono e in quale percentuale al produttore verrà riconosciuto un giusto prezzo. Sapranno che spendendo qualche euro di più sosterranno chi produce, oltre al prodotto, un servizio ambientale a vantaggio di tutti. Commercio e trasformazioni sono aspetti indispensabili, ma spesso troppo contingenti. E la contingenza non è un’amica del futuro.

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