Post-crescita: dai bisogni materiali ai servizi, ai desideri, ai capricci

Primo Piano – È uscito per i tipi di Egea un nuovo volume del sociologo Giampaolo Fabris dopo il successo di "Societing". (Da MARK UP 187)

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1.
Il sistema deve ricentrarsi

2. Il consumatore deve diventare centrale

In apertura del suo ultimo volume “La società post-crescita” edito da Egea, il sociologo Giampaolo Fabris si chiede: “La società del futuro è quella del post-crescita: ne sarà protagonista il consumatore, novello Davide contro Golia, soprattutto perché ha oggi in mano un'arma potentissima, il mondo web, a cui fa ricorso non soltanto per massimizzare i propri diritti e interessi, ma anche per creare, più o meno consapevolmente, lo stato nascente di una nuova proposta di civilizzazione. Che non possa divenire il consumo - un tempo area del privato e del disimpegno - la nuova frontiera della partecipazione politica?”. La risposta di Fabris è si, si può fare. Non pensate allora a un avvicinamento del sociologo italiano alle teorie di Serge Latouche e alla sua de-crescita, perché, appunto, siamo nella post-crescita, asse più normale e consono al sistema produzione-distribuzione-consumo, che ha nell'ultimo anello, i comportamenti di consumo, la sua evoluzione. Fabris attacca, addirittura, Latouche in quanto portatore di fantasie reazionarie. E si concentra con esempi, numeri e concetti sull'evoluzione dei comportamenti del consumatore-cittadino. È un continuo ricorso ai dati di ricerca, suoi personali, di Episteme (la sua ultima boutique di ricerca) e di Gpf (acronimo di Giampaolo Fabris) la società di ricerca che per anni con la metodologia 3SC ha monitorato la vita, i successi e gli insuccessi, di prodotti industriali, di servizi e di formule commerciali, avvertendo i suoi sottoscrittori di pericoli, evoluzioni e nuove aspirazioni dei modelli comportamentali assunti dal consumatore.

La crescita economica, fino a oggi, è stata per Fabris una vera e propria religione o idolatria della sviluppo da perseguire a tutti i costi. La crescita è diventata per anni la “forma buona” come la definirebbe la psicologia della Gestalt, il telos da perseguire, un indifferente obiettivo per l'umanità tutta, “dimenticando che crescita, se applicata a contesti che generano patologie, assume un significato ben diverso. E diventa un segnale di pericolo”. Certo, ricorda Fabris, “anche per i più accesi sostenitori dello sviluppismo a tutti i costi, è doveroso o forse soltanto politicamente corretto, far seguire oggi il termine sostenibile: una crescita rivolta anche a promuovere l'energia pulita, affrontare i cambiamenti climatici, ridurre e contenere le emissioni di gas serra”.

Eccessi del consumismo

Fabris parla apertamente di eccessi del consumismo. C'è un equivoco di fondo, sottolinea: il benessere si misura anche e forse soprattutto con la quantità dei consumi, “ben-essere è diventato nel tempo sinonimo di ben-avere” moltiplicando i consumi in tutti i comparti. “Saremo, quindi, finalmente, più obesi, sostituiremo più spesso il nostro cellulare, il guardaroba si dilaterà con una profusione di nuovi capi, avremo non una ma due auto parcheggiate sotto casa; l'abitazione si ingolferà di oggetti, tanto che non basterà la seconda casa a contenerli, lo spreco e la cultura dell'usa e getta si diffonderanno ulteriormente. Che tutto ciò non abbia alcuna relazione con i livelli di felicità o di benessere, anzi, evidenzi una relazione negativa, non appare degno di nota”. Ma alcuni segmenti della popolazione, non necessariamente i più ideologizzati, se ne stanno rendendo conto e producono latenti segni di disagio, con nuovi modelli di acquisto e di consumo, diversi da quelli ritenuti egemoni fino a ora: “È in atto da tempo un incisivo cambiamento nell'antropologia del consumatore: a livello culturale, ma forse anche a livello di antropologia fisica”. È una realtà di cui le imprese sono ancora poco consapevoli, perché appaiono intrise di economicismo e “attardate da miopi prospettive di studio del consumatore, persuase come sono che la pubblicità sia lo strumento elettivo per attuare la tanto mitizzata relazione con il consumatore. Soprattutto ispirate da una vetero-ideologia e prassi del marketing, la disciplina che dovrebbe ottimizzare i rapporti fra domanda e offerta, tra produzione-distribuzione-consumo, che se disattenta o disinteressata alle distorsioni da essa stessa generate, rischia di distruggere invece di far crescere il mercato”.

Macchè decrescita

Ecco la stoccata a Serge Latouche: “Opporre a questa tipologia di crescita la decrescita significa inoltrarsi lungo i sentieri di un'utopia inevitabilmente elitistica e reazionaria. Significa proporre strategie che ignorano con fastidiosa supponenza che cosa oggi rappresenti il consumo, i suoi significati simbolici e identitari”. Decrescita significa riscattare soltanto i valori d'uso del consumo per eliminare i significati edonistici, espressivi, semiotici. Invece va rivaluta la post-crescita, che privilegia una crescita differente, che sa coniugare la compatibilità ambientale con quella psicologica e sociale. Il consumo, quindi, deve passare da oggetto di critica a soggetto di critica.

Il semiologo Jean Baudrillard non molto tempo fa parlava di una gigantesca produzione di messaggi, a volte contrastanti immediatamente l'un con l'altro. L'evoluzione di questa situazione sta producendo una società “afasica” più che una società dell'informazione, una società, insomma, ormai incapace di parlare in modo semplice e diretto, che usa la comunicazione per sorprendere in un esercizio stilistico sempre più difficile da ripetere. Il consumo non può essere e diventare il completamento della produzione o essere funzione del reddito disponibile. Come sottolinea Marina Bianchi: “Il consumo è un'attività complessa che implica stili di vita, uso del tempo e della propria energia, investimento in conoscenza e informazione, capacità di relazione con gli altri e senso della propria identità, tutte dimensioni incomprimibili nella sola variabile monetaria”. È il marketing stesso, spiega ancora Fabris, che appare inadeguato nella stringente attualità perché ha rivolto molti dei suoi sforzi a capire le logiche dell'acquisto più che all'agire del consumo “rendendo ancor più miope e datato il suo approccio”.

L'ingordigia alimentare

Non è un caso che proprio nel fronte dei consumi, dovuto all'assioma della crescita, del modello di sviluppo, si stanno aprendo numerose falle. Fabris fa l'esempio del food. “L'ingordigia alimentare è molto diffusa negli Stati Uniti, ma sta contagiando gran parte dell'occidente: una drammatica realtà ma anche una possibile, trasparente metafora della intrinseca struttura dei consumi nei paesi a più rapida crescita”. Si mangia troppo e quindi si mangia male: il risultato più evidente è la diffusione dell'obesità, una spia pericolosa che indica una patologia anche in paesi dove la costituzione fisica è sempre stata longilinea. La dieta basata sul fast food, sul modo di alimentarsi easy, senza controllare ingredienti e contro-indicazioni, tipica della nostra società globalizzata, sta provocando in Asia la prima epidemia di diabete. Addirittura si stima che in Cina un abitante su cinque abbia ormai problemi di peso. Il modello comportamentale sta diventando sempre più quello dell'eccesso, della dismisura, del più. Il rapporto con la merce sta degenerando: “Tutto ciò che non si può acquistare sembra perdere di interesse, come per esempio i beni pubblici, mentre la sollecitazione all'acquisto, quasi indipendentemente da ciò che si acquista, si fa sempre più insistente e diviene un condiviso comun denominatore. Si continua a produrre e il mondo della produzione, al di là dei costi ambientali che genera, tanto attento a incentivare il consumo, appare totalmente disinteressato a un processo che è il suo esatto speculare: quello dei rifiuti. Chi produce tende a de-responsabilizzarsi dei danni collaterali che il consumo provoca con i suoi imballaggi” mentre dovrebbe rendersi parte attiva del problema dello smaltimento e della capacità del sistema di eliminare in modo friendly con l'ambiente. I casi dell'elettronica di consumo e di tutte le sue componenti sono, a proposito, disarmanti.

Ma rimane il dato sulle quantità consumate che deve far riflettere: “Raggiunti cioè certi livelli, il consumo non genera più incrementi nel benessere percepito e quest'ultimo deve essere presumibilmente ricercato e soddisfatto in altre dimensioni”. Il nuovo driver diventa così il desiderio. “I desideri - spiega Fabris - a differenza dei bisogni che, una volta saturati entrano in uno stato di quiescenza almeno per un certo tempo, si caratterizzano per una omeostasi sempre più fragile e cangiante, per uno stato di appagamento costantemente in progress, per un continuo riproporsi anche in tempi molto brevi. Ed è con questi con cui, nei paesi occidentali, deve interagire il mondo della produzione”.

Iper-luoghi e iper-merci

Il concetto di desiderio è sfuggente ed elusivo, ma cruciale per le imprese. Nell'epoca delle iper-merci e degli iper-luoghi occorre liberare un sostituto dei desideri che si può riassumere nel capriccio: “Il capriccio completa - sottolinea Fabris - la liberazione del principio del piacere, eliminando gli ultimi residui di impedimento del principio di realtà. Alla base del capriccio non c'è assolutamente niente. L'acquisto è casuale, imprevisto, compiuto di getto. Ha la fantastica qualità di esprimere ed esaudire un capriccio e, come tutti i capricci è insincero e infantile”.

Troverete ne “La società post-crescita” esempi e concetti innovativi per parlare di nuovi comportamenti di acquisto e di consumo, di molte categorie di beni e di servizi. Fermiamoci qui - il volume di Fabris vale un'attenta lettura - con un'ultima annotazione sulle possibilità di pricing di un bene che non è più un bene come lo conoscevamo ma che acquista nuove valenze passando dal valore d'uso, ai valori simbolici, ai desideri, al capriccio, appunto.

Cos'è la post-crescita

Dice Fabris del nuovo neologismo: “Crescita diversa è un termine volutamente ambiguo, la stessa ambiguità, del resto insita nei tanti suffissi post, a cominciare da post-moderno. Un termine che, mentre rifiuta di dare un nome all'epoca nuova che sta nascendo, vuole anche significare la transizione non più opzionale ma ormai necessaria e di drammatica attualità verso un nuovo modello di sviluppo. Post-crescita significa anche un'attenzione amplificata a bandire, in tempi ragionevoli ma comunque brevi, ogni produzione che danneggi l'ambiente, che produca emissioni pericolose con una decisa opzione nei confronti delle fonti energetiche naturali”.

Meglio il bargain

Ciò che oggi sembra davvero caratterizzare il consumatore più che la tensione a spendere poco è la consapevolezza di spendere bene. Cioè di saper scegliere. “Una nuova offerta a prezzi contenuti, che non ammette però sconti sul fronte della qualità, va affermandosi - dice Fabris - e non è affatto vero che sia rivolta ai segmenti meno abbienti della popolazione”. Low cost-high value, ma anche il saldo: “Il saldo consente l'affare quando il prodotto da acquistare fa parte della shopping list stilata sulla base di valutazioni che prendono le distanze dall'eccesso, che si ispirano a inediti criteri di moderazione”. Saldi e, per l'appunto, factory outlet. Quelli veri, però.

Allegati

187-MKUP-Postcrescita
di Luigi Rubinelli / aprile 2010

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