Basta modelli siamo persone

La diversità secondo Francesca Vecchioni: un valore da difendere, un asset per le imprese. Come fare? Abbattendo gli stereotipi, riducendo gli scontri generazionali, lasciando che i nostri figli crescano da persone senza imprigionarli in modelli di genere (da Mark Up n. 280)

Conosco Francesca Vecchioni da un paio d’anni, da quando con Mark Up siamo diventati media partner del suo Diversity Brand Award. Francesca, laureata in Scienze politiche, attivista per i diritti civili, esperta in comunicazione e giornalista, è madre di due bambine, intervistarla è stato uno slalom tra gli impegni reciproci: il risultato? Un’intervista con domande inviate via whatsapp e registrate sullo stesso mezzo “dopo”, dopo gli impegni di lavoro, dopo la cena con le bimbe, determinate entrambe a farcela, perchè parlare di diversità oggi è più che mai importante e il tempo per le cose importanti si trova, sempre.

Come sei arrivata alla diversity?

Alla diversity sono arrivata perché non se ne può fare a meno: chi non si rende conto che avere a che fare con la realtà significa aver a che fare con tutto ciò che è la ricchezza, l’eterogeneità di questa società in cui ogni persona è differente e per queste sue differenze in realtà porta valore. Chi non se ne rende conto rimane indietro, è come se non si stesse guardando la realtà. Ecco: si arriva alla diversity.

Noti dei cambiamenti su questo fronte?

Sì, le stesse aziende iniziano a comprendere la forza, la potenza dei valori di cui un brand è portatore. Oggi, le persone scelgono in base a questi valori. Cambiamenti sì, ma non sono sufficienti. Sulle tematiche di genere siamo molto lontani, afflitti da una impostazione stereotipata, e non solo su quello, anche sulla disabilità siamo indietro; poi c’è l’età altro tema molto caldo in Italia, dove è ancora difficile affrontare in maniera serena il tema generazionale sul lavoro.

Aziende con un maggiore tasso di diversità performano meglio, un concetto avvalorato dai dati, però le aziende sembrano comunque in difficoltà ad abbracciare questa tesi: da dove si comincia?

Secondo me si fa fatica a prendere davvero in considerazione la realtà dei dati. I meccanismi di esclusione e di inclusione spesso sono inconsapevoli, si tende sempre a negare un atteggiamento discriminatorio, soprattutto se si è convinti di essere nel giusto e di essere assolutamente imparziali. Diciamo che c’è una sorta di meccanismo di negazione rispetto a quanto attiviamo realmente il nostro pregiudizio. perché a volte il luogo di lavoro è obiettivamente omogeneo, magari non per le scelte che facciamo noi, semplicemente perché si fanno delle assunzioni che tendono all’omogeneità.

Poi esiste un aspetto di rinforzo: i meccanismi che si possono attivare per includere, vengono percepiti come un costo puro, invece che come un investimento. L’aspetto che ha a che fare con le discriminazioni tocca più la pancia che la razionalità, che non ti fa vedere in maniera chiara i dati che ci sono dietro, è paradossale ma succede.

Qualcuno sostiene che questo impeto di “diversità” rischi di far sentire ancora più minacciati i Swm (straight white man) ...

Gli straight white man che si sentono minacciati hanno una bassa considerazione degli altri o di sé: un buon leader altrimenti non avrebbe motivo per sentirsi minacciato.

L’esempio che mi piace è quello che si fa a proposito dell’omofobia: un macho “vero”, un maschio che esprima la propria mascolinità virile nei canoni di genere, quando mostra diffidenza, paura o scherno verso un suo pari che ha un orientamento omosessuale in realtà non fa che mostrare un’insicurezza. Perché gli uomini, i leader, che hanno più impatto sugli altri, non hanno paura e non scherniscono un uomo esclusivamente perché ha un orientamento gay. In sintesi, chi si sente minacciato dalle differenze non è in grado di rapportarsi con gli altri, quello è un problema, soprattutto se è in una posizione di leadership.

Nuove generazioni si affacciano sul mercato del lavoro, cambierà qualcosa?

Credo molto in un’evoluzione, una crescita, una capacità di comprensione del valore della diversità. Dobbiamo sempre ricordare che la discriminazione su un genere pesa direttamente anche sull’altro, Se esiste una discriminazione di genere verso le donne, impatta negativamente anche verso gli uomini, e non è una cosa da poco.

Per le donne in Italia la strada del successo professionale è ancora lastricata da stereotipi ...

Forse l’unica vera soluzione, sembra una banalità, è riuscire a parlare di persone, è logico che ognuno sia differente, ma siamo in una società in cui le donne si devono battere, c’è poco da fare, è così, Le amministratrici delegate di società italiane sono il 7%, 7 su 100. Cosa si può fare? Si devono sviluppare i modelli, ci si deve mettere in dubbio costantemente, farsi le domande, non solo da lavoratori, lavoratrici, manager, da appartenenti al mondo della comunicazione, ma anche da genitori, perché è obiettivo che tutti rischiamo di reiterare meccanismi stereotipati che non fanno bene a nessuno. Ogni bambino o bambina, può crescere sereno, solo se sin da piccolo ha avuto la libertà e la tranquillità di sviluppare se stesso, cioè crescere il più possibile vicino alla propria identità.

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