#alfemminile: Aiutare il retail nel trovare un’unica voce, per essere motore di crescita del Paese

Incontriamo Benedetta Brioschi, associate partner di The European House Ambrosetti, responsabile divisione Food&Retail

Sempre preparatissima, sorridente, precisa, Benedetta Brioschi, è la mente e il volto del Food&Retail di The European House Ambrosetti. L’ho conosciuta con Retail 5.0, la piattaforma multi-stakeholder, nata nel 2021, per l’elaborazione di scenari, strategie e policy per il rilancio del settore del retail specializzato in Italia, ma lasciamo che sia lei stessa a presentarsi ...

Chi è Benedetta Brioschi e come sei arrivata ad occuparti di retail?
Sono uno degli associate partner di The European House Ambrosetti (TEA), una società di management consulting, il primo think tank privato italiano e, in particolare, sono responsabile della nostra divisione Food&Retail, quindi, tutto ciò che riguarda il mondo dell’agroalimentare e il retail food e non food. Sono in Ambrosetti da circa 8 anni e, dopo un periodo iniziale, in cui mi sono occupata di tanti temi, dall’energia alle infrastrutture, dall’agroalimentare al retail, ho deciso di specializzarmi in questo verticale affascinata da alcune caratteristiche del retail: in primo luogo, l’aspetto umano e indagando più approfonditamente le ricadute economiche e sociali sui territori e, devo dire, ci ha sorpreso non poco scoprendo quanto è importante questo settore per l’economia italiana. Il mio percorso parte dalla Bocconi, dove ho studiato discipline economiche e sociali, poi ho fatto un semestre a Boston, con un programma di scambio tra Bocconi e Boston University. In Bocconi, mi occupavo di econometria, di politica economica e economia dello sviluppo, volevo fare carriera accademica, quindi, ho iniziato un dottorato alla London School of Economics ma poi mi sono resa conto che mi piaceva di più affrontare problemi concreti e sono quindi approdata alla consulenza con Ambrosetti.

Stiamo affrontando un momento non semplice nei rapporti industria-distribuzione: a partire dal molto battagliato patto anti inflazione... per il retail quali sono le opportunità e le sfide?
Sì, siamo in un momento complesso, in particolare, il retail specializzato si trova nel mezzo di una tempesta perfetta che richiede alle aziende di ripensare alle loro strategie. Dobbiamo considerare che i consumi in Italia erano già fermi da tempo, questo vale per l’alimentare ma soprattutto per il mondo non food, e la crisi inflattiva e prima ancora il covid hanno dato un’ulteriore battuta d’arresto. Ci preoccupano soprattutto le famiglie dei quintili più bassi di reddito, perché, purtroppo, i consumi non alimentari rientrano in quella spesa che è comprimibile da parte delle famiglie e quindi sono la prima voce di spesa che viene tagliata in un contesto di difficoltà; vale per l’abbigliamento, magari meno per categorie come elettronica e tecnologia che comunque sono andate molto bene fino ad ora. Dal nostro osservatorio, crediamo che sia necessario intervenire per sostenere i consumi.

Quali sono le azioni che consigliate?
Abbiamo sempre sostenuto che in Italia sia un po’ mancata e manchi, purtroppo, ancora una visione unificata sul commercio: il retail non ha ancora una voce univoca e, anche a livello istituzionale, non c’è un ministero dedicato al commercio, come invece accade in molti altri paesi europei e anglosassoni dove il commercio è al centro di una visione paese più strutturata. Un ragionamento valido non solo in un contesto di crisi ma in generale. Questo è il punto di partenza, secondo noi, da cui dovremmo iniziare a riflettere. Un punto che è evidente a partire anche dal Pnrr, che dovrebbe rilanciare l’economia italiana con investimenti importanti: in tutto il documento, che noi abbiamo letto e analizzato, la parola commercio o retail non c’è mai e siamo convinti che, visto che i consumi food e non food incidono per il 60% del PIL, non può non esserci un riferimento al commercio in un piano così ambizioso di rilancio. Con riferimento, invece, alla situazione più contingente, noi guardiamo con favore tutto ciò che può aiutare a sostenere i consumi, soprattutto delle famiglie più in difficoltà ma è anche importante lavorare sul mondo azienda, quindi, promuovere tutti quegli investimenti in tecnologia, nel digitale, che possano contribuire all’evoluzione del retail in logica omnicanale, che guardi sia i punti di vendita fisici ma anche all’online. Necessario che si creino, però, condizioni di concorrenza paritetiche tra i retailer omnicanale, che partono dal retail fisico, e le piattaforme digitali; su questo, peraltro, la commissione ha fatto diversi passi avanti. Inoltre, è importante raccontare bene il bello di questo settore, questo vale, oltre per ingaggiare il consumatore, per il personale, a partire dagli addetti alla vendita, che hanno un ruolo fondamentale per fidelizzare i clienti. Partendo dal “racconto” può portarci a coinvolgere e fidelizzare i collaboratori esistenti e i prospect. Questo è un settore in cui moltissimi giovani iniziano a lavorare quasi per caso, spesso come prima esperienza dopo la scuola superiore o dopo l’università e molti di loro poi si fidelizzano con dei percorsi di carriera molto belli e molto accelerati, che non sempre sono così noti, ecco perché è importante comunicare queste storie, farle conoscere, così da rendere il settore più attrattivo, come è giusto che sia. In questo senso, abbiamo inaugurato Genzy un podcast che, puntata dopo puntata, racconta i mestieri del futuro. In dialogo con giovani professionisti delle Generazioni Z e Y, per capire come è fatto e in che direzione va il mondo del lavoro.

Sei giovane e sei una donna: quale consiglio daresti ai giovani per entrare in questo mondo?
Confermo che è difficile, lo è stato soprattutto all’inizio, perché, appunto, sei giovane e sei donna, quindi, non è facilissimo farti ascoltare perché è comunque un mondo molto maschile e non giovanissimo, quindi, non è semplice conquistare credibilità in situazioni dove, se non hai la cravatta i capelli grigi, fai un po’ più fatica ad esprimere il tuo punto di vista e non ho visto grandissimi cambiamenti in questi sette, otto anni. Qualcosa però si sta muovendo, le aziende hanno un’attenzione, oggi, nell’attrazione di talenti, molto orientata anche a profili femminili ma non solo, c’è una inclusività in generale di figure che possono essere, a vario titolo, diverse per formazione, per valori, l’obiettivo per queste risorse è metterle in condizione di fare un percorso di carriera nei prossimi anni che aiuti l’evoluzione del comparto; in questo senso, il consiglio che do è quello di lavorare sul contenuto, perché quando si hanno cose importanti da dire, validate da dati e numeri, come sempre succede nei nostri studi, alla fine il modo di farsi ascoltare lo si trova sempre. Ricordo i primi convegni, i primi eventi cui mi invitavano a partecipare, ero un po’ turbata, perché c’era una platea molto maschile ma devo dire, col tempo, più lo si fa, più si diventa anche confident nel farlo, quindi, il consiglio è di buttarsi e non farsi spaventare e lavorare bene sul contenuto.

Per finire: un episodio da dimenticare ...
Fu il mio primo comitato esecutivo, non dico di quale associazione, il contesto era completamente maschile, un tavolone di 30-40 uomini, io ero con il nostro amministratore delegato, Valerio de Molli e presentavamo a due voci un documento. Io sono entrata e lui ha iniziato a parlare, mi sono seduta vicino e la persona di fianco a me ha chiesto: “Posso chiederle un caffè”, per carità, io li faccio anche volentieri ... ma era evidente che il ruolo che mi si attribuiva non era quello giusto. Oggi, qualche piccolo segnale di cambiamento c’è, anche se, devo dire l’Italia rimane ancora un po’ indietro. All’estero si trova più varietà, non solo di genere ma anche di valori, di provenienza geografica, quindi, non ti senti “l’eccezione”, non sei mai l’unica pecora nera, anzi, rosa.

Fondamentale per il retail è rimodulare l’offerta e velocizzare l’execution. Monitorando l’evoluzione dei trend di consumo, sempre più veloce e sfidante per le aziende

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