Conciliare “profit” e “purpose” attraverso la sostenibilità digitale

Il ruolo della tecnologia è centrale anche nelle logiche relative alla sostenibilità. Business e consumatori sono al centro di un percorso di consapevolezza dei reciproci benefici

La creazione di “valore socio ecologico” è sempre più parte della mission del business che deve porsi, nei confronti di società e consumatori, con una proposta economica di trade-off/compromesso tra profitto e scopo. A ciò si aggiungono le grandi possibilità offerte dalla tecnologia, che avendo permesso l’avvio di un vero e proprio processo di trasformazione digitale, si pone come abilitatrice e fil rouge di tutte le conseguenti dinamiche. La tecnologia, quindi, si interfaccia con le istanze del tempo, tra le quali spicca con irrimandabile urgenza quelle legata all’ambiente, alla diversity e all’inclusione, che nella loro dialettica, trovano una sintesi nel concetto di sostenibilità digitale.

Affidandosi alla definizione di sostenibilità digitale di Stefano Epifani, docente di Internet Studies alla Sapienza di Roma e presidente del Digital Transformation Institute, emerge come sia “quella sostenibilità che definisce le modalità con cui si dovrà sviluppare la tecnologia digitale affinché contribuisca alla creazione di un mondo migliore, sia rispetto alla sua natura, sia rispetto al suo ruolo strumentale verso ambiente, economia e società”.

Nel perseguimento di questo obiettivo, si nota come la letteratura manageriale degli ultimi decenni ha studiato e studia una varietà di forme di imprenditorialità non tradizionali, che combinano profitto con nuove logiche votate a spill-over positivi per l’intera collettività. Tra queste forme d'imprenditorialità si leggono in maniera più o meno diretta i progressi emergenti nella sostenibilità digitale.

In un paper scientifico del gennaio 2020 dal titolo Digital Sustainability and Entrepreneurship: How Digital Innovations Are Helping Tackle Climate Change and Sustainable Development, gli autori Gerard GeorgeRyan K. Merrill, e Simon J. D. Schillebeeckx ne elencano tre come principali:

  • Social entrepreneurship (SE, imprenditoria sociale): affronta le questioni sociali attraverso specifiche azioni di mercato e crea valore sociale attraverso la ricombinazione creativa delle risorse, subordinando il mero profitto a obiettivi di carattere sociale;
  • Institutional entrepreneurship (IE, imprenditoria istituzionale): trae le sue fondamenta nella teoria istituzionale del sociologo americano Paul DiMaggio (1988), ed è basata sulle attività di soggetti che disgregano le istituzioni sociali esistenti o ne creano di nuove, spesso per consentire la diffusione sul mercato di innovazioni radicali;
  • Sustainable entrepreneurship (STE, imprenditoria sostenibile) si manifesta con uno spostamento nella definizione degli obiettivi aziendali volto alla riduzione degli impatti ambientali, facendo meno danni, e "going green”, diventando verdi, verso un impegno più trasformativo volto a correggere fallimenti di mercato.

In particolare, quest’ultimo tipo di azienda STE può conciliare un'accresciuta attenzione al miglioramento dei processi con una triplice gamma d’interessi volti a bilanciare la produzione aziendale di valore economico, sociale ed ecologico. In questa prospettiva il business acquisisce una "visione sistemica" del suo contesto socioecologico e una cassetta degli attrezzi per gestire il suo impatto sostenibile. Di fatti, quando gli imprenditori sostenibili rimodellano processi e culture aziendali, la sostenibilità, accompagnandosi alla tecnologia, può diventare un'opportunità economica fondamentale e un modo per forgiare nuove skill.

I vantaggi, quindi, sono evidenti. Le attività di sostenibilità digitale sono caratterizzate da un'elevata scalabilità e consentono un coinvolgimento di vari attori dell'ecosistema. Insieme, queste proprietà permettono di disgregare le asimmetrie tra valore privato e pubblico. In particolare, attraverso la digitalizzazione, diventa possibile coordinare gli investimenti all’interno dell’ecosistema facendone beneficiare una vasta gamma di soggetti.

Se, quindi, appare evidente a livello teorico che fare proprio l’approccio della sostenibilità digitale si la chiave vincente, non è così immediato all’atto pratico, e molto ha a che vedere con un problema di percezione e consapevolezza. Infatti, secondo i dati principali della ricerca “Italiani e Sostenibilità Digitale: cosa ne sanno, cosa ne pensano”, realizzata dal Digital Transformation Institute – Fondazione di Ricerca per la Sostenibilità Digitale, emerge come più del 60% degli italiani sembri impreparato alla sfida della sostenibilità digitale, con la categoria degli ambientalisti tra i più scettici nei confronti della tecnologia. Riportando sempre i dati della ricerca in questione, la maggior parte degli italiani ha ben chiara l’urgenza di affrontare problemi come il cambiamento climatico (74%) e l’inquinamento (76%), ma la maggior parte di essi, che pur si dichiara consapevole delle opportunità che già oggi offre la tecnologia digitale per affrontare questi problemi, nella pratica quotidiana non fa quanto potrebbe per usarle come strumento di sostenibilità. Sono solo il 10% gli italiani che usano regolarmente applicazioni a supporto della riduzione dei consumi, mentre il 13% le usa raramente. Il 27% dichiara di non conoscerne l’esistenza, ma il dato più significativo è rappresentato da quel 49% che - pur specificando di conoscerne l’esistenza, comunque non le adotta. A ciò si aggiunge un ulteriore problema: se da una parte le persone non usano il digitale come strumento di sostenibilità, dall’altra non si rendono conto di quanto davvero esso - in ogni caso - impatti sull’ambiente. Più della metà degli intervistati sostiene che l’impatto ambientale della digitalizzazione sia forte (61% del totale), tuttavia sono solo il 13% coloro che riescono a quantificare correttamente il consumo effettivo di un’ora a settimana di streaming video (pari a quello di ben due frigoriferi collegati 24h).

In definitiva, non solo non si sfrutta pienamente la tecnologia digitale come risorsa per lo sviluppo sostenibile, ma non ci si rende nemmeno conto di quale sia il suo reale impatto ambientale. L’obiettivo da raggiungere è quello di lavorare a tutto tondo, sia lato business, sia lato consumatori, sulla convenienza di intraprendere percorsi imprenditoriali guidati da strategie e azioni riconducili alla sostenibilità digitale, così come far capire il beneficio anche sul singolo consumatore.

Come dalle parole di Mauro Minenna, Capo Dipartimento del Dipartimento per la Trasformazione Digitale, “la sostenibilità migliora nel momento in cui le persone sono dotate di conoscenza, di strumenti e di motivazione. Se si riesce a trasmettere alle persone il concetto del senso di ciò che stanno facendo, si sta lavorando in questa direzione. La sostenibilità digitale abilita questa dimensione, perché consente di moltiplicare le opportunità di condivisione della conoscenza incorporando al suo interno l’elemento di senso, ossia la motivazione per la quale si sta chiedendo di fare qualcosa. In tal modo possiamo costruire una società migliore nel rispetto dell’ambiente. Per contribuire allo sviluppo di un futuro sostenibile le Istituzioni devono impegnarsi soprattutto nello sviluppare consapevolezza, competenze e strumenti per le persone e per la società”.

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