Cresce bene la competitività del food nell’attuale commercio internazionale

PREVISIONI 2011 – Nomisma: aumento di quote anche nei mercati meno favoriti per gli andamenti di valuta. (Da MARK UP 195)

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1. Il food si conferma una componente importante del sistema industriale

2. La piccola dimensione
di impresa è un vincolo alle politiche di export

3. Cresce comunque
il settore in exra-Ue


Il commercio internazionale si è dimostrato fino a ora uno strumento importante a sostegno della crescita economica mondiale. Il valore dei flussi di merci e servizi scambiati nel mondo nel 2009 è stato stimato dal Wto (World Trade Organisation) pari a circa 15.500 miliardi di dollari. Il 23% di questa cifra, sono beni primari: prodotti agro-alimentari (derrate, alimenti, bevande e animali), materie prime grezze (legno, gomma, fibre vegetali, ecc..), combustibili, minerali e altri materiali non ferrosi. Negli ultimi dieci anni, la componente agro-alimentare di questi beni ha dato un contributo non trascurabile all’espansione del traffico commerciale globale. Tra il 2000 e il 2009, il peso dell’agro-alimentare sulle esportazioni complessive di merci nel mondo è salito dal 6,9% all’8,1% e il suo valore assoluto è più che raddoppiato, fino a raggiungere 986,9 miliardi di dollari. Il valore complessivo degli scambi è cresciuto perché si è ampliata la platea dei paesi coinvolti nella rete degli scambi agro-alimentari e, contemporaneamente, si è rafforzato il peso di quelli in essa già presenti. L’Italia oggi presidia i mercati internazionali oltre che con la meccanica, l’automotive (autoveicoli, rimorchi), il tessile-abbigliamento-pelle anche con il settore food (alimentari e bevande). La domanda estera può avere un ruolo propulsivo importante per il food italiano perché oggi il settore, seppur anticiclico, fatica a trovare adeguati spazi di crescita sul mercato interno.

L’alimentare
Il food genera oggi un giro d’affari di 120 miliardi di euro, che si ripartisce tra una ventina di comparti produttivi. Il settore è una componente di rilievo del sistema industriale nazionale per più di un motivo: i legami di filiera che ha con l’agricoltura, il non trascurabile peso occupazionale (480.000 occupati per 71.000 imprese, tra artigianali e industriali) e una crescente propensione all’export (valore dell’export/valore della produzione), che è un indicatore importante di dinamismo, se si tiene conto della struttura del settore. L’industria alimentare italiana si compone infatti, da una parte, di poche grandi imprese multibusiness, a capitale italiano o estero, dotate di un portafoglio prodotti ampio e profondo, che consente loro di essere protagoniste anche oltre confine, e, dall’altra, da numerose imprese di dimensioni medie e piccole, sia industriali sia artigianali. In questo contesto, la propensione media all’export delle imprese è pari a circa il 17%, ma questo è un valore che cresce proporzionalmente all’aumentare delle dimensioni aziendali. In particolare, alle imprese con più di 50 addetti oggi è riconducibile il 74% dell’export del settore food. La ridotta dimensione è dunque un vincolo per le imprese alimentari con una potenziale vocazione export-oriented. In particolare, le difficoltà derivano da una struttura di costi aziendali che comprime la possibilità di puntare sul prezzo come elemento competitivo, dalla posizione contrattuale di “price taker” nei confronti della Gda estera e dalla difficoltà di reperire risorse da investire in ricerca e sviluppo (R&S).

L’espansione
I vincoli descritti non sono stati però di ostacolo alla crescita. Il food italiano è infatti in espansione sui mercati esteri. Le esportazioni sono salite da 14,9 miliardi, nel 2002, anno di introduzione dell’euro, a circa 20 miliardi, nel 2009, con una crescita del 34%. Il trend non ha mostrato un’inversione di tendenza nei primi sette mesi del 2010 (gennaio - luglio): la ripresa delle vendite, dopo il calo del 2009 sul 2008, è stata dell’8%, rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. In questo primo scorcio di 2010 i settori trainanti sono stati il lattiero-caseario (+19,3%) e le carni lavorate (+16,5%).

Extra-comunitari
Il risultato raggiunto sui mercati extra-comunitari nel periodo considerato è significativo perché ottenuto in paesi al di fuori della zona di influenza dell’euro e con un cambio euro/dollaro che, malgrado alcune oscillazioni che hanno periodicamente ridotto la distanza tra la moneta statunitense a quella europea, non è mai stato favorevole. Il buon andamento del food italiano sui mercati extra-comunitari si spiega con la specializzazione produttiva di alcuni settori (vino, ortofrutta, ecc.), ma anche con l’effetto positivo di traino che esercita il made in Italy alimentare, inteso come parte integrante della cultura del nostro paese, sull’immagine delle imprese italiane (corporate brand) e dei loro prodotti (brand image). In questo caso, la proiezione sul consumatore estero dell’immagine di un’Italia “culla del mangiar bene” e di uno stile alimentare salutistico (dieta mediterranea), è di aiuto alle imprese per conquistare spazi di mercato.
I prodotti alimentari italiani hanno dunque un potenziale economico ancora inespresso, anche perché al di fuori dell’Ue-27 proliferano forme di concorrenza sleale, basate sull’offerta di prodotti sostitutivi di qualità inferiore. Nei prossimi anni, dopo la battuta d’arresto del 2009, il commercio interemisferico è destinato a riprendersi, dal momento che le economie avanzate vedono nella crescita demografica di alcuni paesi in via di sviluppo (Cina e India in particolare) un motore oggi irrinunciabile per i propri sistemi economici, zavorrati da una popolazione anziana ed una produttività declinante.

* Nomisma

Agro pirateria: il bottino è la buona fede del consumatore
Al di fuori dell’Ue-27, tra i fenomeni maggiormente lesivi per la capacità di competere dei prodotti alimentari italiani all’estero vi è quello dell’agropirateria. Oggi il verbo “piratare” è entrato di prepotenza nel vocabolario universale con un nuovo significato: l’uso ingannevole di nomi e denominazioni, di loghi, marchi e contrassegni, allo scopo di falsificare dell’identità merceologica e/o l’origine geografica di un alimento. Il bottino del pirata moderno non è più dunque il prezioso carico di una nave ma la buona fede del consumatore, che paga un prodotto di scarsa qualità molto più del suo reale valore, non di rado pensando di fare un buon affare. La pirateria ai danni dell’alimentare italiano assume spesso le modalità dell’imitazione.

Evocare la provenienza
La peculiarità dei prodotti imitativi è l’esistenza di un esplicito richiamo all’Italia o a sue parti geografiche nella descrizione e negli attributi del prodotto. Il richiamo mira a evocare in chi acquista gli elementi della tradizione gastronomica italiana e coinvolge il nome di prodotti tipici, di un’area geografica (bolognese sauce, pasta milaneza, ecc...) o quello dell’Italia e di aggettivi a essa riferibili (italiano, italian ecc). I prodotti di questo tipo, associando il proprio prodotto a luoghi sedi di produzioni di qualità, si appropriano della notorietà e del successo internazionale di alcune produzioni alimentari italiane come mezzo di affermazione sul mercato. Tra le produzioni più colpite ci sono Dop e Igp cioè produzioni alimentari che nell’Ue-27 sono soggette ad una normativa comunitaria (Reg. Ce 2081/92) a tutela della denominazione, che è rilasciata a garanzia dell’osservanza di specifici disciplinari di produzione. Il danno complessivo per il sistema alimentare italiano è stato di recente stimato in circa 50 miliardi di euro, ma la cifra esatta è difficile da calcolare.

Allegati

195-MKUP-Nomisma
di Fabio Lunati / dicembre 2010

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