Darwinismo digitale: come la pandemia impatta sul “Retail reset”

Il Retail e le sue supply chain possono resistere agli scossoni pandemici investendo sulla customer experience, il motore che spinge il cambiamento

Lo scorso World Economic Forum 2021 (WEF) che si è tenuto a Davos ha avuto un titolo iconico per quel che riguarda il mondo alle prese con una pandemia con cui convivere e da debellare il prima possibile: “The Great Reset”. L’idea di sfruttare gli effetti della pandemia sul business (e non solo) per cercare di resettare, ristrutturare e riorganizzare diversi settori, con un occhio di riguardo alle varie storture, colli di bottiglia ed, in generale, esternalità negative, è qualcosa che è maturato come reazione costruttiva ai disagi e alle difficoltà imposte dal virus. L’onda lunga del “Great Reset” ha investito anche il comparto del retail, che sta facendo i conti con l’azzeramento di molti modi operandi e con la trasformazione di altrettanti comparti ad esso connesso, affondando di fatto il suo “Retail Reset”. In tal senso però, è bene fin da subito esplicitare che l’elemento centrale su cui si basa oggi tale reset è il digitale spinto dal fenomeno pandemico a cui ha fatto da boost nella sua diffusione, piuttosto che dell’applicazione del paradigma tecnologico di per sé, che era già in atto in tempi pre-pandemici. La realtà attuale è, infatti, “ibrida”, ed è alle prese sia con forme analogiche che digitali che interagiscono tra loro (integrandosi o sostituendosi) in maniera più o meno fluida.

Evoluzione in corso

Appare, allora, interessante proporre il concetto di Darwinismo Digitale (Digital Darwinism, espressione coniata dall’esperto di innovazione tecnologica Brian Solis), con cui si fa riferimento “all’evoluzione (o rivoluzione) della filosofia aziendale, dei processi, dei modelli e dei sistemi per competere in un’economia digitale. La tecnologia è e non è la risposta al cambiamento”. Utilizzando l’indicativo hashtag-monito #AdaptOrDie, Brian Solis vuole sensibilizzare al fatto che bisogna sapersi adattare e convivere con la sfuggevolezza e l’inafferrabilità  di cambiamenti repentini esogeni alle aziende, che devono però sapere reagire anche in maniera endogena. Le aziende, quindi, sono concepite per migliorare gradualmente nel tempo, per ottimizzarsi, per riprodursi in modo selettivo, per diventare migliori attraversi un’evoluzione lenta ma coerente e collaudata.
Tuttavia, se questo sistema ha funzionato prima della pandemia, ed anzi era già messo alla prova dalla velocità del cambiamento tecnologico e sociale, ora la situazione è diversa. Il darwinismo digitale, di fatti, con la pandemia assume una nuova connotazione, perché la diffusione del contagio entra a far parte delle variabili darwiniste di sopravvivenza. Agilità e soprattutto accettazione del rischio sembrano due prerogative imprescindibili, anche per trovare un nuovo stile di leadership, nuovi modi equi di retribuzione e di una nuova cultura aziendale.

Retail reset?

La buona notizia è che la consapevolezza di questi meccanismi può aiutare il business a riorganizzare e ripartire dal proprio reset imposto dalla pandemia in maniera più strategica e sostenibile, andando  anche a sfruttare ciò che l’attuale congiuntura fa emergere come positivo. Ad esempio, relativamente al settore del Retail e della sua supply chian, all’interno dei margini di miglioramento che il Retail reset può determinare, Manhattan Associates mostra cinque punti chiave:

  • L'importanza e il benessere dei dipendenti: pandemia è una “human challenge” e una “psicopandemia”, ed è necessario riportare enfasi sull'importanza delle persone e su un’organizzazione del lavoro che si interroghi su diversi aspetti, a partire dallo Smart Working fino al work-life balance.
  • L'accelerazione inarrestabile dell'e-commerce: il ricorso a opzioni miste e ibride per il fulfilment come il ritiro curbside (dal marciapiede, letteralmente) e il click & collect, di concerto con l'e-commerce non fanno che aumentare. Le imprese, i retailer, gli store, dovrebbero ore chiederi se siano attrezzati per affrontare queste nuove aspettative ibride dei clienti in futuro.
  • Una shopping experience contactless: i pagamenti mobile e le opzioni come il “pay-by-link”, rispetto ai contanti, sono cresciuti e diventati molto popolari. Il prolungato distanziamento sociale ha ulteriormente radicato questa abitudine “touch-free” del consumatore, che ora sembra poter rimanere definitivamente.
  • Il nuovo concept degli store: i brand hanno anche bisogno di reimmaginare la funzione fondamentale dello store. I negozi non sono più semplicemente lo showroom del brand dove i clienti possono curiosare a loro piacimento, ora sono centri di fulfilment di peso per tutti i tipi di beni acquistati in modalità differenti, tra cui l’online, sia che ciò avvenga in-app o tramite i social media.
  • Il cliente è più importante di una vendita: la pandemia ha modificato il modo in cui i brand guardano, costruiscono e promuovono la customer loyalty, al punto che mantenere la relazione con i clienti è diventato importante quanto mantenere i bilanci in positivo. Da ciò discende la necessità di offrire una customer experience sempre più personalizzata e che ponga le basi per un rapporto di fiducia consolidato.

In conclusione, la pandemia non finirà davvero per nessuno finché non finirà per tutti, in tutti i settori, e bisogna improntare la propria attività in modo da saper reagire a scossoni esterni. Come noto, Charles Darwin sosteneva che “non è la più intelligente delle specie a sopravvivere; non è nemmeno la più forte; la specie che sopravvive è quella in grado di adattarsi meglio ai cambiamenti dell’ambiente in cui si trova“. Su questa lunghezza d’onda, bisogna fare in modo che il business contribuisca al un reset dell’ecosistema precedente con una maggiore visione e consapevolezza.

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