È l’alba di un nuovo empowerment femminile nel mondo del retail

Il primo incontro dell'Associazione Donne del Retail dà impulso a una rinascita del settore più equa, inclusiva e per questo più capace di innovare

Chissà come sarebbe oggi il mondo se fin dai tempi antichi i ruoli assegnati in base al genere fossero stati invertiti: agli uomini la mansione di padri e "dei del focolare", alle donne il ruolo di gestione e comando della "res publica". Chissà se oggi avremmo questi stessi modelli sociali, questo stesso modo di fare impresa e stare sul mercato, gli stessi conflitti e lo stesso modo di rapportarci l'un l'altro. La risposta non l'avremo mai, perché indietro non si può tornare, ma quello che possiamo fare è guardare avanti, immaginando e dunque creando un futuro diverso. Una società non solo giusta, ma capace di esprimere appieno il proprio potenziale, è infatti quella in cui le donne possono fiorire senza incontrare maggiori difficoltà degli uomini, incarnare nuovi modelli di leadership che non replichino lo stile del sopruso subito, essere tutte le Lei che desiderano. La retorica del "siamo tutti uguali", quando in realtà non lo siamo (numeri e dati alla mano) è solo un ulteriore ostacolo al cambiamento, come ricorda la filosofa Maura Gancitano nel corso del primo incontro dell'Associazione Donne del Retail ospitato da GS1 Italy nella propria sede di Milano.

La neonata realtà associativa si propone di dare impulso all'empowerment femminile e all'inclusione in un settore a dominio maschile, tanto nelle quote quanto nella cultura.
"Bisogna portare avanti un nuovo discorso e dialogo che sia per le donne, ma fatto insieme agli uomini", sottolinea Eleonora Graffione, presidente dell'Associazione Donne del Retail: "Dobbiamo integrare idee e visioni facendo rete, perché è la rete che serve per riuscirci".
La strada da fare a livello di settore retail, così come su scala globale, è tantissima, ma un primo passo è stata la misurazione di quella che è realtà oggettiva attraverso numeri e indici. A riportarne alcuni è l'economista Camilla Speriani, che ha evidenziato come disuguaglianza e discriminazione di genere siano una questione trasversale a tutte le società e i Paesi. Secondo l'indice Undp i pregiudizi di ruolo, ad esempio, riguardano 9 persone su 10 a livello globale (dunque li hanno le stesse donne) e, anche laddove una donna riesca a fare carriera in ambiti ritenuti maschili sarà poi soggetta a un giudizio di maggiore severità. Solo il 6% delle big company, quelle aziende che incidono su interi assetti sociali e politici, sono a guidance femminile e il gender pay gap cresce proporzionalmente con l'importanza del ruolo ricoperto, l'età e il titolo di studi.

C'è poi tutto il tema della "disciminazione soft" legata al linguaggio, che anche quando rende disponibile la carica al femminile vede quest'ultima inutilizzata. Come ben esemplifica Dominga Fragassi, parte del Consiglio direttivo dell'Associazione Donne del Retail, nella gdo ci sono "I buyer e LE cassiere, I direttori commerciali e LE assistenti". No, non sono solo parole, sono l'infrastruttura del pensiero collettivo (cit. Michela Murgia), il medium con il quale ci relazioniamo tra noi. Per quale altra ragione, se non una svalutazione aprioristica basata sul genere, un'imprenditrice di successo nel mondo della tecnologia retail come Barbara Labate ancora oggi è "la ragazza dell'eCommerce" in una pletora di dottori con nome e cognome? "È stato difficile -racconta Labate- accreditarmi come donna Ceo in un settore di uomini (e lo è ancora), ma come dico sempre: 'si può fare!'".
In sintesi: meno classifiche e relative differenziazioni "al femminile" con l'usuale spirito paternalistico, perché "nonostante si sia provato a dimostrarlo in tutti i modi non c'è differenza biologica di genere tra i due cervelli" (Gancitano). Ma anche "meno minuti di silenzio e più azione" (Cristina Lazzati, Consiglio direttivo Associazione Donne del Retail). È tempo di raccontare e scrivere nuove storie.

 

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