Economia circolare: a che punto siamo?

La crisi energetica e la difficoltà di approvvigionamento delle materie prime sono la prova del nove della necessità di questa transizione e dell’abbandono del vecchio modello lineare. Diverse le aziende all’avanguardia. E si riesce anche a fare business

L'economia circolare è chiamata dall’Unione europea a sostituire il più rapidamente possibile la vecchia economia lineare. Le aziende hanno iniziato a rendersi conto che è necessaria una vera sostenibilità per ridurre la quantità di materie prime in entrata nell’economia e di rifiuti in uscita. E i consumatori premiano i marchi che dimostrano impegni concreti e penalizzano chi non lo fa. Il ciclo di vita dei prodotti è il nuovo centro di gravità dell’economia industriale. Accompagnato dalla collaborazione tra filiere. Diversi elementi costituiscono già best practice, come le strategie per il recupero di scarti da altri processi. Altre comprendono l’uso di materie prime ed energie rinnovabili, attenzione a riutilizzabile e impiego di materie prime seconde, non solo per imballaggi.

Far diventare lo scarto di filiera una risorsa da valorizzare
in una logica di simbiosi tra realtà produttive
è uno degli aspetti chiave dell’economia circolare.
Quella destinata a sostituire la vecchia economia lineare.
La strada è stata tracciata dalle politiche Ue con il Piano d’azione per l’economia circolare approvato a marzo 2020 e parte del Green Deal europeo
ed è al centro anche di molti progetti del Pnrr.
La Commissione stima che questa transizione possa portare a un aumento del Pil
dello 0,5% entro il 2030. Il ciclo di vita dei prodotti diventa così uno degli elementi portanti delle nuove misure destinate alle aziende:
vengono favoriti quelli che sono concepiti per essere riutilizzati, riparati o riciclati.

 

Ma qual è lo stato dell’arte nel nostro Paese? 

Nel 2020 la bioeconomia in Italia, il sistema che utilizza le risorse biologiche, inclusi gli scarti, come input per la produzione di beni ed energia, ha generato un output pari a circa 317 miliardi di euro; il suo peso in termini di produzione è salito al 10,2%. Lo dice la settima edizione del rapporto La bioeconomia in Europa, redatto dalla Direzione studi e Ricerche di Intesa Sanpaolo in collaborazione con il Cluster Spring e Assobiotec-Federchimica. La filiera agroalimentare in Italia rappresenta oltre il 60% del valore della Bioeconomia. Di grande interesse sono i legami con le nuove frontiere della chimica bio-based, che utilizza materie prime biologiche, al centro della transizione verde. Un sistema dinamico che vede in Italia più di 830 soggetti: dalle 84 università e centri di Ricerca (pubblici e privati), alle circa 730 imprese (con più di 500 start-up), cui si affiancano altre istituzioni ed associazioni con ruolo di supporto e promozione. Tra le tematiche più perseguite dalle aziende le innovazioni per il trattamento dei rifiuti organici e i fanghi di depurazione, con l’obiettivo di produrre energia, biometano, fertilizzanti e ammendanti. Molto promettente è il filone del riutilizzo di molecole e sostanze bioattive per la farmaceutica e nutraceutica.

DA SCARTO A RISORSA
Feola Antonio UIF
Antonio Feola, responsabile sostenibilità di UIF Unione Italiana Food

“Dal nostro punto di osservazione, in associazione -spiega Antonio Feola responsabile sostenibilità Unione Italiana Food che riunisce circa 450 aziende- vediamo molto impegno delle aziende per l’abbattimento delle emissioni di Co2 attraverso la programmazione delle politiche di sostenibilità che presuppongono la misurazione degli impatti ambientali come punto di partenza per intraprendere le scelte giuste e i relativi investimenti. Ad esempio già vent’anni fa nostre aziende alimentari che avevano scarti o residui di produzione ci avevano chiesto un confronto all’interno dell’associazione per gestire il problema. E noi abbiamo predisposto linee guida tenendo conto delle normative esistenti, ma che andassero oltre prevedendo procedure, all’interno e all’esterno dell’azienda, che permettessero di conferire gli scarti all’industria mangimistica. In questo modo ciò che originariamente doveva essere smaltito come rifiuto, diventava una materia prima per un altro settore”. Con l’economia circolare il rifiuto da scarto diventa risorsa. Ma essenziale è misurare la propria circolarità. “Non tutte le aziende lo fanno, ma c’è l’effetto domino quando partono soprattutto i grandi. Stiamo ora partecipando a un progetto Life “Magis” della Comunità europea sull’impatto ambientale dei prodotti. Quattro merceologie nostre (merendine, gelati, lievitati di ricorrenza, e caffè) si stanno esercitando nella misurazione dell’impatto ambientale dei propri prodotti con l’obiettivo di comunicarlo ai consumatori finali, evitando così i rischi legati al greenwashing".

Paciello Alessandro, Aida Partners
Alessandro Paciello, presidente di Aida Partners

“Il punto cruciale è l’energia e il secondo, che non mettiamo sufficientemente al centro dell’attenzione, è quello dell’acqua, che rischia a breve di scatenare nuove guerre -spiega Alessandro Paciello, presidente di Aida Partners e Innovazione Circolare. L’Italia è il primo Paese per economia circolare in Europa, recuperiamo già bene. Ma dobbiamo incentivare la riproposta di rifiuti sotto forma di nuovi prodotti perché le materie prime cominciano a scarseggiare: e qui conta la tecnologia. Detto questo non è però sostenibile e circolare ciò che non mette l’uomo al centro: se ci dimentichiamo dell’uomo e ci preoccupiamo solo di energia e rifiuti (concetti peraltro chiave dell’economia circolare), schiavi di tecnocrazia e burocrazia, stiamo facendo un buco nell’acqua. Non salviamo il mondo parlando di come ridurre la Co2 o recuperare alluminio o vetro. Serve un’umanocrazia. Più che di transizione ecologica si dovrebbe parlare di conversione ecologica, concetto che già usava Alexander Langer, tra i più grandi ambientalisti nella nostra storia d’Italia. Dobbiamo riprendere la visione di Olivetti che la società e l’economia si devono basare su valori spirituali. L’economia circolare è anche legata ai valori e all’intangibile, non solo alle materie”.

MISURARE LA CIRCOLARITÀ

Un primo passo per un’azienda è capire a quale livello di circolarità si trova. Occorre pertanto una misurazione, indicatore fondamentale in chiave strategica. GS1 Italy ha sviluppato un check-up tool, Circol-UP, che aiuta le imprese a misurare il proprio livello di circolarità e individuare le opportunità di miglioramento. Tramite una check list con domande strategiche sull’applicazione dei principi dell’economia circolare all’interno dei processi aziendali, Circol-UP analizza tutte le fasi del ciclo di vita dei prodotti (approvvigionamento, design, produzione, distribuzione, consumo e gestione dei rifiuti) ed è stato customizzato considerando le peculiarità del largo consumo, in particolare le specificità dei settori alimentare e bevande, retail e cura casa e cura persona.

Gomez Carolina GS1 Italy
Carolina Gomez, Ecr project manager di GS1 Italy

“Nella fase di approvvigionamento ci sono aziende che hanno cominciato a considerare criteri di circolarità nella selezione dei fornitori di materie prime da impiegare per la realizzazione degli imballaggi per i propri prodotti e si guarda anche al packaging del prodotto acquistato, prediligendo quelli che seguono obiettivi di circolarità, per esempio in termini di riciclabilità, recuperabilità e di riduzione rifiuti -sottolinea Carolina Gomez, Ecr project manager di GS1 Italy-. Nella fase di progettazione si cercano soluzioni per ridurre l’impiego di acqua o di energia che non provenga da fonti rinnovabili, come tramite l’autoproduzione di energia elettrica e termica; in quella del design le scelte di progettazione in molti casi sono finalizzate a ridurre gli sprechie a minimizzare l’impatto ambientale; sul fronte logistico, a ottimizzare il trasporto dei prodotti finiti, utilizzando anche mezzi rispondenti a criteri di circolarità”. Le aziende, con l’obiettivo di far crescere la cultura della circolarità, stanno facendo formazione sia interna sia verso i consumatori, dando per esempio indicazioni sulle migliori modalità di utilizzo e conservazione dei prodotti, su come smaltire correttamente il packaging, riutilizzarlo o ripararlo.

Scalia Silvia GS1 Italy
Silvia Scalia, Ecr and training director di GS1 Italy

“Questo strumento -precisa Silvia Scalia, Ecr and training director di GS1 Italy - nasce dalla volontà delle aziende di avere un riferimento comune per capire e misurare quanto siano pronte sui temi dell’economia circolare e quanto i loro processi rispondano a questi principi. Da lì è nato un gruppo di lavoro, che ha svolto diversi incontri alla presenza dei manager dell’industria e della distribuzione, identificando quali misure potessero catturare questo concetto, andando a spacchettare i processi delle aziende lungo il ciclo di vita del prodotto”. Ne è scaturita un’attività in collaborazione con l’Istituto di Management della Scuola Universitaria Superiore Sant’Anna di Pisa, con cui sono state accompagnate alcune aziende associate in questo percorso di misurazione. Lanciato nel 2019, prima dell’estate sarà disponibile il primo report sull’utilizzo di Circol-UP da parte di una ventina di aziende di taglia maggiore. “L’attività di affiancamento ci ha permesso di cogliere le buone azioni che diventeranno un serbatoio di best practice e potranno suggerire consigli migliorativi, in ottica di collaborazione tra i diversi attori lungo la filiera. L’economia circolare si fonda innanzitutto su un uso efficiente delle risorse, facendo rientrare nel ciclo produttivo quello che andrebbe disperso. Il concetto è quello del risparmio: lavorando su inefficienze e costi, si migliora la competitività delle imprese creando un impatto sulle comunità che fa guadagnare tutto il sistema”.

LE AZIENDE CIRCOLARI

Ecr Community, l’associazione che raggruppa le iniziative nazionali Ecr in tutto il mondo (in Italia parte di GS1 Italy) ha pubblicato un report (A Global Review of Circular Economy Case Studies from the Retail & Cpg Sector), che raccoglie 18 case history relative all’adozione dell’economia circolare da parte delle aziende di produzione e distribuzione del largo consumo di tutto il mondo. Esempi reali di come l’economia circolare può aiutare le imprese a ridurre il proprio impatto ambientale. Le aziende includono retailer (tra cui AB Vassilopoulos & Chalkiadakis SA, Coop, Jerónimo Martins, Pingo Doce), imprese industriali (tra cui Alpla, Birra Peroni, Cycle, Henkel, Inditex, Nestlé) e aziende che forniscono soluzioni circolari (come Cameleon Group, FoodCloud, GS1 Austria, Pandobac, Uzaje). Nel 2021 Birra Peroni ha, per esempio, introdotto la blockchain per il malto italiano, un passaggio fondamentale quello della tracciabilità per raggiungere gli obiettivi di neutralità carbonica nel 2050. Coop ha aderito alla Pledging Campaign europea e alla Circular Plastics Alliance per raggiungere nel 2025 l’obiettivo di 10 milioni di tonnellate di plastica riciclata che dovranno trovare una seconda vita in nuovi prodotti sul mercato europeo. Ed è impegnata in una serie di azioni progressive per arrivare, sempre nel 2025, a utilizzare 6.400 tonnellate annue di plastica riciclata al posto di quella vergine per tutti i suoi prodotti.

Andando a vedere come si muovono le grandi aziende, ci sono molti casi virtuosi. Uno dei temi centrali è la dipendenza energetica, che la crisi Russia-Ucraina ha fatto drammaticamente esplodere. Molte le progettualità avviate per effettuare una transizione ecologica della filiera. A titolo di esempio sulla parte di trasformazione Granarolo ha installato due impianti di co-generazione, per la produzione integrata di energia elettrica e termica, nello stabilimento di Usmate Velate (Mb), uno dei suoi più grandi e il terzo stabilimento per produzione di formaggi freschi in Italia, con una superficie totale di circa 107 mila metri quadri, dove vengono lavorati circa 1.100 tonnellate di latte all’anno. Oltre a garantire un prezzo dell’energia più basso e stabile, i nuovi impianti ridurranno ogni anno l’immissione di 1.000 tonnellate equivalenti di CO2 in atmosfera.

Gruppo Caviro persegue un circolo virtuoso che punta a eliminare il concetto di scarto, partendo dal campo, dove ogni materia prima viene considerata una risorsa preziosa

Nella filiera vitivinicola la plastica convenzionale viene utilizzata principalmente per la produzione di tappi per la chiusura delle bottiglie e la realizzazione di legacci da utilizzare sulle viti in fase di allevamento, potatura e innesti. Con il progetto Vivi plastic free si punta in breve tempo a ridurre la presenza di plastica nel vigneto e in cantina fino al 60%, sostituendola con nuovi materiali ricavati dagli scarti della produzione vitivinicola. Il progetto è presentato da Ri.Nova, società di Cesena specializzata nella ricerca scientifica in ambito agroalimentare, in collaborazione con l’Università di Modena, Cantine Riunite & CIV, Caviro, Terre Cevico, oltre a diverse aziende agricole nel territorio regionale.

PROGETTO UPCYCLING_Albini_next, think thank lanciato nel 2019 per creare i tessuti del futuro, ha individuato una nuova tipologia di tintura per tessuti ricavata dalla lavorazione del riso nero di Riso Gallo. Nel corso del trattamento idrotermico del cereale, l’acqua assume un profondo color vinaccia: una tintura naturale, utilizzata per tingere diverse fibre tessili sostenibili
FARMACEUTICA E NUTRACEUTICA

Grande attenzione viene rivolta ai riutilizzi degli scarti delle filiere per la produzione di biomolecole per la farmaceutica, nutraceutica, cosmesi. Un esempio arriva dalle vinacce per l’estrazione di polifenoli, così come dai sottoprodotti della produzione olivicola. Il Piano di Inalpi prevede la creazione dei nuovi laboratori del centro R&S InLab Solution: l’azienda guarda anche in questa direzione. Nel 2021 ha concluso un impianto per l’ultrafiltrazione per arrivare a individuare sostanze bioattive e ha in programma la produzione di lattoferrina, che ha avuto un vero boom con il Covid per le proprietà antivirali. L’interesse è anche per altre componenti, K-caseina A e B, fosfolipidi; il latticello dalla produzione del burro viene invece venduto nei Paesi asiatici dove è usato per bevande. Allo studio prodotti alto proteici da produrre industrialmente: sieroproteine da usare in integratori, alimenti e bevande per sportivi.

Andriani vasche Spirulina
Tra i progetti in partnership di Andriani, l'apertura di una serra per la coltivazione di alga Spirulina, a fianco della giovane realtà pugliese ApuliaKundi, specializzata in ricerca nell’ambito di microalghe. Le vasche sono riempite con le acque provenienti dal ciclo produttivo della pasta. Da qui la referenza di pasta a marchio Felicia alla Spirulina

Grazie alle collaborazioni avviate con università e centri di ricerca internazionali, Ferrero ha già sperimentato negli scorsi anni un processo in grado di estrarre dal guscio della nocciola fino al 10% di una fibra prebiotica, chiamata Axos. Rigoni ha avviato collaborazioni con università e centri di ricerca per il riutilizzo degli scarti della frutta. Progetti per recuperare le molecole bioattive, di cui gli scarti della lavorazione della frutta sono ricchi, a fini alimentari, nutraceutici e cosmetici. Gli scarti degli agrumi non solo possono diventare materia prima (filati) per tessuti (l’esempio è quello di Orange Fiber). Grazie all’attività sperimentale dell’Università di Catania, dal pastazzo un prodotto di risulta, uno scarto della lavorazione degli agrumi (fino a oggi risultava un problema lo smaltimento), è possibile ricavare una farina ricca di fibra che trattiene molta acqua.

Barbagallo prof. Salvatore UniCatania
Salvatore Barbagallo, docente UniCatania

“Può trovare impiego al posto dei grassi nelle brioche assicurando la morbidezza. La farina diventa pertanto un ingrediente dietetico che consente di assimilare meno grassi” ha raccontato Salvatore Barbagallo, professore ordinario di Idraulica agraria e sistemazioni idraulico-forestali dell’Università di Catania.

RACCOLTA E TRASFORMAZIONE

Dalla raccolta e trasformazione di rifiuti valorizzabili (carta, plastica, legno, metalli), nei propri impianti dislocati in Liguria, Piemonte, Lombardia, Toscana e Veneto, ReLife, Gruppo italiano di economia circolare, produce imballaggi sostenibili. Recentemente il Gruppo ha annunciato la nuova denominazione delle sue divisioni produttive: ReLife Recycling (specializzata nella raccolta e nel trattamento di rifiuti solidi urbani e industriali, con oltre 700 mila tonnellate di rifiuti avviati a riciclo); ReLife Paper Mill (cartone e cartoncino utilizzando materia prima secondaria a base carta, con oltre 115 mila tonnellate di bobine di cartoncino grigio prodotte da macero); ReLife Paper Packaging (fogli e scatole di cartone ondulato, prodotte prevalentemente da carta riciclata, con oltre 80 mila tonnellate di scatole prodotte); ReLife Plastic Packaging (sacchi e imballaggi in plastica prevalentemente attraverso l’impiego di materiale rigenerato con oltre 15 mila tonnellate di prodotti plastici).

da Mark Up n. 308 aprile 2022

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