Eurolandia e le monete parallele

ECONOMIA & ANALISI – Il doppio regime monetario potrebbe funzionare anche per l'uscita dall'Euro (da MARKUP 223)

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Le moderne democrazie, in barba a molti scenari distopici, sembrano incapaci di controllare i flussi informativi e di manipolare il consenso attraverso i media. (Quasi) tutti gli argomenti sono dibattuti pubblicamente e in modo ossessivo: sessualità, integrazione razziale, attività spionistiche, ecologia ecc. dando luogo a flussi d'opinione pseudo-plebiscitari.
Le decisioni economiche (e monetarie, nello specifico) invece, appaiono ermetiche, per adepti. La materia è intellettualmente ostica e i suoi meccanismi oscuri. Parlare del futuro dell'euro equivale dunque a infrangere un tabù. Eppure un suo crollo eventuale distruggerebbe la qualità di vita di milioni di pensionati, la ricchezza finanziaria delle famiglie, le speranze di milioni di giovani oggi disoccupati e ben altro. Valutare un'uscita dall'euro si può, anzi si deve. Perché non è detto si sia noi a volerlo abbandonare! Potrebbero essere i Paesi forti a farlo e allora ...

Il dovere di spiegare
Oggi, si difende la moneta europea non con un: "Bene! Bravi!", ma con un "Senza, sarebbe andata peggio!". Gli economisti, pur screditati come "scienziati con capacità predittive", hanno quindi il dovere di spiegare gli esiti delle loro simulazioni. Partiamo da un assunto: le varie unioni e federazioni ai loro esordi, fecero precedere sempre l'armonizzazione fiscale a quella monetaria. In Europa, un'elite di politici scelse la strada contraria. Con una serie di conseguenze. La prima è che un'unione monetaria demolisce il principio del deficit spending autonomo di ogni nazione. Non si può più erodere il debito pubblico con l'inflazione. Le banche delle nazioni forti acquistano i titoli di Stato di quelle deboli solo se danno interessi elevati. Diventano più forti. Comprano le attività dei Paesi in crisi. Le nazioni deboli non possono ridurre rapidamente la loro spesa pubblica corrente perché sono elementi di socialismo introdotti nell'economia di mercato per arginare le conflittualità.
Secondo. Un tempo, le nazioni rese deboli da costi di produzione maggiori di quelli esteri (spesso a causa di un'elevata tassazione) svalutavano la propria moneta. Facevano cioè diminuire tutti i loro prezzi. L'euro, invece, fu introdotto proprio per impedire le svalutazioni competitive all'interno del mercato unico. In breve, la Ue impose di confrontare le reciproche produttività, e di diminuire, se necessario, solo i prezzi non competitivi, abbassando la tassazione (e quindi la spesa pubblica) e/o i salari netti.
Terzo, le nazioni forti sfruttano il grande mercato interno dell'Ue, ma vogliono anche un Euro sopravvalutato per acquistare dal resto del mondo materie prime a minor costo. Dunque, respingono l'idea di lasciar correre un'inflazione maggiore per svalutare la moneta unica. Cresce allora il disaccordo tra i membri e prende piede, come in Germania, un'idea: tornare alla propria valuta forte o far uscire dall'Euro le nazioni deboli.
Certo, abbandonare di colpo la moneta unica per le nazioni indebolite sarebbe un disastro. L'impossibilità di calcolare il valore delle proprie attività reali e finanziarie e di fissare un tasso di cambio credibile e stabile produrrebbe un caos più o meno lungo. Si svilupperebbe un'inflazione indotta dall'import pagato con la nuova valuta non ancora credibile. Meglio allora, dicono diversi opinionisti, reintrodurre alcune monete nazionali in parallelo all'Euro com pareri opposti sulla riuscita. Eccoci al punto. Dato che a) pur se non esplicito, negli ambienti finanziari e politici domina un certo scetticismo sulla tenuta a 10 anni della moneta unica e b) che l'ipotesi di un "fiscal compact" decennale per rispettare Maastricht sembra indurre una depressione permanente e più grave, perché non riflettere sulle teoriche conseguenze delle valute parallele come rimedio a queste due sciagure? ■

Allegati

223_Tirelli-Doppia_valuta

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