Scommetto che quando leggerete questo pezzo polemiche e illazioni sui conti pubblici per il 2019 non saranno ancora finite. Proviamo a ragionare. Se decidessimo di cancellare le clausole di salvaguardia sull’Iva e andassimo tutti -commentatori, governo e parlamento- in vacanza, astenendoci da qualsiasi altro intervento legislativo, l’economia andrebbe avanti ugualmente (qualcuno direbbe: meglio). L’anno prossimo avremmo, comunque, un po’ di Pil, tasse e spesa in più, con un deficit (cioè tasse meno spesa) simile a quello attuale. Pertanto, il punto di partenza per il prossimo anno è lo status quo: diciamo deficit all’1,9%, come quello del 2018. Questo è il numero fondamentale su cui montare la manovra (cioè le ambizioni e le speranze dell’esecutivo): reddito cittadinanza (7 miliardi di euro al netto delle attuali provvidenze), smontaggio “Fornero” (7) e poi 6 miliardi di euro netti tra altre spese e introiti da pace fiscale.
Con un Pil a 1.809 miliardi di euro, questo quadro fornisce un deficit in rapporto al Pil pari al 2,9% (20, che è il conto delle nuove spese, diviso 1809=1,1, che si somma all’1,9 di partenza). Ovviamente, se il tetto è il 2,4% qualcosa non torna e non si farà. Il quasi boom economico previsto dal governo del cambiamento non basta. Infine, se qualcuno dirà “la manovra non sarà tutta in deficit, ci saranno tagli” allora condivideremo l’approccio, almeno in teoria, perché politica è anche fissare priorità e obiettivi alla ricerca di efficienza nello spendere i soldi dei contribuenti. Però non sarà la “manovra del popolo”, ma di una parte del popolo pagata dall’altra parte (del popolo). A quel punto spereremo di stare dalla parte giusta.
I conti pubblici, purtroppo…
Gli opinionisti di Mark Up (da Mark Up n. 274)