Il real estate torni al rispetto del territorio e del sociale

Urbanistica, Real Estate & Cci 2009/ 2 – Non siamo ancora usciti dalla logica perversa della speculazione.

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1. Nuove esigenze
di mercato nascono
dal bisogno di abitazioni accessibili
e a basso consumo

2. Back-to-basics:
via da un mercato sostanziato da finte transazioni immobiliari esclusivamente finalizzate a creare plusvalenze
nei bilanci

Avvicinandosi alla fine del 2009 è inevitabile riflettere su quanto è avvenuto e su come affrontare gli ultimi mesi dell’anno, preparandoci al 2010 ormai imminente. Molte sono le considerazioni che si possono fare su questo 2009 che ha rappresentato il punto più basso (vogliamo almeno sperarlo) della peggior crisi sperimentata dal dopoguerra in poi, ma che è anche carico di speranza che induce a voglia di ripresa e recupero.

La prima considerazione riguarda l’evidente sproporzione tra l’importanza del settore immobiliare nel panorama economico del paese, e il suo scarso peso, in termini di rappresentatività, presso l’opinione pubblica. A dispetto del rilevante contributo che ha storicamente offerto all’economia nazionale, nella duplice funzione di creatore di ricchezza e di occupazione, il mercato immobiliare e delle costruzioni non ha mai saputo garantirsi la dignità di altri settori industriali, con la quasi ovvia conseguenza di una limitata rappresentatività negli ambienti decisionali, soprattutto attinenti alla sfera politica. Gli operatori immobiliari nel loro complesso fanno notizia solo in negativo quando affrontano situazioni di difficoltà, mai quando si distinguono per le innovazioni che portano a una reale trasformazione del territorio, migliorandone la fruibilità.

Credo sia opportuno evidenziare proprio questo punto, relativo alla vera missione dell’operatore immobiliare, che consiste nel gestire la trasformazione del territorio, con la dovuta attenzione, pur nel rispetto delle attese economiche insite in qualunque attività di business, verso le valenze sociali, prime fra tutte il miglioramento delle condizioni di vita nelle nostre città, e l’elevazione qualitativa degli standard urbani dei cittadini.

Per ritrovare l’importanza e la dignità che questo settore merita, bisogna imparare a fare squadra, diventare una comunità, salvaguardando e trasformando il territorio e le sue risorse in modo corporativo e non più speculativo come troppe volte avvenuto, e sottolineato da molta parte della società industriale.

Finanza malata

Una seconda riflessione nasce invece da un’analisi dei gravi dissesti finanziari che hanno caratterizzato l’immobiliare nel recente passato creando non pochi problemi al contiguo settore del credito. Ogni crisi è l’effetto di un elemento scatenante: quella che stiamo vivendo trova la sua origine nei dissesti finanziari conseguenti al fenomeno americano dei mutui sub-prime. Che nasconde un altro problema: l’eccessiva disinvoltura nell’utilizzo della leva del credito che ha di fatto reso insignificante il rischio imprenditoriale, spostandolo su inconsapevoli investitori di capitale che poco o nulla sapevano circa la reale destinazione del loro investimento.

I complessi, e direi quasi barocchi, prodotti finanziari che negli ultimi anni hanno trovato applicazione anche in modeste operazioni, si fondano sull’insano principio di allontanare il più possibile chi mette a disposizione il denaro dall’investimento stesso, cioè dal bene oggetto dell’impiego di capitale. Si è creato così un sistema nel quale l’imprenditore, finanziato quasi al 100% (e non di rado anche di più), diventava insensibile al rischio dell’operazione: le banche che erogavano tale finanziamento percepivano solo il vantaggio delle commissioni lucrate sulla concessione del finanziamento e non il rischio del credito, sicure di potersene ben presto liberare attraverso operazioni di cartolarizzazione; gli investitori di capitali, fondi o istituzioni, ben gradivano l’elevato rendimento dei bond emessi a fronte di tali operazioni, confidando sulla qualità degli istituti di credito emittenti e delle agenzie che attribuivano un rating all’investimento.

E proprio qui risiede la vera origine, a mio parere, del grande dissesto: l’avere azzerato la percezione del rischio, anzi aumentandolo a dismisura, fino a che il sistema, apparentemente virtuoso, è scoppiato.
...

*Presidente comitato scientifico di Eire

Allegati

Cci2009/2-RispettoSociale
di Roberto Benaglia* / novembre 2009

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