Un marketing bifronte per bilanciare le sfide di oggi e domani

Integrare branding e performance marketing, con investimenti che guardano a rendimenti nel breve e nel lungo. Le priorità del futuro secondo gli esperti

Una migliore integrazione tra brand e performance marketing, con sguardo contemporaneamente orientato all'oggi e al domani: questa la più grande sfida per il 2021 secondo gli oltre 200 esperti marketer di 29 Paesi che hanno contribuito al report intitolato "Future Focus 2021: Brands Accelerated" presentato da iProspect, agenzia di Dentsu. Il documento esamina opportunità e priorità del settore nel breve e lungo periodo.

Tre, in particolare, le aree strategiche per il futuro, ovvero:

  • Commerce everywhere, ovvero la casa come nuova frontiera dell'eCommerce, ma anche i media shoppable come chiave per aiutare i marchi a colmare il divario tra ispirazione e transazione.
  • La battaglia per l'attenzione discute come i marchi possono catturare l'attenzione dei consumatori e convertirla in acquisti attraverso i media, la creatività, l'inclusione e l'esperienza dell'utente.
  • The new data playbook, ovvero il nuovo contesto dei dati che i marchi devono gestire e utilizzare, adattandosi all'evoluzione delle aspettative dei consumatori in merito alla privacy e a politiche più restrittive sulla raccolta dei dati.

Un contesto stimolante ma anche complesso per il mondo del marketing, che richiede una visione sempre più ampia e trasversale. In particolare, il 61% dei marketer considera il "creare un'esperienza estremamente conveniente per il consumatore" come la leva più efficace per generare la crescita del business. Il 42%, inoltre, crede che il percorso lineare verso l'acquisto sia rilevante oggi come lo era decenni fa, nonostante l'ascesa del digitale. Allo stesso tempo, il 32% dei professionisti del marketing ritiene che l'espansione delle commerce capability sia importante per la roadmap del 2021, tuttavia il 26% la considera una delle sfide più difficili da affrontare quest'anno.


Guardando ai prossimi 12 mesi, oltre la metà degli intervistati parla infatti di un fondamentale bilanciamento tra la massimizzazione dei rendimenti nel presente (tipicamente con focus su produttività operativa, breve termine e rischio più basso) e un approccio esplorativo (l'investimento in rendimenti futuri con un focus su innovazione, crescita, lungo termine e dunque rischi più elevati). Per ricorrere a un parallelismo agricolo, si tratta, insomma, di equilibrare la semina di piante che danno frutti nel breve periodo per il sostentamento "ordinario" alla semina di piante che danno frutti con il passare di più stagioni, ma dalla capacità nutritiva elevata e in grado di generare ulteriore produttività.
La pandemia ha infatti reso evidente come "il domani" apparentemente lontano possa diventare, per cause di forza maggiore e senza preavviso alcuno, "l'oggi".

Altro aspetto interessante che emerge dal report è l'apparente disallineamento tra marketer e consumatori sullo scambio di dati. Solo il 9% dei professionisti ritiene che aiutare un'azienda a migliorare prodotti o servizi sia un incentivo per gli utenti a condividere i propri dati, ma il 44% di questi ultimi ritiene invece che questo sia un motivo sufficiente per rilasciare informazioni di identificazione personale al brand. Ci sarebbe dunque un ampio cluster di persone, quasi una su due, che è ben favorevole ad esporsi in quanto a dati e preferenze se questo significa ricevere in cambio un reale valore aggiunto.

L'identificazione del quid di questo valore è per molti uno snodo centrale. In caso di business per i quali l’identificazione personale è alla base della fruizione stessa del prodotto/servizio (banche, compagnie telefoniche) lo scambio avviene spontaneamente, ma per altri mercati il discorso è più complesso. In assenza, dunque, di motivazioni intrinseche, è fondamentale per le aziende individuare che cosa offrire ai propri clienti affinché questi siano favorevoli a uno scambio.

Per dare concretezza a questo discorso possiamo fare un banale ma classico esempio di vita vera che avrà riguardato molti lettori. In ambito retail, quando si tratta di grandi catene di abbigliamento, beauty e così via è ormai prassi che, al momento del pagamento, cassiere evidentemente istruite dall'azienda chiedano a chi non la possiede di fare la carta fedeltà dell'insegna. I reali vantaggi del mettersi a compilare un modulo in cui si cedono i propri dati non è tuttavia spesso molto chiaro. In alcuni casi i punti legati alle carte danno accesso a sconti miseri a fronte di lunghe raccolte e in altri casi non sono nemmeno previsti reali sconti ma vantaggi della serie "ti facciamo sapere le promozioni che faremo". In sintesi: mi stai chiedendo di darti i miei dati per aiutarti a farti pubblicità, ma dove sta per me il reale valore aggiunto? E quelle promozioni, tra l'altro, sono davvero basate sui miei acquisti e interessi manifestati, o sono solo spam? Ricevere valore significa ottenere come minimo della convenienza, ma non solo, anche semplificazioni della quotidianità attraverso servizi e risposte che in alcuni casi possono addirittura anticipare il bisogno (come quando Zalando ti informa con precisione progressiva sullo stato del tuo reso, risparmiando all'acquirente l'ansia da monitoraggio).

Citare Amazon come riferimento virtuoso è fin troppo facile, ma sempre efficace. Senza entrare in questioni calde come la corretta concorrenza, la responsabilità dei marketplace rispetto ai merchant e così via, sta di fatto che, anche grazie a livelli come quelli fissati dal colosso Usa, il consumatore oggi si sta abituando a ricevere certi vantaggi ben definiti: un programma fedeltà come Amazon Prime non solo si sottoscrive senza eccessive pressioni, ma si paga perché porta dei plus chiari e calcolabili. E anche se il prezzo aumenta, proprio come avvenuto in Usa, gli utenti restano perché i vantaggi aumentano a loro volta e si è parte di un "sistema" con importanti garanzie. In Italia sta succedendo la stessa cosa, a conferma che i consumatori su questo punto non sono affatto diversi.

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