L’attendismo della politica e il dramma del Paese

Il peggio che potesse accadere è puntualmente accaduto: ossia le recenti elezioni hanno consegnato il Paese a una situazione di ingovernabilità come mai in precedenza nella storia della Repubblica.

Non più due poli, ma tre, più o meno di pari consistenza e finora risoluti (scrivo queste righe la mattina dell'8 marzo) a mantenere una rigida posizione che di fatto impedisce la formazione di un governo stabile.
Ovvero proprio di quello che avrebbe bisogno il sistema Italia in questo momento: siamo arrivati al punto più profondo e drammatico di una crisi interminabile, ma contemporaneamente, come rilevavo su queste pagine lo scorso mese, si iniziano a intravedere i primi segnali che in prospettiva ci potrebbero consegnare una seppur debole ripresa.
Un'occasione che, con il Paese allo stremo, non si può perdere. Le imprese chiudono senza sosta, la disoccupazione aumenta, i dati degli istituti di ricerca certificano che sono ormai due su tre le famiglie che faticano ad arrivare alla fine del mese.
Ci si aspetterebbe, in simili condizioni, uno scatto di orgoglio da parte di una classe politica (quella tradizionale) che ha perso il contatto con i veri problemi della gente comune e che continua a dibattere di questioni sempre più lontane da quella che viene percepita come un'emergenza quotidiana.
Lo stesso scatto, tuttavia, sarebbe lecito attenderselo da chi, come il Movimento 5 stelle, lontano dalla politica tradizionale, proprio sull'aver capito quell'emergenza ha costruito un successo inatteso nelle proporzioni.
Per poter trasformare il Paese occorre un governo stabile, e le regole istituzionali che ne stabiliscono le modalità di formazione (ovvero il passaggio attraverso un voto di fiducia) non possono essere eluse.
Dire cosa non funziona non basta più, bisogna contribuire a rimettere rapidamente in moto una macchina che ha raggiunto il minimo dei giri possibili e che per nessuna ragione deve fermarsi.
Le ricette sono state più volte sbandierate durante la campagna elettorale: meno spesa pubblica improduttiva, sistema di tassazione più equo e meno pesante con una riduzione del costo del lavoro, meno oneri per le imprese, recupero del potere di acquisto delle famiglie. Insieme a una serie di segnali, che però la gente si attende, come il taglio del numero dei parlamentari, la riduzione dei loro compensi, la (vera) cancellazione delle province.
Il dibattito, da qualche giorno, sembra però tornato a essere quello della vecchia politica, che ripeto si è progressivamente allontanata dalla realtà di un Paese che non ce la fa più.
Tutti gli eletti nel nuovo Parlamento, nessuno escluso, devono farsi carico delle responsabilità alle quali sono stati chiamati e tradurre rapidamente in soluzioni i problemi che la gente (non i partiti) vuole siano risolti.

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