Le carte vincenti del food Made in Italy all’estero

Il sentiment straniero verso prodotto italiano migliora ulteriormente. Strategie di successo fra semplicità e protezione

Prima la ristorazione, poi la gdo: così l’alimentare Made in Italy, in particolare per determinate categorie, si è fatto spazio su tavole e scaffali esteri. Tra i suoi valori vincenti c’è da sempre la capacità di intercettare un gusto trasversale in termini organolettici, ma anche quella percezione di benessere che in periodo Covid guadagna ulteriore rilevanza. Questo il quadro tracciato da Farid Tisselli, international sales director di Mutti: “Trovo che un altro elemento che funziona oltreconfine per la nostra cucina sia la presentazione semplice dei piatti, quel poco e bello tipico del nostro Paese. Anche i programmi di cucina e le chefstar hanno spinto il trend e l’ulteriore conoscenza del food Made in Italy”.

Posizionamento più che provenienza

Un contesto che talora dà vita a messaggi pubblicitari un po’ caricaturali e dall’italianità insistita. Lato comunicazione, invece, la prima leva utilizzata da Mutti è quella della qualità delle referenze e del suo sapore premium, prima ancora che della provenienza. L’azienda del pomodoro conta circa un 40% di quota di fatturato export, con il mercato europeo come principale acquirente e la Germania in crescita più rapida.

“Il Made in Italy nel food ha di per sé una marcia in più in quanto a percezione, il punto è offrirla davvero”, sottolinea Francesco Gallo, export manager di Garofalo, che posizionandosi nei diversi territori a livello premium in quanto pasta di Gragnano Igp supera il 50% di ricavi export. “I nostri clienti stranieri sono i cosiddetti foodies: molto preparati, riconoscono e apprezzano la qualità e conoscono bene le principali categorie alimentari italiane”. Se il concetto di Igp all’estero come ovvio non è percepito, a seconda del livello di cultura dei vari mercati risultano invece vincenti l’origine nazionale o l’ulteriore specificità territoriale. “In Europa, ad esempio, Napoli è conosciuta e può essere dunque raccontata”. La scelta, non a caso, è quella di investire in una comunicazione mirata, il più possibile one to one, che anziché utilizzare media come la tv si serve dunque preferibilmente del canale online e dell’attività in store.

Il mercato più complesso?

“Quello australiano, che ha una sua cultura tutta particolare e dove in cucina prevale il fusion. Basti pensare che il brand leader di pasta sul territorio si chiama Sanremo ma è australiano e, come tale, propone un prodotto diverso da quello italiano. Una pasta come la nostra in questo contesto va spiegata e inserita all’interno di modalità di consumo differenti, non tipicamente mediterranee”.

“In questo momento c’è indubbiamente un mood molto positivo nei confronti del prodotto italiano, al di là della nostra categoria che risulta di per sé senz’altro privilegiata. La cucina italiana è storicamente percepita come salutare e in questo momento di maggiore attenzione generale al tema guadagniamo ulteriore autorevolezza”, conferma Umberto Villa, direttore export di Monini. Un driver, quello della salute, che funziona soprattutto in Oriente, mercato al quale l’azienda guarda con investimenti per il futuro. In Europa, invece, il focus è, come per altri, maggiormente spostato su un messaggio di qualità organolettica.

Raccogliere in Giappone

L’accoglienza “colta” di territori come quello nipponico per il Made in Italy è confermata anche da Farchioni, che esporta in oltre 50 Paesi diversi prevalentemente olio, ma anche vino e birra. “In Giappone, ad esempio, bisogna proporre un’esperienza alimentare autentica e di livello. Oggi la stessa cucina italiana all’estero è più autentica di un tempo e ha cambiato il livello culturale di alcuni mercati”, spiega Livio Rotini, export manager Farchioni. L’azienda umbra si propone oltreconfine con un approccio lato offerta e media che cambia in base al contesto nazionale, ma che mantiene intatti un know-how e una tradizione di famiglia giunta all’undicesima generazione di guidance.

Spiegare le differenze

Il Parmigiano Reggiano ha una brand awareness altissima nel mondo sottolinea il Consorzio di riferimento. Che in comunicazione lavora da tempo per esplicitare per quale motivo il consumatore dovrebbe spendere qualche euro in più per acquistare il Parmigiano Reggiano invece di un prodotto similare. “È importante raccontarne la storia, i motivi per i quali il nostro formaggio può essere prodotto solo in zona di origine, i valori nutrizionali che lo rendono unico. Da sempre è garanzia di naturalità, genuinità e viene consigliato dai medici nella dieta dei bambini, dei giovani adulti, degli anziani e degli sportivi per le sue qualità nutrizionali”.

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