L’occupazione tornerà attraverso le Pmi

Ci sono personaggi che grazie ad una continua ricerca personale, unita ad una vasta cultura interdisciplinare, riescono a raggiungere inediti punti di osservazione della realtà che consentono loro di assumere interessanti posizioni fuori dal coro. (da Markup 226)

Giulio Sapelli è un economista che ricade senz'altro in questa categoria, cui appartiene a pieno diritto con i suoi libri, le sue apparizioni in Tv o nei quotidiani cui collabora. E tuttavia non gli manca l'umanità per dirmi che gli piacerebbe continuare l'intervista a un tavolo di ristorante, con una buona bottiglia di vino.

Dal suo punto di vista la comunicazione è un importante fattore. Se l'obiettivo è lo sviluppo della domanda non le pare che si continui a puntare troppo sul valore visibilità?
Penso che questa pubblicità sia in larga misura sovraesposta, con costi molto elevati e con efficacia limitata. Prenda per esempio il Mulino Bianco. Anche se non facessero tutti questi spot, ma puntassero solo alla visibilità del logo, il risultato sarebbe altrettanto efficace e l'azienda risparmierebbe sugli attori. Devo aggiungere però che l'insieme delle persone che lavora nella comunicazione, forma una lobby che attua una fortissima pressione per continuare a lavorare, sebbene in realtà nessuno abbia davvero bisogno dei suoi servigi. E ciò è funzionale anche ai manager dell'industria che altrimenti dovrebbero assumersi in proprio le responsabilità di scelte che vengono attribuite ai consulenti. Il consulente serve così a scaricare responsabilità più che a risolvere problemi.

Quindi che effetto ha in realtà la comunicazione?
Fin dal libro di Vance Packard sui persuasori occulti, ci si chiede se la pubblicità induca veramente dei cambiamenti nell'animo delle persone e nella conseguente agenda delle preferenze, oppure sia uno strumento che semplicemente rafforza delle latenze. Di fatto molti dei segni che la pubblicità enfatizza sono inutili. Basterebbero piccoli richiami e la gente andrebbe avanti a consumare lo stesso perché la merce costituisce un investimento simbolico che non tramonta mai.
In più, nel marketing attuale, domina il tradizionale approccio psico-sociale, mentre si dovrebbe usare quello antropologico, che va più al nocciolo della questione. Si veda P&G che, ormai da anni, manda propri osservatori dentro le famiglie, per scoprire rituali e stili di consumo.

Il tema dello sviluppo della domanda si incrocia con quello dell'eccesso di produzione che sembra essere diventato un leit motiv di questi ultimi mesi...
Il capitalismo è anarchico e la pianificazione strategica viene fatta dalle singole imprese. Non c'è una pianificazione centralizzata. E se si crede nel libero mercato questo effetto collaterale dello spreco è da considerarsi una cosa naturale. Nella decrescita felice non ci crede nessuno, come del resto nel chilometro zero. Occorre rassegnarsi che ci sia lo spreco, eventualmente impiegandolo verso il non profit per aiutare la gente in difficoltà. Del resto spiegatemi, in modo non moralistico, perché io non dovrei avere in casa il 40-50% di cose in più rispetto a quelle che uso davvero. Anzi, meno male che teniamo in casa più roba di quella che consumiamo, se no le crisi capitalistiche sarebbero molto più frequenti. L'etica bisogna metterla nel riuscire a fare soldi pagando le persone in modo giusto e trattandole dignitosamente. E la responsabilità sociale dovrebbe tradursi in prodotti che non avvelenino la gente e consumino meno plastica.

Che cosa pensa dell'Art 62 e dell'accordo che Conad ha stretto con UniCredit per fattorizzare i crediti dell'intera filiera?
Francesco Pugliese ha ragione sui problemi delle piccole imprese distributive nel riuscire a far fronte ai pagamenti entro i 60 giorni. Ha ragione però anche la piccola impresa di produzione che vuole essere pagata entro tempi ragionevoli.
Sull'Art 62 in quanto legge devo precisare che sono in linea di principio contrario alle soluzioni ex lege, mentre vedo con favore accordi diretti fra le parti sociali o tra le imprese, anche perché le imprese si aiutano molto fra di loro. Questo è un tipico caso dove l'impresa, o meglio l'associazione di categoria, dovrebbe parlare con l'altra associazione e negoziare con essa.
La proposta di Conad è pertanto un passo avanti, proprio perché è un accordo a tre, fra aziende. Tuttavia sarei ancora più favorevole se la banca partner prescelta fosse del genere cooperativo, un tipo di istituto più sano e controllato.

Verremo davvero a capo di questa crisi e come?
Il punto è l'occupazione. La grande industria continuerà ad espellere lavoro, perché investirà in tecnologia che è labour saving. Una buona parte della soluzione passerà per il retail, di piccola e grande dimensione, e le Pmi del largo consumo, magari quelle che operano nel settore della cura casa e persona. La grande distribuzione deve lavorare insieme alla piccola distribuzione, cooperando con essa e non cercando di annientarla, semmai distinguendosi per tipo di prodotti e modalità di offerta. Così si evita di distruggere coesione sociale e presenza sul territorio, entrambi fattori che, alla fine, riducono anche le vendite della grande distribuzione, i cui dirigenti, essendo di formazione manageriale, non riescono a capire che i sistemi economici lavorano per compenetrazione e polisettorialità.

Del resto l'Italia non può contare su oro, gas e petrolio...
A parte che non è del tutto vero, perché qualcosa abbiamo anche noi, pochi sanno che siamo seduti su un tesoro molto più prezioso riconosciuto dall'Ue. Alpi e Appennini sono ricchissimi di terre rare. Come, però, spesso succede in Itlia, non sono accessibili per via di una legge ambientale troppo rigida.n

Allegati

226_Interv_Sapelli
007_MARKUP226_02_2014_Intervista_Sapelli.pdf

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