Macro trend 2022: serendipità, pervasione del purpose e Metaverso

“Il fatturato seguirà il talento” in un arco temporale futuro che vede il business alle prese con cambiamenti profondi e dalle potenzialità di profitto ingenti. Trovare l’equilibrio e un approccio sostenibile a cavallo tra online e offline sarà la vera sfida

Con l’anno 2022 scalcinante alle porte, si rincorrono, a più livelli, analisi di possibili macro trend per non arrivare impreparati alle sfide all’orizzonte, specie dopo la lezione data dalla pandemia, che seppur non imprevedibile secondo buona parte degli studiosi, di certo ha colto impreparati i più. In questo contesto, lo spettro temporale di tali previsioni può essere più o meno dilatato e incrociato con decisioni di importanti player già in essere o solo dichiarate, ma che comunque riescono ad indirizzare le forze del mercato, e più in generale della società, in una direzione piuttosto che in un'altra. Tra i vari esercizi di lettura del contesto per delineare il futuro rintracciabili, è interessante citare quelli presenti nell’ultimo capitolo del libro The Shift a cura di PHD Media in collaborazione con la Singularity University, che mette nero su bianco sei macro-forze di lungo termine, per cui entro il 2030 la normalità sarà caratterizzata dai tratti qui di seguito.

1) Separazione fisica (legata ad una nuova organizzazione del lavoro)
Si tratta delle conseguenze del tutto l’attuale dibattito teorico sullo smart working e come effettivamente si concretizzerà. Infatti, secondo gli autori di PHD Media e della Singularity University, le agenzie dovranno fare i conti con nuove dinamiche di lavoro, per cui, lavorare da remoto sarà sempre più diffuso anche grazie alle nuove prospettive messe in campo dalla pandemia.

2) Vita superficiale
Il multitasking causerà livelli d’attenzione sempre più bassi e quindi anche a una comprensione del mondo approssimativa e superficiale: “l’empatia sarà messa a dura prova e attirare l’attenzione di un utente online potrà diventare piuttosto complicato”.

3) Dissoluzione della fiducia
La credibilità delle marche avrà un peso sempre più importante: già solo in UK, l’88% dei consumatori britannici dichiara di comprare prodotti soltanto da brand di cui si fida. Ricordando che alcune marche hanno più influenza di certi governi, le conseguenze che ne possono derivare sono certamente impattanti.

4) Serendipità ingegnerizzata
La raccolta e l’analisi dei dati sarà uno strumento fondamentale per la costruzione di campagne pubblicitarie sempre più mirate e rilevanti, così come la collaborazione con influencer e addirittura nano-influencer. Quest’ultimo punto sarà comune anche  ad un’altra analisi presentato più avanti, ma vale la pena ricordare come il concetto di serendipità (l'occasione di fare felici scoperte per puro caso e, anche, il trovare una cosa non cercata e imprevista mentre se ne stava cercando un'altra) sarà sempre più il risultato di un approccio data-driven.

5) Influenza decentralizzata
Ogni persona è in un certo senso un influencer su una moltitudine di piattaforme che fanno disperdere e cambiare la modalità di comunicazione con le diverse audience. Questo è anche dovuto al fatto che i social hanno reso i singoli, esagerando volutamente il paragone, come dei “media”, delle casse di risonanza, che nei casi più negativi legati alla diffusione di fake news vanno ad alimentare le famose echo-chambers, ma che, invece, in quelli positivi diventano dei “Consumattivisti”, capaci di ingaggiare “follower” convinti.

6) Pervasione del purpose
Il purpose sarà il motore di tutto, ma diventerà sempre più difficile farsi ascoltare in un mondo di pubblicità che vogliono “salvare il mondo”. Ecco, quindi, che sempre più fenomeni perversi come ad esempio il green washing non avranno vita lunga e daranno adito alla concretizzazione del famoso detto “chi è causa del suo male pianga sé stesso”.

Se questi 6 macro trend sono stati pensati per essere emergere in un contesto quasi decennale (fino al 2030), l’idea di agilità e flessibilità che viene predicata già da tempo potrebbe ridefinire i connotati dei sei punti sopraccitati, salvo che per un aspetto: il capitale umano. Permane la necessità di un genuino investimento sulle persone e su modelli lavorativi sostenibili anche per preservare il know-how delle persone in una determinata posizione lavorativa. “Il fatturato seguirà il talento”: questa è una delle riflessioni conclusive del libro, e questo dovrebbe aprire gli occhi a molti in realtà dove si cerca di sfruttare lo sfruttabile o si è troppo miopi da pensare nel lungo termine.

Muovendosi su una prospettiva temporale più ristretta, e per questo di più immediato riscontro, si collocano i tre social trend identificati da Meta, l’ex gruppo Facebook dopo il suo rebranding, che nella persona di Nicola Mendelsohn, Vice Presidentessa Global Business Group di Meta, ne ha delineato i contorni.

Ribadendo la più vistosa richiesta che emerge incessante dalle fratture della pandemia, ovvero le relazioni e l’interazione umana tra le parti (consumatore – produttore, nell’accezione più ampia possibile dei loro ruoli), nei 365 giorni che comporranno l’anno 2022, saranno 3 le assi su cui business e cambiamento dovranno intersecarsi nella maniera più profittevole e produttiva:

  • Collaborazione tra i creatori di contenuti (Creator collaboration)

Meta stima che ci siano 50 milioni di creator in tutto il mondo, veri e propri artefici di una creator economy, che ora vale più di 100 miliardi di dollari. Meta, infatti, dichiara che dal 2019 al 2020, il numero di creatori di contenuti che guadagnano più di 10.000 dollari al mese è cresciuto ben del 88%. Bisogna sempre più riconoscere il ruolo strategico dei creator (mega o nano che siano): sono importanti per le aziende perché parlano al loro pubblico nella lingua nativa delle piattaforme social e capiscono quali contenuti funzioneranno meglio, sia che stiano cucinando una nuova ricetta o presentando un capo di moda. Oltre a costruire le proprie comunità, possono creare relazioni preziose con i marchi collaborando con loro sulle campagne. Alcuni stanno diventando dei marchi a pieno titolo e guidano livelli di engagement che li rendono anche potenti canali di vendita al dettaglio.

  • Un funnel di vendita completo che porta ad “Comprehensive commerce”

L’online non è semplicemente un luogo virtuale d’acquisto, ma è sempre più uno spazio in cui i consumatori vogliono essere ispirati e scoprire nuove cose da comprare in ottica di personalizzazione e convenienza. Ricreare un customer journey omogeneo, integrato, frictionless e senza soluzione di continuità, dalla conoscenza di un prodotto al suo arrivo a casa tramite eCommerce, completando il funnel, è quindi la sfida da vincere. Un'esperienza completa, end-to-end.  A tal proposito Meta mette in luce l’esempio di Shops: quando COVID-19 ha chiuso i negozi tradizionali, il lancio di Shops, la vetrina digitale delle aziende attraverso le app Meta ha reso più facile per le aziende creare un negozio virtuale e vendere online, aiutando le persone a scoprire nuovi marchi e prodotti che ameranno nei luoghi in cui stanno già trascorrendo del tempo. A tutto ciò si aggiunge il ricorso a tecnologie immersive come la realtà virtuale e la realtà aumentata, che sono destinate a diventare la base delle esperienze di shopping di domani.

  • Preparazione per il Metaverso

Mark Zuckerberg, in un’intervista a Casey Newton, ha definito il Metaverso come “un internet incarnato”( “embodied internet”), molto di più di un mondo virtuale parallelo che, secondo l’idea di Zuckerberg, succederà ai social network. Il concetto di “metaverso” deriva dal romanzo di Metaverso (in inglese Metaverse) ed è un termine coniato da Neal Stephenson in Snow Crash (1992), libro di fantascienza cyberpunk, descritto come una sorta di realtà virtuale condivisa tramite internet, dove si è rappresentati in tre dimensioni attraverso il proprio avatar. Dal management di Meta, il Metaverso s’appresta ad offrire le opportunità commerciali più significative dalla creazione di internet, dato che non sarà solo un posto dove potrai uscire con gli amici e nel quale relegare la sfera dello svago, ma anche un posto dove lavorare, creare, fare acquisti e altro. Meta, infatti, mette in luce come un marchio potrebbe progettare merchandising digitale in edizione limitata per promuovere una nuova linea fisica, permettendo ai fan di mostrare il loro sostegno ed interesse per il marchio nel Metaverso. Inoltre, imprese orientate ai servizi come gli imbianchini o gli idraulici potrebbero condurre consultazioni a domicilio nel Metaverso usando le videochiamate di WhatsApp per il supporto ai clienti. In tal senso funzionerebbero anche le collaborazione con i creators, anfitrioni di eventi live dal Metaverso per lavorare e valorizzare l’engagement con il brand.

Questi trend aprono a scenari dalle molteplici opportunità e conseguenze, con impatti dalla socialità, all’economia, al lavoro, e la lista sarebbe lunga. Certo, la portata rivoluzionaria di un progetto come può essere il Metaverso induce a interrogativi sul binomio fisico-digitale, e sul concetto di equilibrio tra questi rispetto alla persona e alle sue esigenze. Un esempio di accurata riflessione tra i tanti possibili aspetti meritori di attenzione è quello legato al lavoro e alle famigerate videoconferenze che sono state la caratteristica principale dello smart working imposto dalla pandemia, e che ora vedono si tracciare una corsia preferenziale di spostamento nel Metaverso. A tal proposito nell’ultima pubblicazione “L'alba dei nuovi dei” di Andrea Colamedici e Maura Gancitano (Mondadori, ottobre 2021) di Tlon, si legge: “Nelle videoconferenze non ci sentiamo in un luogo, non ci percepiamo come un gruppo e non riconosciamo la leadership. […] Il luogo costituisce una base essenziale per lo svolgersi delle esperienze nella memoria e nell’immaginazione: siamo lavoratori perché andiamo tutti i giorni nel nostro ufficio in un determinato edificio, siamo studenti perché andiamo nella stessa aula della scuola. In sostanza, per il nostro cervello Zoom, Meet e le altre piattaforme di videoconferenza non sono luoghi, quindi non attivano il legame delle esperienze che abbiamo attraversi di loro con la nostra memoria autobiografica. Ecco perché tutti gli incontri online sembrano uguali e alla fine della giornata ci sentiamo vuoti e stanchi (la cosiddetta Zoom fatigue). L’esperienza di assenza di luogo indebolisce il senso di identità professionale, che non si sviluppa solo nelle esperienze tra le persone, ma anche con il luogo che rappresenta il contesto in cui manifestiamo al nostra attività. Infine, le interazioni sociali naturali producono una sincronia da cervello a cervello nelle oscillazioni neurali, che è collegata alla sincronia comportamentale. […] Le scienze neuronali ci dicono che le oscillazioni neuronali sono anche influenzate dalle dinamiche sociali, e che questa magia non avviene con le videoconferenze. Questi risultati suggeriscono che il semplice spostamento dell’ufficio e dei processi di apprendimento all’interno di una piattaforma di videoconferenza non è una soluzione efficace e, a lungo termine, può erodere la cultura aziendale e la comunità scolastica. Non ci dice, però, che questo sia l’unico modo per usare gli spazi digitali, ma che un uso efficace della tecnologia richiede di reimmaginare il modo in cui il lavoro e l’insegnamento vengono svolti”. Lungi da voler, con questo esempio, demonizzare uno strumento che è stato essenziale in termini di continuità a tutto tondo, vi è da interrogarsi come si vogliono concretizzare e direzionare i trend in procinto di manifestarsi, puntando su un mindset digitale che sostenga un cambiamento armonico.

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