Mutti (Centromarca): “Lavoriamo per una filiera più equa”

Francesco Tutti al centro -conferenza Centromarca
“Vogliamo discutere con il governo a uno stesso tavolo che coinvolga le aziende della moderna distribuzione per ragionare su vie di sbocco percorribili”.

Francesco Mutti, presidente di Centromarca, cui fanno riferimento circa 200 industrie operanti nel largo consumo, in un incontro organizzato dall’associazione che si è svolto a Milano, ha sciorinato una serie di dati che evidenziano un quadro di sofferenza della produzione, con una situazione della filiera sbilanciata verso la gdo.

Correggere gli squilibri

Serve una filiera che generi “valore sensatamente distribuito” dice Mutti. Nell’analisi del presidente di Centromarca, il Covid ha portato squilibri in diverse filiere provocando shock, difficoltà di approvvigionamento di materia prime e interruzioni nella catena. E ha innescato il ciclo inflattivo, esploso con la guerra. A soffrire è soprattutto l’industria, di qui la necessità di un riequilibrio della filiera.“L’industria dei beni di largo consumo -ha raccontato- conta 59 mila aziende con un fatturato espresso di 180 miliardi di euro. La dimensione media è intorno ai 3 milioni di euro: parliamo di microaziende a fronte di una distribuzione che viaggia intorno ai miliardi di euro. Queste aziende hanno difficoltà a far passare un listino (quando viene accettato): non viene corrisposto a tempo zero, ma spesso passano semestri. Significa contrazione dei margini terribili. Solo il costo delle materie prime nel food and beverage valgono oltre il 63% del fatturato”.

Evitare la conflittualità

A sostegno delle sue riflessioni Francesco Mutti ha citato alcune stime redatte dalla società di consulenza Prometeia: a potenziale rischio sarebbe il 18% del fatturato dell’industria del largo consumo. “Solo il 50% delle aziende potrebbe avere ancora un conto economico positivo se riversasse verso valle il 50% degli aumenti. E anche scaricando a valle la quasi totalità degli incrementi il 30% delle aziende si troverebbe con marginalità negative”. Di qui l’invito a un tavolo unitario, produzione e distribuzione.
“Dovremo presentarci come filiera, per arrivare a proposte che non ci portino a situazioni di conflittualità come Oltralpe. Dobbiamo costruire un modello che generi valore sensatamente distribuito. Si devono trovare elementi di massimo comun denominatore, lasciando poi le normali posizioni divergenti a un tavolo diverso, non di filiera. Il confronto normalmente è molto maschio con la gdo, oggi dobbiamo stare attenti che non diventi cruento”.

No alla moratoria sui listini

In merito all’ipotesi di moratoria sugli aumenti dei listini, formulata da associazioni e aziende della moderna distribuzione, per la quale le associazioni e le industrie produttrici sono state invitate a un confronto collettivo, Centromarca ritiene che non possa in alcun modo essere valutata nel merito. “Determinerebbe turbative in un mercato che nel tempo ha migliorato la sua efficienza e distorsioni nella concorrenza non compatibili con la normativa antitrust. Le aziende devono intervenire sui listini in totale autonomia, nel rispetto della normativa antitrust, sulla base di strategie commerciali molto differenziate tra di loro”.

Mdd e concorrenza

“La domanda che dovremmo porci è: non ci sono in questo momento delle operazioni in dumping sulla marca commerciale? Sarebbe una forte distorsione della concorrenza: Il retailer che fattura decine di miliardi può allocare una manciata di milioni su alcuni prodotti per venderli sottocosto creando di fatto dei prodotti  civetta, ma questo è efficienza di sistema  o distruzione di valore? Non vorrei che ci fosse una politica volta ad attrarre i consumatori con pochi prodotti civetta, permettendoci di dire qualcosa di diverso. A lungo termine  potrebbe essere una politica di impoverimento”.

Sbagliato rigettare la novità

La qualità del made in Italy rimane il grande valore e l’innovazione è il dna del prodotto della marca industriale che continua a essere premiato (ogni 100 euro spesi dalle famiglie per l’acquisto di beni primari nel largo consumo, circa 80 euro sono destinati all’acquisto di marchi industriali. Anche se la mdd non perde terreno). Ma qualcosa occorre fare anche sul tema dell’aggregazione che darebbe più peso anche all’export. “L’Italia soffre di nanismo: oltre il 50% dell’export del food and beverage è fatto dallo 0,2% delle imprese. Ed è un elemento da portare al Tavolo con il governo”.
Una riflessione anche sulla foodtech innovation che sta stravolgendo anche la formulazione dei prodotti, dal plant-based fino agli insetti. “L’innovazione è strada maestra anche per generare export. È in corso una rapida evoluzione, disruptive, nel food. Ma non è arroccandosi che si gioca la partita migliore. La cosa peggiore sarebbe quella di non affrontare la sfida: liberissimi di non accettarla, ma sarebbe un grave errore rigettare in toto la novità. Rischiamo di rimanere indietro”.

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