#Takeaction – Non solo food un ecosistema in arrivo per il futuro di Conad

Intervistiamo Francesco Avanzini, direttore generale operativo di Conad, la cooperativa di imprenditori che si prepara ad affrontare molteplici sfide con un bagaglio di nuovi progetti e qualche sogno ...

I contriamo Francesco Avanzini, direttore generale operativo di Conad: di lui non racconto nulla, se non che da anni è in Conad e ha ricoperto prima il ruolo di direttore commerciale, poi Dg nella gestione Pugliese e oggi è a capo del Conad Nazionale; di lui posso dire che è un uomo di squadra, l’uomo giusto nel momento giusto. Tante le polemiche e le chiacchere che attraversano internamente ed esternamente la cooperativa e quindi iniziamo proprio da lì...

Togliamoci subito il dente... qual è il tuo punto di vista sulla vicenda Pugliese, Mincione, Auchan? E qual è la posizione di Conad...
Non sta a me commentare la vicenda, ma, come hai scritto anche tu, ci sono state molte e approfondite indagini e, al momento, non sono emersi fatti sanzionabili. Ho lavorato con Francesco Pugliese per oltre 20 anni, prima in Barilla e poi in Conad, e con la sua capacità di vedere le cose in divenire, di cogliere opportunità che altri non vedono, abbiamo ottenuto insieme eccellenti risultati. Il ridisegno della rete ex-Auchan, con l’inserimento della nostra mdd e delle nostre politiche di marketing, ha portato valore al Sistema Conad, grazie al grande lavoro che tutti noi abbiamo svolto per riportare i punti di vendita acquisiti in territorio positivo, in grado di contribuire alla crescita delle cooperative e dei soci che li gestiscono.

Quali sono i passi che oggi state affrontando?
Aldilà delle faccende legate a quanto sopra, Conad non si è mai fermato. Oggi stiamo facendo una rilettura dei consumi, partendo dalle persone prima ancora che dai clienti, perché è lì che si è verificato il vero cambiamento, sul quale noi sulla distribuzione, ma anche il mondo che gravita nella nostra filiera, non ha avuto né il tempo né la modalità di reindirizzare strategicamente la propria attività. Malgrado inflazione, incertezze e instabilità, è il brand che deve cambiare linguaggio, modo di porsi, a prescindere dai problemi del momento. L’errore è continuare a leggere i dati day-by-day da un lato e dall’altro, utilizziamo gli stessi strumenti di lettura dei consumi che utilizzavamo dieci anni fa, ma il mondo è cambiato: la digitalizzazione ha impresso una velocità nel cambiamento impossibile fino a decenni fa; possiamo dire che tutti noi, parlo di distribuzione e industria, ne siamo stati travolti. Oggi è necessario costruire nuove competenze, investire in formazione, e guardare ai trend dei prossimi dieci anni. Pensiamo solo all’invecchiamento della popolazione, che andrà a disegnare una nuova demografia, nuovi stili di vita che comporteranno la necessità di adeguare competenze, format distributivi, management, nel nostro caso anche di imprese e di imprenditori. Tra 10 anni forse parleremo più di salute che di consumi, parleremo più di stili di vita che di pricing di prodotto. Pensare a questo in un momento in cui l’inflazione sta flagellando fatturati potrebbe sembrare fuori luogo, ma abbiamo settori di consumo che sono, non dico anelastici, ma interessati anche ad altri aspetti parallelamente a quello del costo del prodotto. Il tempo ad esempio: quanti giovani ci stanno dicendo che la prima variabile che interessa loro è proprio il tempo. Sta cambiando profondamente una parte della base sociale, la composizione della scala dei valori e bisogna capirne la traiettoria per essere pronti ad intercettarla con i format e i prodotti giusti. Valorizzando due aspetti: multicanalità e digitalizzazione. Abbiamo costruito la multicanalità negli anni, infatti, Conad l’aveva già nel DNA con format declinati per bisogni e territorio, coerente con la struttura imprenditoriale, oggi, integrata digitalmente e declinata sulla dimensione come nel passato. Parliamo di una prossimità alimentare che può evolvere anche in una prossimità per la salute, per il tempo libero nel medio lungo periodo. Guardando a un consumatore trentenne, l’ingaggio potrebbe avvenire in segmenti di offerta altri. Conad è un attore sociale che ha 3.000 negozi in giro per l’Italia e ha la necessità di riposizionare e meglio ripensare alcune di queste strutture fisiche sul territorio, inserendo proprio quella variabile cui accennavo prima, del mutamento sociale degli stili di vita e dei consumi e creare, nel contempo, una base di imprenditori associati che sia in grado di rispondere a questi bisogni. Stiamo lavorando alla costruzione di un ecosistema che integrerà merci e servizi, viaggi, assicurazioni, tempo libero, salute, ...

Quando parli di una nuova classe di imprenditori a cosa ti riferisci?
Questo è il punto nodale: la formazione delle competenze e non è qualcosa che si possa creare in un arco di pochi mesi, ma dobbiamo pensare a creare una nuova classe di imprenditori e un management pronto ad accogliere queste nuove sfide. Non parlo solo della digitalizzazione, degli strumenti legati alle tecnologie, ma a una nuova forma mentis, per la quale sarà necessario un percorso formativo più lungo così da continuare ad avere un legame forte con i nostri clienti.
Penso anche a una nuova schiera di imprenditori che non necessariamente sono nel food: ad esempio un farmacista che ha due, tre farmacie può diventare un nuovo tipo di imprenditore Conad, portando all’interno nuove competenze. Un settore che non ci è nuovo. Infatti, oggi abbiamo circa duecento parafarmacie, quasi tutte posizionate all’interno di centri commerciali o negli ipermercati. Domani avere un farmacista associato, o un operatore per la salute o il tempo libero, sarà la normalità, perché non venderemo prodotti qualsiasi a clienti qualsiasi, ma offriremo la possibilità di trovare risposte al proprio stile di vita. Un sistema in cui l’associazionismo d’impresa del gruppo Conad può dire la sua. In fondo, siamo nati così e nel tempo non è stata solo “aggregazione” ma un sistema che il cliente ha imparato a riconoscere come unico e in cui si riconosce. E l’obiettivo è che continui a riconoscersi.

Perché un operatore di servizi dovrebbe esser interessato ad entrare in Conad?
Oggi, in Italia siamo l’insegna più penetrata nel territorio e con il parco clienti più ampio. Basta?

Come pensate di organizzare il nuovo Conad?
Penso che si svilupperà, oltre all’organizzazione territoriale, anche una verticale, suddivisa per competenze. Competenze che mi immagino troveremo sul mercato, attraverso partnership che ci aiutino ad accelerare il percorso di integrazione che vogliamo intraprendere, perché oggi non ho la capacità subito di diventare un operatore sui servizi; per questo servono e serviranno degli specialisti che vogliano associarsi, difendendosi così dalla polverizzazione di un’offerta che lascia i consumatori nell’incertezza, senza sapere a quale società affidarsi.
Dieci anni fa parlare di servizi, in questo senso, avrebbe fatto ridere, ma pensiamo a quanto tempo e denaro stiamo dedicando a temi come la salute e l’integrazione alimentare. Il cambio demografico cui accennavo prima richiederà forti ripensamenti, boomers e GenX entrano nell’età della pensione con esigenze completamente diverse dal passato: sono digitalizzati, affluenti e con molto tempo libero. Il food non sarà a loro unica occupazione. Lo stesso vale per le generazioni più giovani, Millennial e GenY ... convenienza, prezzo ma siamo sicuri che bastino e basteranno?
Conad può diventare un attore commerciale sociale di territorio evolvendo anche in nuovi campi diversi da quelli di dieci, vent’anni fa. Non solo perché è cambiata e cambierà la

Oggi l’obiettivo è avere le cooperative allineate sui prossimi passi da fare e dopodiché muoverci velocemente nel farli. Il tempo è un fattore essenziale

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