Opportunità o rischi dall’intelligenza artificiale nel mondo food?

intelligenza artificiale
Una tavola rotonda organizzata da Lca Studio Legale in collaborazione con Alibaba ha fatto il punto sulla normativa e l’impatto sull’agroalimentare

La diffusione dell'intelligenza artificiale (pur nata negli Anni 50) è destinata progressivamente a permeare ogni ambito, dall’agricoltura all’industria che diventano 5.0, ai servizi. Investe in ricerca e sviluppo, produzione, risorse umane, logistica, marketing, amministrazione, vendita e post vendita. Basti dire che entro il 2028 il 50% delle decisioni manageriali sarà preso in collaborazione con l’intelligenza artificiale, scrivono in Smart Leadership Canvas: come guidare la rivoluzione dell’intelligenza artificiale con il cuore e il cervello Filippo Poletti, giornalista professionista e top voice di LinkedIn, e Alberto Ferraris, professore ordinario di Economia e Gestione delle Imprese presso il dipartimento di Management dell’Università degli Studi di Torino.

Ai Act europeo e cosa significa per le imprese

Sulle sue implicazioni nel settore agroalimentare se ne è parlato a Milano in un Tavola rotonda (AI & Food), organizzata da Lca Studio Legale in collaborazione con Alibaba. L’iter normativo partito dall’Ue con l’Ai Act ha avuto un percorso complesso. Dopo la presentazione nel 2021 della proposta di regolamento, c’è stato il via libera del Parlamento europeo a giugno 2023, ma il testo è stato poi modificato a dicembre dal Trilogo, anche per il dirompente ingresso nel mercato di ChatGpt. L’ok definitivo è arrivato a marzo 2024 in plenaria, la sua applicazione sarà però è scansionata nel tempo, come ha spiegato Edoardo Raffiotta, avvocato di Lca e professore di Diritto costituzionale all’Università di Milano Bicocca, nonché componente del Comitato di coordinamento per l’aggiornamento della strategia nazionale sull’utilizzo dell’Ai.

Il governo ha intanto annunciato un miliardo di investimenti sull'intelligenza artificiale. “Una parte, relativa ai divieti, avrà applicazione dopo sei mesi; quella sui fini generali dopo 12 mesi e quella più importante sugli alti rischi dei sistemi di Ai entro 24 mesi. Si vuole lasciare tempo e spazio alle imprese per la compliance, un onere che non riguarda solo le aziende che sviluppano tecnologie ma tutte quelle che utilizzano i sistemi di Ai, per esempio le banche che le utilizzano nella valutazione del credito o aziende di ogni settore che li usano per la gestione delle risorse umane ma non solo”.

L’ultima definizione di Ai partorita dall’Ue è complessa e inficiata dal burocratese (Un sistema basato su una macchina, progettato per funzionare con diversi livelli di autonomia e che può mostrare adattività dopo l’implementazione e che, per obiettivi espliciti o impliciti, deduce, dall’input che riceve, come generare output quali previsioni, contenuti, raccomandazioni o decisioni che possono influenzare ambienti fisici o virtuali). “L’Ai Act regola una parte dell’Ai finalizzata a uno scopo, quello di prevenire danni ai diritti dei singoli e dei consumatori, è una disciplina dell’uso della tecnologia in determinate attività. Una regolazione del fenomeno digitale l’abbiamo già avuta con il Gdpr (General Data Protection Regulation), poi il Digital services act, il Digital markets act, la direttiva Copyright e tante altre discipline. Come Lca stiamo scrivendo delle policy per aiutare le aziende a capire come utilizzare nel mondo corretto l’Ai, evitando esposizioni a responsabilità. E a fare una mappatura della tecnologia che hanno ‘in casa’: bisogna capire per quali funzioni viene usata, se potrebbe rientrare tra quelle vietate o ad alto rischio”.

L’Ue, infatti, ha creato una sorta di piramide, dove in cima ci sono i rischi inaccettabili, come i sistemi di categorizzazione biometrica basati su caratteristiche sensibili, quindi a scendere i punti ad alto rischio come la lesione dei diritti e della dignità umani, fino al rischio limitato che riguarda la creazione dei contenuti e di immagini, per cui occorre attenzione a diritti di autore, governo dei dati e obblighi relativi alla trasparenza. “Un esempio di alto rischio è quello della selezione del personale e bisognerà essere attenti che i dati immessi nella macchina siano corretti, raccolti lecitamente nel rispetto del Gdpr e puliti da discriminazioni e bias”. Tutte le macchine e i sistemi dovranno avere un controllo e monitoraggio umano, trasparenti e intellegibili. “Non può essere un incarico gestito dal Dpo (data protection officer), ma occorre creare un Ai officer se si usa molta tecnologia. Il governo sta poi lavorando nella definizione di un’autorità nazionale sull’Ai, probabilmente sarà Agid, l’agenzia per l’Italia digitale”.

Dal suo sviluppo 312 miliardi di euro di valore aggiunto, a saperlo agganciare

L’intelligenza artificiale può essere un volano per la crescita ma le imprese italiane sono ancora in ritardo nel suo utilizzo. È quanto emerge dal rapporto 2023 dell’Osservatorio sulla Trasformazione Digitale dell'Italia, lanciato da The European House -Ambrosetti in collaborazione con Fondazione Ibm Italia. La stima è che lo sviluppo di questa tecnologia darebbe 312 miliardi di euro di valore aggiunto annuo, un forte sostegno al Pil (circa il 18%). Eppure, secondo lo studio, oltre 1 azienda italiana su 5 (21,8%) non sta utilizzando tecnologie di Ai e non prevede di farlo. Nella maggior parte dei casi (67%) il motivo risiede nella mancanza di un chiaro utilizzo di business (33%), di competenze (28%) o assenza di necessità di investire in queste tecnologie (22%). Secondo una ricerca dell'Osservatorio Smart Agrifood della School of Management del Politecnico di Milano e del Laboratorio Rise dell’Università degli Studi di Brescia solo il 3% delle aziende dell’industria di trasformazione dell’agroalimentare utilizza tool di Ai.

“I dati dell’industria italiana sono preoccupanti, è ancora arretrata sulla digitalizzazone. Una cosa sono i grandi gruppi che possono fare ricerca e sviluppo, ma sono le pmi ad aver bisogno di un processo radicale di digitalizzazione per poi conoscere la tecnologia dell’Ai”. A dire il vero l’agroalimentare si è mosso da tempo in questa direzione, soprattutto il settore primario per contrastare, con la cultura del dato, il climate change e l’aumento di patogeni. “I primi esempi si sono avuti nel settore primario sulla smart agriculture, efficientamento delle risorse energetiche, idriche e produttive -ha confermato Nicola Lucifero, avvocato di Lca e professore di Diritto agroalimentare all’Università di Firenze-. L’Ai comprende tutti i settori, dal farming alla food safety. E i vari anelli della filiera, inclusa la fase di trasformazione, fino alla distribuzione”.

Alibaba lancia lo smart assistance

Molte sono le opportunità ma occorre fare attenzione anche ai rischi. “Certi strumenti di Ai potrebbero, per esempio, eludere certi accordi sulla non concorrenza arrivando alla stessa attività del competitor. E occorre sempre aver chiaro chi debba essere il soggetto responsabile” ha ricordato l’avvocato di Lca Martina Terenzi. Un esempio dell’utilizzo dell’Ai arriva da Alibaba, marketplace B2B, destinato principalmente alle pmi e all’export. Quasi metà delle aziende italiane venditrici sulla piattaforma sono dell’agroalimentare. “Recentemente abbiamo lanciato soluzioni Ai soprattutto nella parte commerciale e di marketing -ha fatto sapere Andrea Ballardini, head of Partners Development Italy di Alibaba-. Due mesi fa abbiamo proposto all’interno della piattaforma lo Smart assistant, che fa diverse cose: creazione di contenuti, per esempio, come la gestione del catalogo commerciale, inclusa la parte normativa e le relative certificazioni. La piattaforma può aiutare poi la pmi a intraprendere azioni sui trend, gestire la comunicazione. Abbiamo tool che sviluppano contenuti e semplificano la communication per l'export. E lo Smart assistant aiuta a superare queste sfide”.

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