Recovery fund Ue per rinnovare l’agroalimentare

I presidenti della Commissione europea (Ursula von der Leyen) e del Parlamento europeo (David Sassoli) nell'emiciclo dell'Aula del Parlamento europeo a Bruxelles. © Commissione europea
La svolta responsabile necessita di forti stanziamenti,
che stavolta ci sono e permetterebbero al sistema 
agricolo-industriale-commerciale di voltare pagina (da Mark Up 300)

“Fare leva sull’innovazione e sulle tecnologie emergenti è uno dei mezzi per cercare di accelerare la transizione degli attuali sistemi alimentari verso una maggiore equità, resilienza, salubrità e sostenibilità” spiega Marta Antonelli, direttore

della ricerca di Fondazione Barilla. In questo contesto, è imperativo che le soluzioni identificate siano filtrate attraverso la lente delle convenzioni sociali e culturali. “Servono una regolamentazione e una politica pubblica finalizzate a garantire che il valore generato con l’uso della tecnologia digitale lungo la filiera agroalimentare sia distribuito in modo equo.

Marta Antonelli, direttore della ricerca di Fondazione Barilla

Inoltre, per trasformare il sistema alimentare e portarlo allo sviluppo sostenibile sono necessarie politiche pubbliche, governance distribuita e decentralizzata, nonché soluzioni innovative che abbiano al centro la gestione dei dati, guidata dalla comunità”. Una solida infrastruttura di connettività e lo sviluppo di capacità sono fondamentali per costruire il futuro interconnesso del sistema alimentare, per aumentare la produzione positiva per la natura e per passare a modelli di consumo sostenibili.

Disponibilità europea

In quest’ottica, il Recovery plan può davvero rappresentare quella svolta da tempo auspicata e in grado di segnare la strada del rilancio dell’economia agricola. Oltre a una consistente dose di risorse finanziarie, con 5,7 miliardi di euro destinati agli interventi squisitamente agricoli, l’agroalimentare rientra a pieno titolo in moltissime misure trasversali. Nel Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) è stata recepita quella strategia che da anni Coldiretti porta avanti e che vede l’agricoltura e l’agroalimentare connessi con tutti gli altri settori produttivi e con le azioni di sviluppo del sistema Paese.
Il Piano prevede, infatti, progetti come quelli legati alla valorizzazione delle filiere, alla digitalizzazione e alle infrastrutture idriche con la realizzazione di bacini di accumulo che erano stati da tempo individuati e presentati da Coldiretti al Governo non solo come idee, ma come iniziative immediatamente cantierabili.

Ettore Prandini, presidente di Coldirett

Se si considerano finanziamenti e riforme in un’ottica di integrazione, il budget agricolo schizza molto più in alto dei 5,7 miliardi di euro legati alle azioni peculiari di settore. Nella Mission 2 rientrano infatti anche i 23,78 miliardi dell’energia rinnovabile, i 15,22 dell’efficienza energetica e riqualificazione degli edifici e i 15.06 miliardi della tutela del territorio e della risorsa idrica. Tutte questioni strettamente connesse con l’agricoltura e con la salvaguardia di territori sfregiati, a causa di anni di abbandono e di cementificazione selvaggia, come da tempo denuncia Coldiretti. L’agricoltura può contare sugli effetti benefici dell’alta velocità, della digitalizzazione e dell’investimento nelle strutture portuali su cui il presidente Ettore Prandini si sta battendo molto per garantire alle eccellenze del Made in Italy il più facile accesso alle grandi rotte commerciali.

L’agroalimentare sostenibile ...

Il piano in chiave agricola, dunque, va visto nella sua circolarità e nella stretta connessione di un tassello con l’altro. Al centro, come si legge nel documento, una filiera agroalimentare sostenibile, con aziende agricole più competitive in grado di garantire migliori prestazioni climatico-ambientali e aperte all’innovazione.
Ecco alcuni progetti nel dettaglio.
L’acqua in primis: per le risorse idriche sono stanziati 4,8 miliardi €. Coldiretti ritiene fondamentale conservare l’acqua piovana con strutture ad hoc perché oggi se ne riesce a tesorizzare solo il 10%. La risorsa idrica è fondamentale, infatti, per conseguire l’obiettivo dell’aumento delle rese produttive, in un’ottica di autosufficienza alimentare, ma anche per garantire livelli elevati di standard qualitativi. Ci sono poi i progetti di filiera che contano su 4 miliardi di euro perché sono stati inseriti nel Fondo complementare con una maggiorazione di risorse. Coldiretti, anche in questo campo, ha in cantiere numerosi possibili contratti, alcuni dei quali interessano particolarmente le regioni meridionali in materia di olio, ortofrutta e stoccaggio dei cereali, ma anche la zootecnia sostenibile.
Dedicati alla sostenibilità degli edifici, e in particolare alle stalle, 1.500 milioni per il Parco Agrisolare. In primo piano anche gli investimenti per l’innovazione e la meccanizzazione. E ancora, le energie rinnovabili con uno stanziamento di 3 miliardi di euro per lo sviluppo del biometano. Ma è ricco il ventaglio delle voci orizzontali che potranno avere ricadute importanti sul settore, dall’ampliamento del credito fiscale alla formazione, fino alla digitalizzazione. Anche la banda larga è fondamentale per le aree rurali come pure la ricerca, motore importante per l’agricoltura e i prodotti alimentari.
Riscostruire il Paese è la parola d’ordine. L’emergenza ha dato la spallata finale, ma con questo Piano si prova a mettere mano ad arretratezze strutturali storiche. Ecco perché molto dipenderà, dal tenore delle riforme e non solo perché lo chiede l’Unione europea. Semplificazione, innanzitutto, un’altra delle spine nel fianco dell’agricoltura. Gli imprenditori si trovano alle prese con montagne di documenti prodotti dalla burocrazia italiana, ma anche da quella europea. Riferendosi in particolare all’occupazione nei campi, il presidente di Coldiretti, Ettore Prandini, ha lanciato l’ennesimo appello. “Serve una radicale semplificazione che possa ridurre la burocrazia, garantire flessibilità e tempestività del lavoro stagionale in un momento in cui tanti lavoratori di altri settori sono in difficoltà”.

... E quello responsabile

L’impegno delle aziende alimentari può intanto promuovere uno spostamento verso consumi più sostenibili attraverso scelte di marketing e comunicazione mirate. Le aziende influenzano i consumi tramite quattro meccanismi di base: i prezzi (e il modo in cui sono determinati) influenzano gli acquisti e i consumi. Come pure le formule di vendita: per esempio lo all-you-can-eat induce a mangiare di più. C’è stato un rapido calo del prezzo del cibo negli ultimi 50 anni, con l’introduzione di cibi ricchi di zuccheri e grassi (che ha portato conseguentemente a un aumento degli introiti calorici).
Il marketing inteso come pubblicità, promozione, etichette, claim nutrizionali o di salute, può a volte essere influente quanto i prezzi. Le persone però non sempre riconoscono le forme di marketing più recenti come quelle nel design delle confezioni, le attività sui social media, o l’“advergaming” (advertising-game), i videogiochi fatti per veicolare messaggi pubblicitari. Anche quando si rendono conto dei tentativi di persuasione che sono dietro a questi strumenti, non sempre hanno contezza di quanto ne siano influenzate.
Inoltre, quando una proprietà di un alimento è qualificata come salubre, chi lo mangia tende a classificare come salubre l’alimento stesso e sottostimare il suo introito calorico. Il prodotto stesso, con le sue qualità (composizione, caratteristiche organolettiche, densità calorica e varietà) e quantità (le porzioni in cui è confezionato e servito), influenza in molti modi quanto ne viene mangiato. Infine l’ambiente in cui si mangia, come il ristorante o la mensa, influenza i consumi in base alla disponibilità degli alimenti, alla loro evidenza e alla comodità nel procurarseli.

Ruolo del pubblico

Mettere a sistema agricoltori, trasformatori, commercianti, fornitori di servizi di ristorazione, i ristoratori e le mense è un’impresa molto difficile, ma ci sono realtà che si stanno distinguendo positivamente per aver adottato politiche virtuose sul cibo. Vienna ha lanciato il programma Öko Kauf Wien, che introduce alti standard ambientali e di salute per gli alimenti distribuiti nelle strutture pubbliche come scuole e ospedali. Fra i criteri ci sono l’uso di prodotti locali, freschi, di stagione e da coltivazioni biologiche, il rispetto del benessere degli animali e di standard sociali lungo tutta la filiera, un uso limitato di prodotti animali e la riduzione dei rifiuti. Tra il 2008 e il 2012 il programma ha fatto risparmiare emissioni annue per circa 15.000 tonnellate equivalenti di CO2.

Fondi disponibili sul tavolo

Al centro della co-creazione

In Canada, Toronto promuove soluzioni sistemiche agli approvvigionamenti di cibo, che vanno dalla filiera corta a sistemi per utilizzare verdure e frutti imperfetti inadatti al mercato, passando per l’aiuto alle fasce più disagiate, inclusi gli homeless, attraverso l’educazione alimentare e la fornitura di cibi salubri. “Ritengo che il messaggio chiave sia la co-creazione. Non arriveremo da nessuna parte agendo come individui isolati. Non funzionerà per i decisori politici negli uffici governativi, non funzionerà per i decisori nelle aziende, non funzionerà per gli agricoltori, non funzionerà per i singoli consumatori. Tutto sta davvero nella co-creazione. Dobbiamo essere capaci di immaginarla” dichiara Chris Barrett, docente e condirettore food policy di Cornell University.

Sicurezza a raggio breve

In Ecuador, il Piano di Sviluppo Strategico 2015-2025 del Distretto Metropolitano di Quito punta su filiera corta e agricoltura sostenibile per affrontare i problemi di sicurezza alimentare, nutrizione e salute, promuovendo lo sviluppo economico locale e le relazioni tra la metropoli e le aree rurali, per una crescita più sostenibile e resiliente. Il Piano include misure per compensare le emissioni di CO2 .

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