Editoriale: Territorio nostro

Cristina Lazzati
Investire nel proprio Paese, nella nostra comunità, è un modo di restituire al territorio quanto ci ha dato ma anche di gettare radici per un futuro più prospero per tutti (da Mark Up 318 - Aprile 2023)

Brand Urbanism, il termine è anglosassone ma indubbiamente l’Italia avrebbe molto da insegnare, seppur inconsapevolmente, su questo tema. Il marketing dell’Antica Roma, fatto di passaparola, per cui tutti sognavano di passare almeno un giorno nell’”urbe” -eh sì anche la radice di urbanism l’abbiamo inventata noi-; Venezia e Firenze con i loro nomi (e le loro bellezze) erano meta agognata per molti artisti, scrittori, nobiluomini e nobildonne da tutto il mondo. I nostri marketer di allora erano pittori e scultori, ma anche scrittori, basti pensare alle poesie e ai racconti di Lord Byron che descrisse l’Italia come “Il fatal dono di bellezza”. Forti di un patrimonio artistico inarrivabile, clima temperato, cibo fantastico, l’Italia e le sue città hanno avuto e hanno i loro momenti di splendore nell’immaginario mondiale. Ma non di solo turismo vive un Paese, soprattutto quando nel tempo abbiamo un po’ arrancato, con servizi non all’altezza, musei chiusi durante le feste e, negli ultimi decenni, una digitalizzazione zoppicante.

Avremmo potuto insegnare ma oggi abbiamo molto da imparare, il marketing applicato alle città e non necessariamente solo a quelle d’arte è uno strumento formidabile per creare un’immagine moderna, sostenibile e all’altezza delle aspettative, attirare capitali, investimenti, che a loro volta creano lavoro e benessere, gli strumenti ci sono ma il ruolo non è solo dell’amministrazione pubblica ma anche delle aziende. Un potenziale ancora poco esplorato, seppure i termini localismo, comunità e territorio siano ampiamente usati nella comunicazione delle aziende. L’attrattività del Belpaese, termine che non uso a caso, è un asset che può essere speso ma solo a fronte di un investimento da parte di tutti, dove la concertazione tra pubblico e privato deve funzionare in sinergia e in maniera trasparente. Quando si parla di comunità, infatti, nessuno corre da solo, perché farebbe ben poca strada ma i progetti devono e possono essere condivisi, amplificati e messi al servizio dei cittadini.

Dice bene Claudio Bertona, founder & ceo di Brand for the City, nell’intervista della storia di copertina, quel che serve è “un pensiero di lungo periodo, il coinvolgimento della cittadinanza attiva, di associazioni, onlus, realtà collaterali, attori locali; un progetto che nasce dal basso (perché significa che c’è un bisogno concreto) e la collaborazione da parte delle istituzioni, con una partecipazione attiva anche della parte pubblica”.
I rischi? Il dopo: un progetto, una volta realizzato, appartiene alla comunità ma è necessario continuare a prendersene cura, altrimenti è solo un colpo di teatro, buono per un comunicato stampa e un taglio del nastro.

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