Vino ed export, segreti al femminile

Francesca Benini, direttrice commerciale e marketing di Cantine Riunite & Civ., fa il punto sulla sfida del vino italiano all’estero. Obiettivi condivisi e aggregazione armi vincenti per una partita ancora tutta da giocare (da Mark Up n. 281)

Essere una donna nel mondo del vino non è una novità, tra grandi casate e nomi illustri, le donne non mancano, ma Francesca Benini è comunque un’eccezione, infatti non ha un “cognome” illustre e, ad essere direttore commerciale e marketing di Cantine Riunite & Civ., c’è arrivata con una lunga carriera alle spalle. Ma lasciamo a lei il compito di raccontare la sua storia. “Sono romagnola e ne sono molto orgogliosa anche se ho lasciato la mia terra dopo il diploma e sono partita per Milano. Mi sono iscritta in Bocconi senza avere le idee chiare, nel tempo mi sono innamorata della consulenza strategica, e così, subito dopo la laurea, nel ‘92, ho cominciato il percorso nella consulenza, prima in una piccola società poi in Valdani Vicari dove sono rimasta per otto anni. Successivamente, ho fondato una società con altri due partner e, dopo un percorso di quattro anni, sono passata a una multinazionale francese e per 10 anni mi sono occupata di consumer goods.

Dopo il 2008, periodo molto critico anche per la consulenza, sentivo l’esigenza di cambiare, quindi nel 2011 ho fatto la scelta di uscire, anche se in quel momento non avevo un’alternativa.

Mi ha chiamato subito, però, Grandi Salumifici Italiani e così sono andata a gestire un’azienda in Toscana per due anni, che stava attraversando un processo di ristrutturazione. In quel frangente, ho avuto a che fare per la prima volta con i sindacati, ho gestito le relazioni industriali in un ambiente non semplice come quello toscano, venendo dall’esterno, essendo donna, in quel momento non è stato facile ma è stata un’esperienza dalla quale ho imparato tantissimo: l’azienda stava vivendo un momento delicato, quindi bisognava sostenere le motivazioni che portavano a una fortissima ristrutturazione e così, piano piano, prendendoli per mano, facendo leggere loro il conto economico, facendo capire per quale motivo il gruppo aveva preso una decisione di quel tipo, alla fine abbiamo trovato degli accordi, attraverso l’utilizzo di ammortizzatori sociali, ed è stato un rapporto davvero costruttivo”.

Come sei arrivata in Cantine Riunite & Civ.?

Mi ha chiamato il presidente proponendomi il ruolo di direttore commerciale. In realtà, conoscevo già il gruppo, avendo cominciato a lavorare, da consulente, con Cantine Riunite nel 1999. Gli obiettivi erano due: la necessità di dare un impulso nuovo, soprattutto sul fronte del marketing, allo sviluppo, in termine di prodotto e anche di processi, poi l’esigenza di creare una squadra. Lui mi conosceva da tanto tempo quindi probabilmente aveva valutato anche degli aspetti soft skill, e quindi ho accettato. È una bellissima avventura anche se non nascondo che qualche difficoltà c’è stata, anche perché si tratta di un ruolo tipicamente maschile in un settore maschile, quindi la prima osservazione era: “Tu non vieni da questo settore”, la seconda: “Chissà come si muoverà nell’ambito dei diversi mercati e progetti?” (perché seguo anche i mercati internazionali). Non è stato semplice, però sono assolutamente convinta che la grande risorsa che abbiamo noi donne è nel poter attingere a una serie di soft skill sempre più rilevanti in un mercato complesso come quello odierno. Intanto abbiamo una grande capacità di mediazione, di smussare gli angoli e di saper incidere nei momenti decisivi, qualità che si compensano benissimo con modalità più maschili. Un connubio tra muscolarità e mediazione che, a mio parere, è l’ideale.

Parlando #alfemminile ... conciliare vita personale e professionale non è semplice

Vero, è necessaria una grandissima organizzazione. Personalmente ho un grande vantaggio: dormo pochissimo da sempre, questo mi consente di sfruttare di più la giornata: mi sveglio verso le 5-5,30, vado a correre, poi doccia e via verso l’azienda; sono 340 km al giorno a meno che non vada all’estero o in alcuni momenti dell’anno, soprattutto sotto budget, dopo la vendemmia, tendo a fermarmi di più a Reggio Emilia. A casa, c’è una organizzazione perfetta e una grande sintonia con mio marito. Lavoro molto in anticipo, organizzo il lavoro domestico per i due-tre mesi successivi. Poi ovviamente ho delle priorità che si imparano nella vita: ci sono dei momenti in cui la mia presenza, caschi il mondo, ci deve essere; non ho mai mancato una recita di mio figlio, le pagelle, un compleanno. Mio figlio, che oggi ha 14 anni, viene prima di tutto. Questo è il “mio” miglior modo di vivere.

Ambiente molto maschile, ma la visione femminile sul vino potrebbe essere disruptive: dove deve andare il vino italiano?

Il mondo del vino è estremamente frammentato. Oggi, l’Italia sta crescendo soprattutto grazie agli spumanti e molta di questa crescita è legata al successo che il Prosecco ha avuto nel mondo, soprattutto in Inghilterra e negli Stati Uniti. Facendo i dovuti distinguo, mi sono resa conto, soprattutto in alcuni mercati, come quelli in sviluppo come la Cina, di cui tutti parlano e di cui, bisogna dirlo, gli italiani faticano ancora a decollare, che ci sono due aspetti di cui tenere conto: il primo è il concetto di sistema, i francesi per esempio sono stati molto più bravi di noi, sono entrati in Cina facendo sistema. In secondo luogo, scontiamo un’eccessiva frammentazione dell’offerta e delle denominazioni, di cui solamente un esperto può effettivamente capirne le differenze, questo rende tutto molto confuso e non ha mai consentito di fare veramente sistema.

Poi non esiste un unico modello per l’esportazione. Il successo di Cantine Riunite & Civ. nel mercato americano, ad esempio, è legato, a partire dal 1967, ad un incontro vincente con un partner americano: negli Stati Uniti, siamo riusciti a vendere 12 milioni di casse da 9 litri, e Riuniti ancora oggi è un brand che, partendo dagli Usa è diventato un brand globale. È chiaro che ci siamo insediati su quel mercato in un periodo storico particolare, in cui non si conosceva il vino, non si conosceva il vino con la bollicina, quindi è stato creato quasi un segmento ad hoc. Stiamo parlando del Lambrusco, che si sposa perfettamente con i gusti americani, soprattutto può essere gustato freddo, un vero plus per loro. Questi sono stati i capisaldi che hanno guidato il successo negli Stati Uniti, in Centro America, in Sud America e successivamente anche in Europa.

Al di là del fatto che stiamo parlando di tanti anni fa, non sono modelli perfettamente replicabili in tutti i mercati. Se prendo il modello americano, non possiamo replicarlo sul mercato cinese. Intanto, il mercato asiatico si sta affacciando adesso sul vino, e nel frattempo sono passati 50 anni, e anche i famosi Millennials, che tutte le aziende studiano, hanno cambiato i modelli di consumo. Non posso dire semplicemente perché un vino è dolce, facile da bere, fresco, si beve col ghiaccio, lo esporto in Cina e va benissimo: non è così. Quest’anno abbiamo lanciato una linea di prodotti per il mercato cinese dopo due-tre anni di ricerca sul consumatore. Una delle cose che mi ha colpito di più è stato quando abbiamo chiesto al consumatore cinese cosa apprezzava di più, cioè quali erano i criteri di scelta di una bottiglia di vino; mi sarei aspettata, come sta succedendo in tutto il mondo, il packaging, la bottiglia, il suo formato, l’etichetta, invece no, il primo criterio di scelta, a prescindere dal liquido contenuto e dall’etichetta, è la parte interna, l’incavo della bottiglia, la picura: più è profondo, quindi la bottiglia è pesante, più la bottiglia è pregiata. Tanto è vero che, nei siti di eCommerce, canale utilizzatissimo in Cina, le bottiglie vengono presentate prima in orizzontale per far vedere la profondità della picura, e poi in verticale.

Per dire che, senza esagerare, ci sono dei mercati, soprattutto nuovi, che vanno affrontati con dei criteri completamente diversi, bisogna studiarli e per farlo è necessario uscire dagli stereotipi, in tutto, dalla presentazione di un vino o di un packaging alla comunicazione. In realtà, leggere i mercati non significa solamente capire che occorre un certo tipo di bottiglia piuttosto che un’altra, ma anche parlare il loro linguaggio e comprenderne la cultura.

Come è percepita l’Italia all’estero e in particolare il vino?

Anche in questo caso, dipende da mercato a mercato ma in generale c’è un percepito dell’Italia abbastanza stereotipato. L’Italia è Firenze, Venezia, Roma, con un grandissimo rispetto del patrimonio artistico e dei nostri gusti e la moda è la prima cosa che un cinese o un americano accostano all’Italia.

Che difficoltà c’è in Italia a muoversi come aggregazione? Abbiamo bellissime città che hanno un brand, il vino non è mai riuscito ad associarsi a un luogo, potreste farvi capofila …

Idealmente sì, personalmente parto sempre dall’obiettivo strategico, cioè bisogna che “N” teste abbiano lo stesso obiettivo e vadano nella stessa direzione. Lo vedo anche nell’ambito dei consorzi delle denominazioni, e vale per il vino ma anche per i formaggi o i salumi: in realtà la difficoltà è trovare un intento comune e muoversi tutti nella stessa direzione, perché poi dopo ci sono anche le logiche territoriali, di potere, di azienda …

Un consiglio per le giovani donne che vogliono lavorare nel mondo del vino

Ci sono tantissime opportunità per le donne nell’area dell’innovazione, che non significa innovazione intrinseca di prodotto, anche perché non è semplice e naturalmente passa dagli enologi. Però tutto quello che è il pensiero laterale, rompere gli schemi in un mondo ancora troppo tradizionale, la donna può dare una visione diversa.

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