Sperimentare? Sì, ma con coerenza

L'editoriale della direttrice Cristina Lazzati (da Mark Up n. 276)

Che differenza c’è tra l’experience che si fa entrando in un Costco e quella in un Whole Foods? Costco è prezzo, quantità, affari, ricambio settimanale, sorpresa e novità; Whole Foods è gusto, colore, assaggi, permanenza in un tempio che celebra il cibo e la sua storia. Due esempi di successo diametralmente opposti.

Ma allora chi vuole trasformare i propri store in luoghi esperienziali come deve fare? Intanto, darsi un obiettivo, capire il proprio Dna: sono un Costco o un Whole Foods? No, non si può essere l’uno e l’altro, anche se la maggior parte del retail vorrebbe … Che sviluppo prevedo? Punto a un tempio per la marca o un luogo replicabile ovunque? Il concept esperienziale o meno è un vestito, “dentro” c’è l’essenza, fatta di organizzazione, logistica, acquisti, personale. La propria unicità risiede nella mission, prende vita dalle radici che hanno dato vita al brand, dalla sua storia e dall’evoluzione che ne è scaturita, il desiderio di “cambiare pelle” è nelle corde di un retail che vive da anni la disruption, ma non si tratta di rinnegare se stessi ma piuttosto di rimettersi in linea con la contemporaneità senza dimenticare se stessi e guardando al futuro.

Quindi, l’experience deve essere riconoscibile, e identificabile con il marchio; anche quando questo decide di evolversi, se prendiamo, per esempio, i discount: hanno ampliato la loro fascia di acquirenti, trasformando il loro concept da “ultima spiaggia” a “luogo dove si fanno affari”. Anche i negozi bio, da luoghi che, inizialmente, si ispiravano all’estrema semplicità, umili, spogli quasi per adepti, oggi sono diventati colorati, luminosi, verdi sì ma con allegria. Evolversi fa bene, ma attenzione a capire in quale direzione; sono dunque necessarie scelte mirate, in base al target che si ha e a quello cui si aspira, evoluzioni di senso quindi, non solo in base alle tendenze del momento, altrimenti si rischia confusione e omologazione.

Infine, le attività nel punto di vendita: sono necessarie? Certo garantiscono un’esperienza, ma devono esser ben dosate e, soprattutto, devono avere un fine riconducibile alla marca/insegna. Quindi benissimo la ristorazione se si inserisce in una “filiera” di consumo coerente, meno bene se si tratta di aprire un bar in un negozio di abbigliamento: non basta l’accoppiamento cibo e merchandise per trasformare una boutique in un luogo iconico. Pensiamo al mix di farmacie e supermercati, è stato fatto e non ha funzionato, perché? Perché dentro non c’era un’idea univoca ma due realtà ben distinte che hanno mantenuto la loro specificità, senza dar vita a una terza ma “appiccicandosi” l’una all’altra. Ecco, in sintesi, possiamo dire che il nuovo non può e non deve essere una collection di ciò che è trendy, ma l’emanazione di ciò che si è e che si vuole diventare.

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