E perché mai la distribuzione dovrebbe finanziare l’industria?

Esperti – In tempi di crisi l’impresa distributiva deve fungere anche da “banca” per le imprese industriali. (Da MARK UP 177)


Siamo in recessione. Nessuno è in grado di profetizzare se ci stiamo avvicinando verso il termine della stessa o se la crisi durerà ancora a lungo. Non vi è anche uniformità di vedute sulla geometria della crisi, sulla forma della medesima. Se è una recessione a “L”, se è una recessione a “U” oppure a “V”, dove queste sigle rappresentano la geometria sugli assi cartesiani con ascissa la dimensione temporale e in ordinata il valore del Pil. L'Fmi e l'Ocse ipotizzano una fisionomia a “U”, dando addio alle ultime illusioni di una caduta dell'economia seguita da una rapida ripresa. Restringendo il campo al settore del retail, il ceo di Wal-Mart, Mike Duke, preconizza che la parte bassa della curva recessiva si protrarrà molto più a lungo. Tutte queste osservazioni fungono da contesto entro il quale inserire un tema molto più focalizzato che riguarda i rapporti tra Idm e Gda, in questo nuovo contesto recessivo. Per avere una base di partenza solida, fondata quindi su numeri e veri, è opportuno confrontarsi su alcuni indicatori, emersi tra l'altro in un recente incontro Cermes-Bocconi.

Indicazioni di struttura

Alle indicazioni di condotta puntualizzate nel riquadro occorre aggiungere altrettante semplici indicazioni di struttura, ossia che le imprese commerciali italiane sono generalmente sottocapitalizzate e spesso gran parte del finanziamento allo sviluppo avviene ricorrendo a interventi bancari e/o ricorrendo al cash-flow. Ora, se il contesto mondiale è da recessione (la stagflazione dello scorso autunno è ben terminata e l'inflazione in essere, la più bassa degli ultimi anni, aiuta certamente i clienti, ma non le imprese), se non si riesce a crescere a rete costante, se i mercati che pesano di più sono quelli a più basso margine (maturi o declino), se la pressione promozionale è in continua crescita (con Pei a volte negativi), se i fuori fattura pesano ancora così tanto, se il cash flow è soggetto a lento decalage per fatturati poco floridi… se tutto ciò esiste allora significa che per le imprese commerciali vi sono problemi, con una novità (ma neanche tanto tale) all'orizzonte. Infatti, oltre a tutti questi “oneri”, l'impresa distributiva (più la Da che la cosiddetta Gd), con una buona dose di punti di vendita in franchising, con punti di vendita più o meno piccoli, deve fungere anche da “banca” per le imprese industriali. Perché se vuole competere nelle arene competitive importanti e soddisfare i propri clienti, deve sempre di più anticipare sul prezzo, quotidianamente, buona parte dei fuori fattura. Dosi importanti di fuori fattura, per le quali, come minimo, la liquidazione è trimestrale, per non parlare di un buon 30% annuale. Senza inoltre tenere conto, e per fortuna i retailer non ne tengono effettivamente conto, che alcuni di questi sono anche a target e quindi sostanzialmente aleatori. In più, in questi periodi di “mancati fatturati industriali” vi è una sorta di “induzione” al finanziamento in quanto le imprese industriali sempre più foraggiano gli acquisti speculativi a fronte di immediato e certo pagamento cash. Si crea la situazione del topolino con il formaggio, a meno che il topolino disponga di asset economici e soprattutto finanziari importanti. Tutto ciò coeteris paribus, ossia in regime di equità di tutto il resto e di correttezza reciproca nelle condizioni/situazioni di pagamento. Chiaramente in ambiti patologici nulla di tutto ciò vale e la banca la fa chi grida meno forte e/o paga dopo. Ma, a proposito: chi ha inventato i “fuori fattura”? Come mai si è arrivati a siffatte soglie anomale? Come mai non si interviene a livello di “sistema” per livellare i picchi non fisiologici? Chi ha dei fazzoletti?

Indicazioni di condotta

La salute del retail: nel corso del 2008 il tasso di sviluppo della Gda in Italia è stato del 2,9% a rete complessiva e di -0,4% a parità di rete.

Il ciclo di vita dei mercati negli assortimenti nella Gda: negli ultimi 2 anni la percentuale dei mercati in declino o maturi presenti negli assortimenti commerciali italiani è passata da 59,5% a 66,5%. Ciò è sia evocativo del fatto che negli ultimi anni non vi è stata vera innovazione di prodotto da parte dell'industria ed è anche un trend pericoloso per ciò che attiene ai margini medi ponderati di categoria e quindi di punto di vendita.

Il sentiment dei consumatori: è sempre più palese e marcata l'esigenza di convenience. Da indagini quantitative realizzate annualmente a livello nazionale, effettuando un confronto 2007-2009, si evince come i clienti siano sempre più attenti alle promozioni (+7,4%), ai volantini (+14,9%) e soprattutto ai prezzi di tutti i prodotti (+11,4%).

Ciò è indicativo del fatto che non si possa “mollare la presa” e che gli investimenti debbano necessariamente essere congrui anche a livello continuativo e di baseline.
La pressione promozionale nei diversi formati distributivi: negli ultimi 2 anni, per tutti i formati distributivi, vi è stato un incremento generalizzato di oltre 1,3 punti con picchi dell'1,6% nei piccoli supermercati (< 1.300 mq).
Infine, il mix degli sconti negoziali: negli ultimi 2 anni l'agognato passaggio da una scontistica “fuori fattura” a una scontistica “in fattura” è rimasto lento ed è variato in maniera tale per cui gli sconti in fattura sono saliti al 47,1%, mentre i fuori fattura pesano ancora per un buon 51,2%.

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