Nessuno è escluso

L'editoriale della direttrice Cristina Lazzati (da Mark Up n. 277)

Torno a parlare su queste colonne di diversità e inclusione, e mi soffermerei sul loro significato, perché, a differenza di quanto molti pensano, non sono interscambiabili ma sono sintoniche. La diversità, intanto, è misurabile, è fatta di aggettivi, di generi, è una categorizzazione della forza lavoro: etnie, anagrafica, orientamento sessuale ... Fatte le dovute misurazioni, ci dà il “cosa”; mentre l’inclusione è il “come”: come l’eventuale diversità viene trattata all’interno? È considerata una risorsa? O un problema? In un momento in cui molte aziende hanno chiaramente percepito che la diversità è un must, il rischio è che, a fronte di grandi iniezioni di diversità, manchi all’azienda e alla sua cultura, la capacità inclusiva. E la diversità rimanga una facciata da raccontare ma non vissuta e utilizzata al meglio.

Quante sono le aziende che hanno realmente capito che la diversità rappresenta un’opportunità? Qualcuna, forse. Quante di queste sanno come trasformare tale opportunità in ricchezza? Molte meno. Per alcune è come se bastasse accumularla e sperare che si sistemi ... da sola, ma non è così. Le aziende, prima di tutto, devono imparare ad essere inclusive, cioè saper attrarre il maggior beneficio possibile dalla presenza di elementi che portano con sé la loro peculiarità e imparare a sfruttarle come un insieme di strumenti musicali che suonano all’unisono. Da un lato, quindi, è necessario potenziare le risorse in grado di apportare diversità, dall’altro bisogna rassicurare le forze già in campo, condividendo con loro l’obiettivo di ristabilire le dovute proporzioni. Facciamo un esempio molto semplice: se la popolazione italiana è divisa a metà tra uomini e donne (con una leggera prevalenza di donne) e tale proporzione non è rispettata nella distribuzione dei ruoli manageriali, significa che siamo ancora carenti, non solo in diversità ma anche in cultura dell’inclusione. Solo tale cultura potrà far sì che chi, al momento, è al comando (quindi una prevalenza maschile, bianca ed etero) abbia la cultura necessaria per far sì che ognuno degli appartenenti all’impresa sia messo nella condizione di dare il meglio di sé.

Inoltre, c’è un altro punto su cui forse vale la pena di riflettere: quante persone ancora si appiattiscono al modello dominante? Nascondendo una parte di sé nel tentativo di “assomigliare” il più possibile a chi sembra avere le redini del potere? Quanta diversità va sperperata in questo modo? Quante potenzialità vengono azzerate nel tentativo di essere “uguali”, invece di offrire punti di vista differenti?

La massa storicamente non fa cultura e non crea innovazione ... fa massa. Rumore.

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