#alfemminile: Per Francesca Patellani (Accenture), la diversità è un tema business

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Parliamo di diversity & inclusion con Francesca Patellani, geographic services director e corporate citizenship lead di Accenture Italia (da Mark up 296)

Laurea in matematica e background umanistico grazie agli studi al liceo classico, Francesca Patellani approda in Accenture nel 1991, come consulente in ambito bancario, impegnata su progetti di integrazione di sistemi e outsourcing di processi. Dal 2015 gestisce le operation di Accenture nel real estate, procurement e travel mobility per i consulenti del Gruppo. Diventa anche vicepresidente di Fondazione Italiana Accenture e da 15 anni ormai si occupa di inclusione e diversità, negli ultimi anni focalizzata sul genere. Si definisce una “rompiscatole” -culture maker, diremmo noi- impegnata giorno dopo giorno ad aumentare la sensibilità su queste tematiche e superare i pregiudizi in azienda e nel quotidiano. Il percorso è tracciato, l’obiettivo non più irraggiungibile, ma le aziende devono prendere consapevolezza della potenzialità.

Come affrontate le tematiche di diversità e inclusione in Accenture?

In Accenture abbiamo una persona che si occupa trasversalmente di inclusion & diversity con un team dedicato, fa riferimento agli sponsor business focalizzati su tematiche quali genere, disabilità, religione ed Lgbt. Questo ci consente di gestire al meglio lo sviluppo delle sinergie che permettono di sviluppare un mindset inclusivo in azienda, ciò crea una derivata positiva nello sviluppo overall dell’inclusione. Un percorso iniziato oltre 20 anni fa se pensiamo che già dal 1999 in Italia era attiva una policy di maternità, con kpi di misurazione, che permetteva il diritto al part time alle mamme al rientro. Il focus sull’inclusione poi, guidato dalla corporation è andato a intensificarsi, con una gestione di queste tematiche in tutte le nostre sedi, con un sistema di reporting e obiettivi condivisi worldwide, omogenei indipendentemente dalla maturità di ogni country.

Ci può fare degli altri esempi concreti di come funziona questo meccanismo?

In Accenture effettuiamo interventi concreti sul tema, con misurazioni di kpi sul mix di diversità e sul gap con precisi indicatori. Sul fronte delle assunzioni abbiamo un target chiaro di 50% donne e 50% uomini, ma anche sulle promozioni misuriamo il gap e ci diamo ogni anno dei target. In Italia per esempio abbiamo raggiunto il 38% di gender mix, 750 donne executive, pari al 25% e lo scorso anno abbiamo promosso il 32% di figure femminili a managing director. Quando ho iniziato io, la percentuale di donne nei livelli apicali raggiungeva a malapena il 4%, oggi abbiamo il 20% e puntiamo ad arrivare al 30% entro il 2025. Lavoriamo inoltre su percorsi di awareness, chiamati “Think inclusive” che affrontano l’inclusione in maniera trasversale, chiamando al tavolo persone esperte su diversi settori. Abbiamo poi un percorso sulla genitorialità di grande successo chiamato “Your child, your master”, rivolto a tutti i genitori di bambini fino ai 3 anni, per lavorare sui soft skill come la capacità di negoziare o di ascolto, che sviluppano nel loro ruolo. Ogni anno facciamo poi un assessment propedeutico alla promozione bilanciata, per superare il bias tipico “uomo disponibile 24/7 a cui affidare team con obiettivi più sfidanti” che non permetterebbe quindi alle donne un percorso di carriera corretto all’interno della azienda. Un algoritmo di intelligenza artificiale analizza i “pink gap”, valutando i salary adjustment da effettuare.

Quale vantaggio competitivo può creare all’azienda il lavoro su queste tematiche?

Buona parte delle aziende che lavorano su questi temi hanno capito che è un tema business e non solo di responsabilità sociale o di gestione del personale. In Accenture lavoriamo costantemente sull’innovazione e per noi è fondamentale avere nuove idee che scaturiscono da team bilanciati. In team omogenei infatti non si ricevono stimoli laterali, mentre comporre team variegati per cultura, genere e provenienza sociale permette di ricevere stimoli diversi quando questa diversità viene ascoltata ed è inclusiva. Oltre al tema innovazione c’è il discorso dei talenti: se io mi rivolgo al mercato come un’azienda inclusiva, attrarrò molto di più e saprò anche valutarne il potenziale molto meglio. Accenture recluta circa 2.500 persone all’anno e anche durante il lockdown abbiamo assunto, è fondamentale creare un ambiente inclusivo perché le persone che manifestano una qualunque diversità, devono sentirsi libere di essere sé stesse e di dire quello che pensano. Noi dobbiamo facilitare il processo per abilitare discussioni e stimoli che ci portano a generare innovazione con la guerra dei talenti.

Che ruolo possono giocare le aziende nella diffusione dell’inclusione?

Le aziende private di una certa dimensione stanno sempre più sposando un concetto di responsabilità nel business di cui si occupano, tutte si stanno attrezzando, con livelli di maturità diversi, per abbracciare un set di valori importanti e quasi tutte lavorano anche sui temi di diversità. Il panorama è vario: andiamo dall’azienda che ha iniziato il suo percorso sui temi di genere, ma senza alcuna misurazione a quelle che invece sono ultra strutturate con obiettivi precisi. Credo ci sia ormai un livello di responsabilità condiviso dalle aziende, con livelli di messa a terra differenti rispetto a questi temi. Se penso ad Accenture abbiamo lanciato lo statement “No tolerance against racism” legato ai temi del Black Lives Matter, messaggi forti dichiarati da aziende forti aiutano a trasferire valori alla comunità in cui viviamo. Un altro segnale forte e bellissimo che abbiamo dato è stata la nomina di un ceo donna, Julie Sweet, messa a capo di una multinazionale della tecnologia da mezzo milione di persone nel mondo, un modo di essere influencer provando a guidare un pensiero che possa ispirare la società.

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