Dall’economia dell’attenzione all’economia della relazione

L’intelligenza relazionale è oggi alla base di un business di successo, per cui i social rappresentano un asset. Lo studio di Reputation Manager analizza i livelli di relazione

Negli ultimi mesi numerosi player dell’ambito digital hanno annunciato ed apportato cambiamenti radicali favorendo la creazione di nuovi contesti nel mondo online. Basti, ad esempio, pensare a Netflix che ha aperto un eCommerce, a WhatsApp Business che ha integrato la vetrina prodotti nelle chat investendo nel chatvertising, a TikTok che ha lanciato negli Usa TikTok Resumes dando la possibilità di inserire il proprio Curriculum Vitae sulla piattaforma, a YouTube che avrà la sua pagina “For You” con video brevi su modello di TikTok e si chiamerà “New to you”. E ancora alla Norvegia che ha imposto agli influencer di dichiarare quando una foto commerciale è stata ritoccata, ad iOS 14 che ha scosso il mondo dell’advertising richiedendo agli utenti il consenso esplicito per poter collezionare i cosiddetti Idfa, identificatori random ma unici dei dispositivi iOS, su cui si basano le strategie di Adv e parallelamente pure a Google che ha annunciato entro 24 mesi il ritiro dei cookie di terze parti, e la lista potrebbe continuare. Da questa carrellata di novità in ambito social media emergono molteplici spunti di riflessione che vanno dalle questioni legate alla privacy, alla ricerca del lavoro, all’eCommerce e influencer marketing ed oltre.

Nuovi paradigmi

Tradizionalmente, la macrocategoria dentro cui far confluire tutte queste novità e il modus operandi dei social e delle piattaforme è quella dell’economia dell’attenzione, ed è ancora indubbiamente così, anche se è sempre più chiara la necessità di spingersi oltre verso un nuovo paradigma. Anzitutto, per economia dell’attenzione (attention economy) s’intende un sistema economico che riconosce nell’attenzione degli utenti una forma di valuta a tutti gli effetti considerata alla stregua del denaro, proprio perché in grado di generare profitto. Tale concetto fu elaborato alla fine degli anni ‘60 dall’economista premio Nobel Herbert Simon, nel suo saggio dal titolo “La progettazione di organizzazioni in un mondo ricco di informazione”, in cui Simon mette in luce la relazione che intercorre tra una società dell’informazione che produce un’abbondanza di dati e la capacità dei fruitori di questi dati di analizzare e leggere quest’ultimi in modo completo e consapevole. Come recita una celebre frase dell’economista: “In una società ricca d’informazione deve dunque mancare qualcosa: questo qualcosa è l’attenzione”. È chiaro che i social media hanno esasperato questa logica portandola ai livelli della dipendenza (la cosiddetta Fomo – Fear of Missing Out è forse uno dei sintomi più blandi legati alla questione che si spinge fino al patologico). Attenzione e dati personali sono di fatto dei costi reali, anche se non immediatamente economici, per gli utenti della rete. Rispetto al passato, tuttavia, la consapevolezza di essere “utenti-prodotti” è maggiore e lo sarà sempre di più. Questo ha innescato un processo di trasformazione di queste logiche, e stanno prendendo piede format (a cui sono ovviamente legati specifici modelli di business) che hanno la loro ragion d’essere nel non lasciare l’utente solo in balia di un mare di informazione indistinta, ma di razionalizzarla e selezionarla nella maniera più confacente alle esigenze e agli interessi del singolo. In altri termini, il passaggio dall’economia dell’attenzione all’economia della relazione trova dei validi strumenti, ad esempio, in quelli che sono modelli di membership e subscription, costringendo le aziende a scegliere strategie e metriche nuove, aggregate, non più one-size-fits-all, ma incentrate sui comportamenti dei singoli utenti e in particolare sul loro livello di engagement, finalizzato alla conversion.

Relazione = Valore

Bisogna tener presente che con l’avvento dell’economia della relazione i brand sono, quindi, sempre più definiti dall’esperienza del consumatore, al punto che la relazione con i clienti determina il successo stesso del brand nel complesso. Infatti, un’azienda che vuole creare un brand forte in una società in cui si lotta contro tutti, deve abbandonare un tipo di comunicazione frettolosa e a impronta di brutta copia degli altri, puntando sui propri valori, sul comunicare la propria cultura aziendale, sul rafforzarla, sul renderla visibile ai clienti esterni, ai prospect ma anche ai propri lavoratori. A tal proposito, con un focus dedicato sulla comunicazione social, è interessante prendere in esame le evidenze aggiornate a giugno 2021 dell’Osservatorio Social Top Manager di Reputation Manager, che da anni studia la comunicazione e l’attività dei top manager sui principali canali, per analizzarne gli stili di comunicazione social. Dallo studio emerge come agli executive sia sempre più richiesto un cambio di atteggiamento. I top manager, soprattutto nei mesi segnati dalla pandemia, sono diventati figure centrali non solo in ambito corporate, ma nella società nel suo complesso. È a loro, infatti, che spesso si guarda in cerca di una guida. Specchio di questo cambiamento è la loro attività social: LinkedIn, Twitter e Instagram acquistano maggiore centralità. Il lavoro di anni di analisi della comunicazione dei top manager italiani ha così permesso a Reputation Manager di identificare 10 tipologie che definiscono il comportamento degli executive sui principali social: una “piramide evolutiva” dal livello più basso (assenza dai social), a quello più alto (punto di riferimento mondiale), passando per step intermedi contraddistinti da una minore o una maggiore attività social.

Stili e classifiche

Tra gli oltre 150 profili di top manager presenti e attivi sui social analizzati da Reputation Manager, lo stile più diffuso rimane quello del brand ambassador, anche se in leggera flessione. A questa categoria appartiene il 28% degli executive presenti sui social network, in calo del 4% rispetto al periodo di analisi precedente. I top manager appartenenti a questa categoria sono spesso identificati con l’azienda stessa, che assume un ruolo centrale nella loro comunicazione: la maggior parte dei post è infatti orientata a raccontare progressi e successi della società che guidano. Il calo registrato negli ultimi due mesi (maggio-giugno 2021) è da imputarsi alla difficoltà di mantenere questo status per un periodo di tempo prolungato; una difficoltà crescente nei casi in cui il top manager deve abbandonare (magari per un cambio di cariche al vertice) il ruolo che occupa. L’Osservatorio ha infatti registrato che, spesso, la perdita della carica esecutiva di ceo in una grande azienda corrisponde anche a una “retrocessione” della propria attività social. Un gradino sopra, anche se rappresentati solo dal 15% dei top manager, ci sono i market ambassador (+1% negli ultimi due mesi). Essi si caratterizzano per la forte influenza che hanno non solo sulla propria azienda, ma anche nell’intero settore di riferimento. Appaiati, entrambi al 15%, i manager reactive e i manager sharer. I primi rappresentano il livello più basso della piramide evolutiva in cui si assiste a un’attività social: il loro unico gesto social, infatti, è quello di aggiungere reazioni o commenti a post altrui, senza un’attività personale. Una dinamica consolidata vede il manager appena insediato al vertice di una società, prediligere una comunicazione low profile e passino dei mesi prima che i team di comunicazione interni possano agire sui suoi profili social con un piano di comunicazione strategica e attiva. Periodo all’interno del quale la “personalità social” del top manager rimane nell’ombra (e nella parte più bassa della piramide). Sempre rappresentati dal 15% dei top manager in analisi, ci sono gli sharer, che aggiungono alla loro attività social anche il gesto della condivisione, spesso di post creati dall’azienda che rappresentano o di cui fanno parte. A giugno 2021, gli Interactive sono al 13% (+1%). I top manager appartenenti a questa categoria si contraddistinguono perché, a differenza dei due precedenti, aggiungono al proprio stile una comunicazione originale e in grado di generare engagement. Si restringe del 2%, invece, la sezione degli editor (11%): una categoria che può essere definita “di passaggio” tra lo stato embrionale degli sharer e quello degli Interactive, in cui si assiste alla produzione di contenuti propri che raccontano i successi personali e aziendali. Una comunicazione attiva che, se ben sfruttata, può portare il profilo ad acquisire anche un alto numero di follower (e alla promozione in categorie di livello più alto).

Testa e coda

Il vertice e il fondo della classifica meritano un discorso a parte e, analizzati insieme, permettono di comprendere come il processo di “popolamento” dei top manager italiani sui social media sia ancora lontano dal concludersi. Solo due manager su cento possono essere considerati country ambassador (2%). Le loro parole vengono spesso riprese anche dalla stampa e possono acquistare anche un peso politico ma questo livello è appannaggio di una sparuta minoranza. Ancora più in alto, e ancora più rari, i World Leader (1%), riconosciuti leader mondiali e punto di riferimento per il proprio settore di competenza, per il proprio Paese e per la società nel suo complesso. Leggendo la piramide dal basso, l’Osservatorio segnala che il 23% dei top manager presenti sui social è Inactive, mentre il 32% dei top manager attivi in Italia è, invece Asocial, ovvero assente dai social network.
Da queste riflessioni, limitate al ruolo della classe dirigente e che fungono da base anche per uno studio su altre fasce di popolazione aziendale, emerge come sia fondamentale puntare sull’intelligenza relazionale, in modo da instaurare un dialogo con le persone. La relazione trasforma i clienti in ambasciatori del brand, ovvero in promotori attivi e disinteressati, conquistandone la fiducia e costruendo una community, una rete di persone unite da un comune interesse nei confronti del brand e/o per la sua offerta.

La comunicazione social dei Top Manager secondo Reputation Manager

World Leader 1 % (*) Riconosciuto come uno dei leader mondiali, è punto di riferimento del proprio settore di competenza, per il proprio Paese e per la società nel suo complesso.
Country Ambassador 2 % (*) Il country ambassador si è guadagnato il delicato ruolo di rappresentare il proprio Paese nel mondo. I suoi interventi variano dai successi lavorativi ai più stringenti campi dell’attualità. Non di rado interviene portando la propria opinione anche su quelli che, a prima vista, potrebbero sembrare campi non di sua stretta competenza. Le sue parole vengono spesso riprese dalla stampa e possono acquistare anche un peso politico.
Market Ambassador 15 % (*) + 1 % (+) L’influenza del manager valica i confini dell’azienda e del brand e si estende all’intero mercato di riferimento. I temi trattati si ampliano sempre più arrivando anche all’attualità e alle dinamiche di settore.
Brand Ambassador 28% (*) -4 % (+) Il manager riscuote un successo tale da essere identificato con l’azienda. Il brand ambassator predilige una comunicazione orientata ai successi e allo sviluppo dell’azienda un cui lavora: in lui gli utenti riconoscono i valori e la mission del brand.
Interactive 12 % (*) +1% (+) I contenuti prodotti e condivisi dai manager suscitano interesse e generano interazioni consistenti. Il suo apprezzamento sui social cresce, prima in termini di like, commenti e condivisioni, poi anche in termini di follower.
Editor 11 % (*) -2% (+) Il primo step della piramide evolutiva in cui si assiste alla produzione di contenuti originali. Il comunicatore utilizza le piattaforme social e web per condividere con il proprio (ristretto) pubblico successi, aggiornamenti sulla propria carriera e riflessioni.
Sharer 15 % (*) All’attività di “like” e commenti altrui, lo sharer aggiunge quella della condivisione. Focalizzandosi in particolare su contenuti riferiti all’azienda o al settore di cui fa parte.
Reactive 15 % (*) + 4 % (+) Si contraddistingue per una comunicazione stentata, l’attività a cui si limita è quella di mettere “Like” o commentare post di colleghi o aziende. Si nota la mancanza di un piano strategico e di una comunicazione attiva.
Inactive 23 % (**) È presente sui social ma uno o più dei suoi profili sono inattivi, ovvero non aggiornati da almeno un anno.
Asocial 31 % (***) Il manager asocial è assente dai social network con profili personali. Può apparire in prima persona nei canali del brand o dell’azienda che guida, ma spesso predilige una comunicazione tradizionale fatta di interviste e comunicati stampa.

Fonte: Reputation Manager. Dati aggiornati a giugno 2021

(*) dei top manager attivi sui social - (**) dei top manager presenti sui social - (***) dei manager in Italia - (+) Variazione aprile-giugno

LASCIA UN COMMENTO

Inserisci il tuo commento
Inserisci il tuo nome