Internazionalizzazione digitale: le opportunità tra Italia e Cina

L'ufficio di Hylink a Pechino con l'"Hylink Ox", uno dei simboli dell’azienda, presente in ogni suo ufficio. © Hylink
Mark Up ha incontrato Yuan Zou a capo di Hylink Digital Solutions, agenzia cinese di servizi di marketing digitale recentemente sbarcata a Milano per lavorare a stretto contatto con i brand del Made in Italy

Il mercato cinese (digitale e non) presenta peculiarità piuttosto esclusive, che lo differenziano in maniera sostanziale dagli altri paesi nel mondo e, proprio per questo, deve essere oggetto di un’attenzione se possibile ancora più puntuale per potervi approdare nella maniera più consona. In particolare, quando si pensa al digitale, bisogna pensare ad un ecosistema parallelo a quello occidentale, assai ricco e dinamico. Tale ecosistema merita di essere analizzato per le sue diversità in termini di abitudini di fruizione e interazione da parte degli utenti, in quanto popolato da piattaforme native fortemente innovative e con un bacino d’utenza enorme.

Il panorama dei marketplace in Cina, infatti, vede tra i più popolari per fatturato i marketplace cross-border di Tmall (gruppo Alibaba), i social-commerce come Xiao Hong Shu (Little Red Book) e i mini-markeplace di WeChat. Questi marketplace sono delle vere e proprie porte d’accesso ad un mercato sconfinato, e i volumi commerciali sono sempre più ingenti. A questo proposito, il commercio transfrontaliero è in notevole aumento per un duplice ordine di fattori: da un lato perché i consumatori cinesi – sempre più benestanti, sofisticati e attenti nelle loro scelte di acquisto – sono attratti dai marchi occidentali in cui ricercano qualità, design, sicurezza e i valori dei brand, dall’altro per la flessione del turismo in uscita che sta limitando la possibilità di provarli direttamente nel paese di origine. Sono molto recenti i casi di “Revenge Shopping” che si sono verificati in Cina dopo gli allentamenti del confinamento legato alla pandemia da Covid-19, tra i quali ad esempio vi è il caso della boutique di Hermès a Canton che nella sola giornata dell’11 aprile 2020 ha guadagnato oltre 2,7 milioni di euro, a dimostrazione oltre di un nuovo ruolo rivestito dai beni di lusso.

La Cina sta costruendo sempre più partnership tra aziende e giganti dell’eCommerce cinese con effetti visibili nella catena di fornitura, nel marketing e nell’analisi dei dati, per far fronte alle richieste sempre più elevate di un bacino d’utenza così popoloso. Ecco, quindi, come le boutique O2O (Online to Offline) diventeranno dei canali di vendita sempre più importanti in quanto luoghi di connessione e socialità che coinvolgeranno soprattutto i consumatori più giovani (Millennials e Gen Z) e dove i CEO delle aziende e gli influencer offriranno dirette live di vendita, trasmettendo il valore del brand e rafforzando la fiducia e la fedeltà dei clienti. Il digitale è quindi strategico per creare engagement con i consumatori, che, di fatto, sono i veri KOL (Key Opinion Leader), capaci di condizionare il successo di un brand attraverso i social media.

Tutti questi aspetti rientrano nella cosiddetta “internazionalizzazione digitale”, la cui rilevanza operativa è propria del lavoro quotidiano di molte PMI italiane, le quali hanno, per la maggior parte, finora raggiunto un “medio raggio” in termini di possibilità d’espansione, utilizzando reti commerciali che hanno portato a raggiungere paesi più simili per cultura. Tale evidenza però dimostra chiaramente come vi sia potenziale inespresso verso altri mercati globali, come quello cinese, che la rivoluzione digitale rende molto più accessibili rispetto a prima. È possibile, quindi, affermare che vi sia un legame positivo tra performance, digitalizzazione e internazionalizzazione, di cui soprattutto realtà come le PMI proprie del tessuto produttivo italiano possono beneficiare. Per accostarsi, però, con un approccio corretto al presidio dei mercati esteri bisogna affrontare la sfida che sta nel binomio “distanza fisica” e “distanza culturale”. A questo proposito, la distanza fisica oggi, grazie alla tecnologia, sembra un punto, se non del tutto, alquanto meno insidioso, rispetto al passato. Tuttavia, un processo più o meno lineare come questo non avviene dal punto di vista culturale, dove quello che la letteratura scientifica definisce “consumatore globale trasversale” non è ancora del tutto formato. L’elemento più distintivo in tal senso è quello linguistico. In questo frangente, la citazione dell’ex cancelliere tedesco e premio Nobel Willy Brandt sembra quanto mai calzante: “If I am selling to you, I speak your language. If I am buying, dann müssen Sie Deutsch sprechen” (Se Le sto vendendo qualche cosa, parlo la Sua lingua. Se la sto comprando, deve parlare tedesco). Questa citazione restituisce al meglio l’importanza della mediazione linguistica e culturale nei processi di marketing e di vendita, tanto più nell’online dove la percezione del rischio lato consumatori è più elevata. È in questo frangente che si inseriscono attori come Hylink Digital Solutions, società cinese di servizi di marketing digitale. Fondata a Pechino nel 1994, è cresciuta negli anni espandendo progressivamente la gamma di servizi digitali, fino a diventare una realtà solida a livello globale, con 23 uffici nel mondo. Nel 2020, con la creazione di Hylink Digital Solutions Italy con sede a Milano, l’agenzia fa il suo ingresso nel mercato italiano, proponendosi come partner per i brand del Made in Italy nei settori fashion, beauty, food, design, lifestyle.

Mark Up ha incontrato Yuan Zou, Head of Fashion and Luxury Europe di Hylink Digital Solutions, e responsabile dell'espansione europea del Gruppo, nonché delle sedi di Parigi e Milano.

Yuan Zou, Head of Fashion and Luxury Europe di Hylink Digital Solutions

Come mai Hylink ha deciso di approdare in Italia e in quale altro paese europeo ha cominciato ad operare inizialmente?

Hylink, in verità, ha iniziato la sua espansione internazionale circa 6 anni fa, arrivando negli USA con degli uffici a New York e Los Angeles, per poi approdare in Europa,  ed in particolare a Londra, circa un anno fa. Già allora vi erano enormi opportunità tra l’Europa e la Cina, e Londra, grazie all’essere un centro finanziario, al fattore lingua inglese, e alla presenza di molti talenti cinesi già in loco, è stata la scelta più facile per iniziare. Col passare del tempo, ed avendo capito le opportunità che si prospettavano anche in altri posti in Europa, sono stata scelta nel 2019 per aprire a sede di Parigi, dove il settore del fashion ed in generale del lusso, che è uno dei più importanti per il mercato cinese, è molto forte. Immediatamente dopo l’avvio dell’ufficio di Parigi, mi sono resa conto che anche il mercato italiano è veramente strategico, importante e con molto potenziale, seppur essendo diverso dal mercato francese che ha grandi gruppi come Louis Vuitton, Chanel, ecc. L’Italia, infatti, è dominata da piccole-medie imprese a conduzione famigliare, che, specie per quel che riguarda i brand operanti nel Made in Italy, sono altamente apprezzati in Cina. Quindi, aveva senso avere due uffici in Parigi e Milano per soddisfare al meglio i bisogni dei clienti cinesi. Il piano era quello di portare avanti l’attività in duplice sede tra Parigi e Milano con l’inizio dell’anno 2020, dopo che nei mesi precedenti con iniziative come il Salon du Luxe e altre, si erano visti i presupposti per iniziare attorniati da grande interesse da entrambe le parti. L’avvento della pandemia di Covid-19 a febbraio ha, però, poi sparigliato le carte, rallentando l’avvio dell’ufficio di Milano, che comunque era già pronto dal dicembre 2019, ritardandone l’apertura. Abbiamo,  infine, lanciato le nostre attività nel settembre 2020 con l’evento di e-Pitti, volendo essere ottimisti e sperando che una seconda ondata, seppur probabile, non si dimostrasse così dura come invece sta dimostrando esserlo. Nonostante ciò, il timing non è totalmente negativo perché la crisi ha sì innescato un senso di urgenza e panico, ma parallelamente le persone ed il mercato sono stufi di cattive notizie, con l’economia stagnante, perdite continue di posti di lavoro, e nessuno disposto a fare un passo in più e lanciare qualcosa di nuovo. Ecco, noi abbiamo voluto dare un segno di speranza, e iniziare la nostra attività. Inoltre, proprio perché in termini di tempo la Cina ha vissuto prima il dramma della pandemia, ora è in una fase di recovery che permette una ripresa economica in termini di sviluppo anche per i suoi partner internazionali. Seguendo questa logica è, quindi, il momento più opportuno per entrare sul mercato.

Adesso che siete operativi nel mercato italiano, ponendovi come ponte tra Italia e Cina, qual è il vostro valore aggiunto alle relazioni economiche tra le aziende dei due Stati?

Siamo un’agenzia che si occupa di digitale, e il digitale in Cina è fondamentale, specialmente per raggiungere il target dei giovani, Millennials e Gen Z., e in generale, in Cina, ogni aspetto della società si sta digitalizzando (entertainment, consumi, informazione, ecc.). Quindi, essendo noi specializzati nel target consumer market, siamo nella posizione migliore per aiutare i brand italiani a relazionarsi con gli utenti. La realtà, poi, è che la realtà cinese è molto complessa, dinamica e cambia con estrema rapidità che molti brand fanno fatica a tenere il passo e capire l’effettiva portata dei diversi trend, senza parlare delle difficoltà linguistiche, che costituiscono una barriera effettiva. Il nostro ruolo è, quindi, quello di “decodificare” il mercato cinese per le aziende italiane e fare loro capire quali sono le esigenze cinesi. Una volta comprese tali peculiarità, se un’azienda italiana capisce veramente quale può essere la sua nicchia di riferimento e le sue opportunità, e decide di fare il grande passo verso il mercato cinese, a quel punto lì affianchiamo nel  delineare una strategia efficace, nei termini di avere il giusto approccio al branding e alla vendita. Il nostro valore aggiunto è poi dovuto al fatto che, al contrario di altri intermediari, noi siamo effettivamente cinesi. Quindi, i nostri insight sono sicuramente più puntuali ed autentici rispetto a quelli che altri possono offrire.  

Parlando di digitale, quali sono i trend digitali che vede di tendenza in Cina e che secondo Lei saranno sempre più una realtà anche europea ed italiana?

Ci sono molti trend diversi osservabili oggi in Cina. Tuttavia, ci vorrà un po’ di tempo perché arrivino in Europa (e, in realtà, probabilmente non tutti sono adatti al mercato occidentale), proprio perché i brand europei tendono ad essere più conservatori in tal senso. Anche i consumatori sono diversi, avendo una cultura diversa da quella occidentale, che li fa interagire in maniera diversa con i brand. Tra le cose che possono essere rilevanti ci sono il Social Commerce, dovuto al fatto che già da qualche tempo i social media sono diventati per i consumatori cinesi anche delle vere e proprie piattaforme di acquisto, e per i brand delle piattaforme di studio (tramite i dati rilevabili dalle anagrafiche e dalle interazioni) e di vendita. In Europa, questa tendenza è ancora debole, anche perché avete altri canali all’attivo; ma per i cinesi tutto avviene all’interno dei social media, è tutto integrato. Un altro trend è quello dei Live Stream Shopping, ed è molto di successo per spingere le transazioni via e-commerce. È una sorta di evoluzione digitale delle televendite che anche in Europa avvenivano in televisione. In Cina, con il Live Stream, si arriva ad ottenere volumi di vendita enormi.

Qual è il ruolo che rivestono gli influencers?

Gli influencers hanno un ruolo importante. Tuttavia, devono condividere la stessa lingua e la stessa estetica. Sono naturalmente popolari influncers globali come le Kardashian, ma per la maggior parte funzionano influencers cinesi in Cina e italiani in Italia.  

Live Stream Shopping

Assistete le aziende italiane anche nella parte legal?

Non è nel nostro core business, quindi, non in maniera diretta. Per le aziende Italiane che vogliono vendere in Cina non c’è bisogno di avere una legal entity, e possono tranquillamente affidarsi ad operatori cross border, che aiuteranno nella parte logistica. Noi possiamo accompagnare i brand passo dopo passo, e guidarli visto che ci sono molte opzioni. Quindi, una volta che decidono di entrare nel mercato cinese, possono creare una WFOE (Wholly Foreign Owned Enterprise) come mezzo di investimento per creare unità produttive o commerciali in territorio cinese, come anche seguire altre vie. Noi ci focalizziamo più sulla parte della strategia e comunicazione digitale e, in generale, della gestione dei canali digitali, che si può fare senza legal entity, come già detto.

Relativamente al segmento del lusso, quale sono i maggiori prodotti d’interesse per il mercato cinese?

I cinesi, per via della storia del paese legata al comunismo e condannata alla decadenza per molto tempo, sono ora ossessionati dal lusso. Molto più rispetto a quanto avviene in Europa. La relazione con il lusso è quindi forte: anche nel caso di crisi economica, dove il settore del lusso tenderebbe naturalmente a contrarsi in altre aree geografiche, non vale per il contesto cinese. Inoltre, la Cina è in un momento di fortissima crescita economica e sta diventando  forte, al punto di superare presto gli USA in tal senso. La classe media si sta ampliando e anch’essa è sempre più alla ricerca di beni di lusso, ed è ottimista sul futuro. Quello che preferiscono acquistare, invece, varia molto da città a città, e ora non riguarda più solo grandi marchi affermati, ma anche realtà del lusso e del Made in Italy che hanno conosciuto nei loro viaggi in Italia, e che ora ricercano online. Il fashion, con gli accessori in particolare, è comunque sempre ai vertici dell’apprezzamento, perché hanno un logo che li rende riconoscibili, diventando una sorta di status symbol. A questo, adesso si aggiungono sempre più oggetti di design e anche prodotti del Food and Beverage, come nel caso del vino italiano, sempre più ricercato e con grande potenziale di crescita.

In conclusione, quale sarebbero i consigli, in una sorta di checklist, per una PMI italiana che vuole buttarsi nel mercato cinese?

Prima di tutto, fare i compiti a casa, nel senso di fare ricerche di mercato e capire se si è compatibili con il mercato cinese nel proprio segmento di riferimento, perché il mercato cinese non è per tutti. Inoltre, conoscere i propri competitor, capendo se si è in competizione con brand locali o internazionali. Il secondo punto è quello di avere una solida strategia già a monte, e non fare un salto nel buio nel mercato cinese, trovando solo un distributore e non facendo attività di brand awareness, perché questo nel lungo termine non si rivela sostenibile. Capita spesso, infatti, che i consumatori cinesi acquisiscano un’immagine distorta di determinati brand e questo nel lungo termine è negativo, non riconoscendone il giusto valore (ad esempio pensare che una determinata marca italiana – o in generale, europea – sia discount quando non lo è). In definiva, le opportunità ci sono, ma occorre essere preparati.

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