La sfida della trasparenza nella food law europea

La compliance per il mercato alimentare è una leva di sviluppo. Ma occorre un approccio condiviso e strategico (da Mark Up n. 268)

Il consolidamento e sviluppo della food chain e, in particolar modo, del comparto agricolo italiano è strategico per l’economica nazionale. Nel 2017 l’intero settore ha generato un giro di affari per 132 miliardi di euro (+1,5% su 2016) impiegando 385 mila addetti distribuiti il 6.850 imprese industriali. È cresciuto l’export del 7% raggiungendo i 41 miliardi di euro per un saldo commerciale import/export positivo per oltre 10,6 miliardi. Un settore, quello agroalimentare che nel Pil italiano vale il secondo posto, dietro solo alla metalmeccanica e che ha nel mirino l’obiettivo di arrivare a 50 miliardi di export entro il 2020. La connotazione di Paese trasformatore ha un forte impatto sulla tecnologia che, se nel settore industriale è ai vertici mondiali (macchinari, processi, metodi ecc), in termini agricoli ha ancora spazi di crescita e miglioramento. E questa è una buona notizia in quanto i mercati internazionali hanno “fame” di cibo italiano e, alcuni di questi mercati, sono praticamente intonsi e da conquistare. In primis la Cina dove la nostra food chain sviluppa per ora un giro di affari in export attorno al 10%. Il quadro competitivo complessivo passa attraverso due pilastri: l’innovazione tecnologica e la compliance, l’adeguamento normativo che diventa fattore di sviluppo. L’adeguamento normativo non è da intendere in un quadro protezionistico (deleterio e miope anche se nei trend attuali), ma nella fissazione di regole a vario titolo finalizzate a migliorare gli standard qualitativi e il valore del mercato.

In Italia gli elementi normativi propedeutici all’innalzamento del valore sono diversificati e prevalentemente finalizzati alla difesa del Made in Italy. Un primo fronte è quello delle etichettature e delle informazioni da apporre, un secondo comprende tutta l’area Dop - Igp, un terzo la lotta alla contraffazione. In tutti questi ambiti negli ultimi anni si sono compiuti passi in avanti sostanziali anche se con qualche rallentamento dovuto alla necessità di armonizzare la normativa Italiana con quella dell’Ue. Un tema sempre caldo è quello dell’etichettatura che rappresenta un ambito molto esteso e problematico in grado di impattare profondamente sulla valenza competitiva del food Made in Italy. Si tratta sostanzialmente di un fronte sempre aperto dove si combattono interessi anche contrapposti, in cui il consumatore “vive” molta della sua customer experience. Al mondo dell’etichettarura appartengono temi come gli allergeni, i valori nutrizionali, la provenienza delle materie prime, lo stabilimento di produzione ecc. In Italia, negli ultimi anni, il legislatore ha preso una strada che ha la trasparenza come obiettivo a cui tendere. Vi è anche da considerare che spesso è la contingenza a determinare una presa di coscienza e quindi un moto a procedere. Il big bang della provenienza in etichetta è stata la tracciabilità delle carni per bloccare la filiera nel caso di contaminazioni. Dalla carne bovina, alle carne bianche fino alla carne suina, la provenienza in etichetta ha progressivamente raggiunto tutti i comparti.

La necessità di garantire la salubrità del comparto con l’origine delle carni in etichetta si è trasformata presto in uno strumento competitivo. Per limitare la concorrenza al ribasso dei fornitori esteri di materia prima alimentare, con l’apposizione in etichetta del luogo di origine, si determina di fatto una segmentazione del prodotto finito dove quelli con materia prima italiana, possono spuntare un prezzo più alto a scaffale. In altre parole, la disponibilità reale o presunta del consumatore a spendere maggiormente se il prodotto alimentare contiene solo materie prime di origine nazionale, si traduce in pratica solo se il consumatore ne è consapevole.

L’ultimo comparto agroalimentare raggiunto dall’obbligo di apporre in etichetta il luogo di provenienza della materia prima, è quello del pomodoro. Con un decreto interministeriale (Politiche Agricole e Sviluppo Economico) pubblicato in Gazzetta Ufficiale a fine febbraio 2018, si obbliga di apporre in etichetta l’origine dei derivati del pomodoro di tutti i prodotti che abbiano almeno il 50% di derivati di pomodoro in composizione. La chiave di armonizzazione con la regolamentazione europea è la clausola sull’attuazione completa del regolamento Ue 1169 del 2011. Questo rende il decreto interministeriale sostanzialmente ridondante nel momento in cui venissero resi effettivi gli atti esecutivi che ad oggi la Commissione Europea non ha ancora emanato.

Nello stesso periodo, sempre per un decreto interministeriale Mipaaf e Mise, il 16 febbraio 2018 per la pasta e il giorno dopo per riso, ha reso obbligatorio l’apposizione in etichetta del luogo di coltivazione della materia prima. Più precisamente per la pasta è fatto obbligo inserire in etichetta il Paese di coltivazione del grano e il Paese di macinatura con discrimine tra Paesi Ue e non Ue; per il riso deve essere indicato anche il Paese di confezionamento oltreché quello di coltivazione e lavorazione. Si tratta di un lungo percorso quello portato a termine dagli ultimi due governi italiani che nel 2017 ha impattato sui prodotti lattiero caseari che oggi riportano in etichetta la provenienza della materiale prima per prodotti finiti come latte e latticini, yogurt, formaggi, mozzarella e burro. Ciò che appare rilevante è quanto la spinta normativa stia di fatto modellando un mercato, quello del food, che cerca un nuovo valore sia in termini di business ma anche e soprattutto culturale. Se l’Italia ha delle forti ragioni per spingere il quadro legislativo verso la trasparenza, l’Ue riconosce la validità di un orientamento di questo tipo. Con maggiore lentezza rispetto a quanto è avvenuto nel nostro Paese, sta procedendo all’adeguamento del quadro vigente, spinta anche dalle “fughe in avanti” (approvate in sede comunitaria) dei governi nazionali. Nel mese di aprile del 2018 la Commissione Europea ha fissato le date circa la discussione finale sull’indicazione delle materie prime in etichetta per convergere a una decisione finale nell’estate dello stesso anno.

Un altro esempio di come la compliance impatti favorevolmente sul mercato è nel settore delle Dop e Igp. Il quadro normativo è robusto e soprattuto armonico in tutta l’Unione tanto da consentire un presidio particolarmente efficace. Tra il 2016 e il 2017 i Consorzi di tutela e l’Icqrf hanno effettuato quasi 1.000 visite in punti di vendita di nove Paesi europei per 5.000 controlli che hanno toccato 22.000 referenze. Non solo, l’efficacia dei controlli sul canale online ha registrato performance di alto livello con collaborazione delle piattaforme più diffuse come eBay, Alibaba e Amazon.

Tuttavia, la fissazione di buone regole non è un percorso in discesa perché la buona compliance deriva da un’analisi che sappia discernere gli elementi dirimenti di un obiettivo. La prossima sfida è quella delle etichette a semaforo già presenti in diversi Paesi europei di cui si attende il rapporto della Commissione entro la fine dell’anno.

LASCIA UN COMMENTO

Inserisci il tuo commento
Inserisci il tuo nome