ll FinTech come chiave strategica del Venture Capital

FinTech_VC
Affinché le startup possano traslare la customer experience dei clienti sul digitale è necessario interpretare il Fintech come fattore abilitante

Il Coronavirus ha imposto i suoi indesiderati effetti anche sui mercati finanziari, le cui ricadute si stanno spesso manifestando con un'ulteriore riduzione della fiducia e, conseguentemente, del credito, rispetto ai livelli pre crisi. Ciò ha ovviamente ripercussioni anche nell’ambito dell’innovazione, quello che dovrebbe dare ossigeno e trainare il futuro di un paese, che ha visto le sue startup trovarsi in situazioni assai delicate.

In questo contesto, però, è interessante indagare l’ambito del Venture Capital, che si trova in una situazione di particolare controtendenza, dimostrando un certo grado di resilienza allo shock pandemico generalizzato. Il fattore abilitante a tale scenario è da rintracciare nel FinTech: la digitalizzazione dei servizi finanziari è sempre più centrale, dato che apre alla possibilità di dare continuità alla customer experience dei clienti, traslandola sul canale digitale. Non è un caso che, dalla grande crisi finanziaria del 2008, il settore FinTech sia tra i più finanziati e in rapida crescita come oggetto e target di riferimento per lo sviluppo di nuove tecnologie. Tale precondizione si rivela essere punto di forza quando il Covid-19 ha reso necessario il distanziamento sociale.

Lato Venture Capital (VC), ovvero quelle forme di finanza alterativa che comportano investimenti ad alto rischio, ma dai possibili ritorni economici eccezionali, proprio del finanziamento di realtà come le startup, è stato osservato come tali forme di investimento VC durante la crisi abbiano avuto risultati non troppo negativi rispetto a quelli nel mercato azionario, nella fattispecie che si è rivolta all’ambito FinTech.

Questo non significa che tale settore sia stato e sarà del tutto immune alla crisi, ma solo che probabilmente nel medio-lungo termine sarà capace di generare performance superiori rispetto agli altri mercati, proprio perché si fa portavoce di un trend ormai quasi del tutto irreversibile, ovvero la digitalizzazione, facendo sì che il DNA della finanza muti in digital.

Nello specifico, secondo i dati forniti da BorsadelCredito.it, nel secondo trimestre 2020, clou della fase acuta delle misure di contenimento, gli investitori del Venture hanno chiuso 360 deal FinTech: si tratta, come era facilmente immaginabile, del peggior risultato trimestrale degli ultimi tre anni (28 miliardi di euro nella prima metà dell’anno, contro i 39 dello stesso periodo del 2019), ma conforta il fatto che i capitali investiti in Nord America e in Europa siano in linea con quelli del primo trimestre a quota 6 miliardi di dollari.

Quindi, nel breve termine, la situazione è sicuramente più difficile, richiedendo alle startup di sfruttare il momento per rivedere i propri piani di sviluppo, tagliando costi superflui e rimodulando i loro modelli di business al fine di sopravvivere alla crisi, concentrandosi su settori strategici per superare l’emergenza e contribuire alla ripresa dell’economia (FinTech in testa, ma anche biotecnologie, dispositivi medici, digital health, home education, intelligenza artificiale, gaming, smart working, , delivery, cybersecurity, ecc.).

Gli investitori, invece, facendosi portatori di un atteggiamento più collaborativo ed aperto al dialogo con le startup, dovrebbero assicurare continuità alla loro azione, sostenendo con iniezioni di denaro i flussi finanziari delle società, incrementando lo scambio di informazioni con il management ed esercitando maggiore controllo nella prospettiva di aiutare i founder a gestire la crisi, ridefinendo, in ottica strategica, le loro priorità e i loro criteri di investimento, anche fornendo un’azione di guida, qualora necessaria, nella crescita delle società emergenti che altrimenti sarebbero travolte dalla emergenza in corso.

Per quello che riguarda il medio-lungo termine, invece, le prospettive si rivelano interessanti per via di due i trend trainanti così riassunti dalla società di analisi Pitchbook: la raccolta delle società di consumer finance (3,6 miliardi nella prima metà del 2020), ovvero di aziende volte all’offerta di servizi finanziari alle persone fisiche; e l’attività di exit molto forte con diverse operazioni annunciate tra aprile e giugno per un valore di un miliardo.

Al contrario, sempre secondo Pitchbook, il maggior ostacolo alla crescita delle startup sarà la mancanza di una spinta regolatoria verso maggiori partnership con gli incumbent (ovvero gli intermediari già presenti sul mercato): le FinTech al servizio delle PMI si trovano in un contesto sfidante, perché il lockdown ha causato per molti settori perdite rilevanti in tantissimi settori (per esempio, nella ristorazione, nei viaggi, ecc.). Tuttavia, è altrettanto vero che oggi, al di là dell’effetto a catena sulle FinTech, quelle più solide abbiano l’occasione di rafforzare le relazioni esistenti e, attraverso l’espansione delle collaborazioni con le istituzioni finanziarie tradizionali, conquistare nuovi clienti appena la ripresa economica si manifesterà.

La situazione descritta non risulta essere un’esclusiva del contesto italiano, che anzi vede, come similarità costante anche di altri Paesi,  la presenza di tecnologie obsolete, complici di un rallentamento dei processi di risposta alle necessità di credito e liquidità: è emerso come con i prestiti garantiti del Decreto Rilancio in Italia e con il Paycheck Protection Program negli USA ci si sia trovati impreparati a far fronte a tutte le richieste, dovendosi confrontare con ben poco elastiche procedure bancarie tradizionali, inadatte a fronteggiare una situazione di emergenza. Una risposta a queste problematiche si può appunto trovare nel FinTech.

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