Lo smart working in Italia ha ripreso a crescere ma occorre una rifocalizzazione

L'Osservatorio del Politecnico di Milano mette in evidenza i benefici per persone, aziende e città dello smart working che nel 2023 in Italia torna a crescere
Mariano Corso, responsabile scientifico dell'Osservatorio Smart Working - Politecnico di Milano

Le opinioni sullo smart working sono oggi polarizzate tra chi lo considera un'opportunità per lo sviluppo del mercato del lavoro e chi non lo valuta positivamente. L'Osservatorio Smart Working del Politecnico di Milano, pioniere nello studio di questo ambito di innovazione, ha messo in evidenza questi aspetti come sottolineato da Mariano Corso, responsabile scientifico dell'osservatorio stesso:

"Nel 2023 lo smart working in Italia torna a crescere, restano però numerose barriere a una sua applicazione matura. Troppo spesso lo smart working è considerato semplice lavoro da remoto o strumento di welfare e tutela dei lavoratori. È quindi necessario ‘rimettere a fuoco’ lo smart working, identificandolo per quello che è realmente: non un compromesso o un male necessario, nemmeno un diritto acquisto o un fine in sé, ma uno strumento di innovazione per ridisegnare la relazione tra lavoratori e organizzazione”.

Evoluzione in corso

Negli Usa, terra dell'innovazione per antonomasia, nel diffondersi dello smart working sono emersi degli eccessi che hanno avuto pesanti ripercussioni sul tessuto economico e sociale. Come sottolineato da Umberto Bertelè, chairman degli Osservatori Digital Innovation, nei centri di alcune città si assiste a un fenomeno di svuotamento che impatta sulla vita delle città stesse. San Francisco è l'esempio emblematico del fenomeno, città nella quale la percentuale di spazi vacanti dedicati agli uffici ha superato il 20% (Fonte: Financial Times) Un esempio di visione critica dello smart working è quello citato in riferimento a Robert Altman, padre di ChatGpt, che ritiene lo smart working "il più clamoroso errore del mondo tech americano". Ma non è il solo a pensarla in questo modo. In linea di massima sono le aziende più grandi del tech americano ad essere critiche verso lo smart working, cinque delle prime nove società al mondo. Solo Microsoft e nVidia hanno posizioni favorevoli al lavoro da remoto. In ogni caso, vi è una presa di coscienza complessiva di quanto lo smart working sia un modello lavorativo ormai presente e irrevocabile. Occorre quindi trovare delle modalità che siano di vantaggio per tutti.

In Italia

Tornando alle rilevazione dell'Osservatorio, lo smart working in Italia sta crescendo (seppur debolmente) dopo aver raggiunto il punto di minimo nel 2022 (epoca pandemica ad oggi) e oggi vale 3,585 milioni di lavoratori. Rispetto al periodo pre-Covid è un aumento del 541%. Nel 2024 si stima che il numero di smart worker in Italia raggiungerà i 3,65 milioni di persone.


Più nel dettaglio, nel 2023 sono aumentati i lavoratori da remoto delle grandi aziende che rappresentano il 50% dei dipendenti, pari a 1,88 milioni di persone. Parallelamente nelle Pmi sono aumentati di 570.000 i lavoratori equivalenti al 10% del complessivo.
Andamento inverso per le micro imprese che oggi valgono il 9% del totale con 620.000 lavoratori; infine la Pa con 515.000 addetti, corrispondenti al 16% del totale. L'Osservatorio del Politecnico ha messo in evidenza che quasi tutte le grandi imprese, pari al 96%, hanno in programma l'implementazione di iniziative di smart working nella propria organizzazione e la maggior parte di esse utilizza modelli strutturati. Altro elemento significativo è come il 20% delle grandi imprese sia impegnata per estendere lo smart working a profili tecnici e operativi che erano precedentemente esclusi. Venendo alle Pmi lo smart working è presente nel 56% ed è spesso applicato con modelli informali, gestiti a livello di specifici team. Nel 61% degli enti pubblici italiani sono presenti iniziative strutturate di smart working. Queste iniziative sono più comuni nelle realtà di dimensioni maggiori.

Smart working e ambiente

Lo smart working impatta significativamente sull'ambiente, in quanto lavorare da remoto per due giorni a settimana evita l'emissione di 480 kg di CO2 all'anno per persona. un risultato prodotto dalla riduzione degli spostamenti e all'utilizzo ridotto degli uffici.
Inoltre lo smart working produce un fenomeno di cambiamento sul mercato immobiliare e nelle città come dicono i dati: il 14% delle persone che lavorano da remoto ha deciso di cambiare casa o ha mostrato intenzione di farlo con una preferenza verso zone periferiche o piccole città, cercando uno stile di vita diverso. Se negli Usa il fenomeno ha impattato negativamente e pesantemente sull'econonomia delle grandi città, in Italia questo fenomeno ha avuto un effetto positivo in diverse aree del paese, generando iniziative di marketing territoriale e lo sviluppo di nuovi servizi, come infrastrutture di connettività migliorate e spazi coworking. In alcune occasioni, il 44% delle persone che lavorano da remoto ha sperimentato il lavoro "fuori casa", in spazi di coworking, altre sedi aziendali o altri luoghi nella città. Questo dimostra la flessibilità del lavoro da remoto e la possibilità di lavorare in ambienti diversi.

Maturità del fenomeno

Il Politecnico classifica le modalità in smart working in funzione della maturità del modello impiegato. Modelli “maturi” di smart working interpretano in modo strutturato i 4 pilastri che permettono la gestione e roganizzazione del lavoro fuori dal perimeto aziendale: policy organizzazione, tecnologie, riorganizzazione degli spazi e comportamenti e stili di leadership. Il 52% delle grandi imprese con progetti di smart working è matura su tutte le dimensioni, contro il 16% della PA e del 15% delle Pmi.

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